Mgf

Una lotta piena di contraddizioni

Noemi De Simone - 1 Dicembre 2013

La Risoluzione 67/146 dell’Onu per la messa al bando delle mgf ha già un anno di vita e anche se l’obiettivo dell’eliminazione totale di questa pratica appare lontano – si stima che nel solo 2013 siano state almeno 125 milioni le donne che hanno subìto mgf – in questi mesi molto sarebbe stato fatto.
Quasi tutti i paesi del Comitato Interafricano – la più importante ong africana ad occuparsi di mgf – si sono dotati di leggi nazionali per punire gli esecutori materiali di tali pratiche e i governi europei stanziano ogni anno ingenti fondi per le campagne di sensibilizzazione e il sostegno alle ong. Fa notare però Daniela Colombo, presidente dell’Aidos, che «non sempre è chiaro quale sia il destino di questi fondi».
Così come non è chiaro come possano coesistere le sempre più numerose campagne locali sui diritti umani con le politiche di (scarsa) accoglienza all’interno delle nostre frontiere. Molte sono le donne che cercano, invano, asilo politico proprio per sfuggire alla longa manus del patriarcato. Ma i governi temono l’“invasione”: se è solo la paventata eventualità di subire questa pratica a farti chiedere asilo – dicono i Nostri – come possiamo essere sicuri che ciò non venga preso a scusa per ‘invadere’ il nostro territorio?
Le “contraddizioni” nella lotta alle mgf non finiscono qui. La prima che probabilmente salta agli occhi è l’attivismo, in questo senso, di governi decisamente lontani dallo human rights based approach: l’Eritrea, per esempio. Alla conferenza internazionale che si è tenuta a fine ottobre all’Auditorioum di Roma, per fare il punto e “intensificare gli sforzi globali per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili”, c’erano vari rappresenanti di dittature e regimi. Mancavano invece quasi del tutto i ricercatori, come se la questione fosse politica prima che culturale e sociale. D’altra parte i fondi per la ricerca sono bloccati, come osserva l’antropologa Michela Fusaschi: «L’unico modo per accedervi è collaborare con una ong impegnata nella lotta alle mgf».
È molto probabile che da questa assenza e dall’impossibilità di fare una libera ricerca derivi la più grande delle contraddizioni. A leggere i numerosi depliant in bella mostra all’uscita della Sala Petrassi, dopo aver visto i documentari e aver dato una scorsa agli allarmanti dati statistici, sembra che il fenomeno delle mgf sia relegato ad un mondo lontano, quello della miseria e dell’analfabetismo. La stessa locuzione “pratiche tradizionali nefaste” contribuisce alla creazione di un immaginario lontano, anacronistico, di difficile inquadramento, comunque “inappropriato ai tempi” e a cui spetterebbe all’Occidente democratico ed emancipato porre rimedio.
Ma è davvero così? Se abbandoniamo per un momento l’occhio pietistico al buon selvaggio, e prendiamo in considerazione altri elementi (come i molti di cui parla, per esempio Michela Fusaschi nell‘intervista d’apertura) potremmo d’altra parte renderci conto, infatti,  che l’altra metà del cielo non se la passa tanto bene nemmeno in questo emisfero.

Noemi De Simone