Caltanissetta

L’accoglienza con le favelas intorno

- 1 Dicembre 2013

Della problematicità estrema di Pian del Lago avevamo parlato già in passato. Adesso gli operatori dello sportello immigrati di Caltanissetta hanno inviato agli organi di stampa un accorato appello. Per dare una scossa all’opinione pubblica e alle istituzioni. «Ci occupiamo da anni di stranieri sul nostro territorio, ed abbiamo avuto pertanto il privilegio di farci raccontare la nostra città da occhi stranieri – inizia la lettera – E l’immagine della città, negli ultimi 10 anni, si è trasformata. Abbiamo iniziato il nostro percorso in una città indifferente che si vergognava di esserlo, ed allora appena sollecitata reagiva, volente o nolente, perché l’essere indifferenti era considerato un difetto, qualcosa di cui vergognarsi. Pian piano la soglia della vergogna si è alzata, e ci si è vergognati sempre un po’ meno del degrado culturale nel quale si stava, tutti quanti, sprofondando».

Oggi, denunciano gli attivisti, Caltanissetta ha le favelas, come fosse una grande metropoli, tutte concentrate nelle vicinanze del Cara/Cie di Pian Del Lago. «Il gruppo più numeroso di accampati – racconta Giuliana Geraci dello sportello – è concentrato in un ex campo di skate board, due insediamenti più piccoli sono nei pressi di un ponte, sono più riparati e meno densamente abitati, ma quando piove si riempiono di fango. Una ragazza che opera con noi ha raccolto, con l’aiuto degli scout, degli indumenti per l’inverno da distribuire. Quando lo abbiamo detto ad uno degli accampati la sua reazione è stata di netto rifiuto. Non voleva la carità. Viene dal Pakistan, ha due master in economia, lavorava all’università nel suo paese e ora per tante ragioni si ritrova scalzo qui da noi. Mi è parso l’emblema del fallimento dell’accoglienza. Mi raccontava di come si sente male quando esce da un supermercato e lo fermano i commessi per vedere  lo scontrino, o di quando i ragazzi, per divertirsi lo inseguono tirandogli uova o arance. E la tensione sale anche perché la politica locale preferisce utilizzare gli immigrati come capro espiatorio di ogni problema: sanità, lavoro, criminalità».

Il paradosso è che Caltanissetta è una cittadina che agli stranieri deve molto: è solo grazie alla loro presenza che è potuta rimanere, fino ad oggi, capoluogo di provincia. La lettera assume toni forti di denuncia: «Abbiamo visto malati abbandonati a se stessi, storie di ambulanze chiamate e mai arrivate, richieste di aiuto ai medici di Pian Del Lago rimaste inascoltate». A visitare gli abitanti di questi slum improvvisati è arrivata anche una troupe di Medici Senza Frontiere. A detta dell’equipe anche la tutela della salute guarda al colore della pelle e dei documenti. «Se sei bianco chiami l’ambulanza, se no speri di non morire in attesa che Msf venga a vedere cosa hai», dichiarano dallo sportello. La denuncia è quella di una crisi morale e culturale prima che economica e che riguarda tutti i nisseni. Secondo Giuliana Geraci il centro andrebbe immediatamente chiuso, sia la parte Cie che quella Cara. «Abbiamo saputo che nei nuovi progetti Sprar le persone entrano in prima accoglienza direttamente da Lampedusa e senza passare dal Cara – e conclude – Da una parte questo crea problemi perché lo Sprar non è ancora attrezzato per risolvere i problemi di primo impatto, dall’altra, se questa divenisse una politica intelligente, con gli Sprar che funzionano e si adeguano a nuove esigenze, anche il Cara diventerebbe inutile e si risolverebbero, almeno in parte, i problemi. Ma è anche Caltanissetta che deve cambiare».