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11 dicembre 2006, la strage di Erba

Daniele Barbieri - 9 Dicembre 2013

stor_11745634_49030«Uccide e brucia tre donne e il figlio. L’assassino era libero per l’indulto»; «Stermina la famiglia, era libero per l’indulto»: così il 12 dicembre 2006 aprono La repubblica e Il corriere della sera, i due quotidiani più venduti in Italia, sul delitto del giorno prima.
Questa è la sintesi di Wikipedia: «Nella strage, compiuta nell’appartamento di una corte ristrutturata nel centro della cittadina, furono uccisi a colpi di coltello e spranghe Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la nonna del bambino Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Suo marito Mario Frigerio, presente sul luogo, si è salvato perché creduto morto dagli assalitori. Dopo la strage, l’appartamento fu incendiato.
Il 3 maggio 2011, la Suprema Corte di Cassazione di Roma ha definitivamente riconosciuto come autori della strage i coniugi Olindo Romano (Albaredo per San Marco, 10 febbraio 1962) e Angela Rosa Bazzi (Erba, 12 settembre 1963); già condannati all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni il 26 novembre 2008 dalla Corte d’Assise di Como e il 20 aprile 2010 dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano che confermò la medesima condanna».
La vicenda di Erba all’inizio aveva avuto invece un solo e diverso colpevole, designato a gran voce – Abdel Fami Azouz Marzouk, lo straniero – il quale però risulterà del tutto innocente.
Sul «caso Azouz Marzouk e la costruzione della notizia» (così il sottotitolo) il pedagogista Marco Opipari ha scritto – Città aperta editrice, 124 pagine, 12 euro – Il mostro quotidiano, un libro importante. Perché un libro solo sul caso «Azouz»? Non sono tanti (purtroppo) gli errori/orrori giudiziari, conditi da linciaggi a mezzo stampa? Presi per caso, un’insolita band-rock, ha ricordato più volte gli 80 anni e passa dall’assoluzione del «mostro» Gino Girolimoni. Qualcuno avrà notato in libreria 20 anni in attesa di giustizia (Memori editore, ottobre 2006, poco prima di Erba) dove Luigino Scricciolo racconta come finì dal sindacato al carcere, accusato di spionaggio e terrorismo, per essere poi del tutto assolto dopo 7.171 giorni «in attesa di giudizio». Ci si rammenta di Enzo Tortora, più raramente di vicende simili dove le vittime erano “signor nessuno”. Gli inglesi hanno un detto che suona così: «l’errore del giudice finisce in galera, l’errore del medico al cimitero, l’errore del giornalista in prima pagina».
Nel caso di Azouz fra i quotidiani si sottrassero al linciaggio – nota Opipari – solo il manifesto e Liberazione. Se la memoria non mi inganna, fra i media che avevano accusato l’innocente pochi si scusarono (Il corriere della sera) e molti no (La repubblica, ad esempio). Non si trattò solo di una scelta politica e le pagine di Opipari ci aiutano a capirlo.

Si può leggere il libro a due livelli o forse bisogna sia letto due volte. La prima lettura parte da pagina 25 e si ferma alla 98, prima dell’ultimo paragrafo: l’autore ricostruisce la vicenda e offre lunghe citazioni dei giornalisti, prima che si sappia dell’innocenza di Azouz e dopo. Una lettura veloce, magari saltando le note: tanto per ricordarsi i fatti e il clima, per verificare come una pioggia di «nulla» nei mass media possa trasformarsi in certezze assolute. Bisogna poi riaprire il libro partendo dalla bellissima prefazione di Raffaele Mantegazza, meditando sul «prologo», ripercorrendo testo e note per approdare alle considerazioni di Opipari sulla non-eccezionalità del «caso Azouz». Taglio pedagogico per ragionare sulle radici e sui possibili frutti di chi costruisce notizie in base agli automatismi; cioè senza indagare sui fatti e anzi, quando sono in contraddizione con la tesi dominante, provando a farli scomparire.
Giornalisti e politici – Borghezio, Gasparri, Stiffoni – sono i pilastri della prima lettura; filosofi e pedagogisti (Anders, Barthes, Batheson, Dal Lago, Foucault, il citato Mantegazza, Peter Brook) ci aiutano nella seconda. I «maestri negativi» tornano utili come quelli positivi. Un esempio utile è l’intervista «falsamente riparatoria» (quando appare indubitabile che Azouz è innocente) di cui Il mostro quotidiano racconta alle pagine 47 e 48.
Il proscioglimento giudiziario di «Azouz» è fuor di ogni dubbio eppure a livello mediatico in seguito si è insistito su un suo arresto per spaccio e la notizia viene enfaticamente ripetuta durante il processo. Cosa abbia a che vedere una vicenda minore di criminalità con i quattro corpi straziati la sera dell’11 dicembre 2006 sarebbe difficile da intendere se Opipari non ci aiutasse. Potrebbe subentrare anche una spiegazione psicanalitica: mostrando che «Azouz» era/è un pessimo soggetto, molti giornalisti pensano (più o meno consciamente appunto) di giustificare i loro errori, accuse e offese rovesciate su una persona a torto accusata di strage.
Da qui potrebbe iniziare un lungo discorso su come sciogliere quel nodo dove convergono le paure del nostro tempo e la cattiva informazione mescolandosi con ignoranza e stereotipi che spesso mutano in razzismo. È un meccanismo complesso che Opipari più volte mette in luce. Ci sono cadaveri reali purtroppo ma anche metaforici, come la verità che a Erba fu uccisa più volte dai giornalisti: in questo secondo caso l’arma omicida (il microfono, la penna o il mouse) è stata impugnata da parecchie persone… che poi si danno l’alibi l’una con l’altra come nel famoso Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie.
Se da Erba arrivano tragiche notizie – di cadaveri reali e metaforici – un’interessante controindicazione arriva, nel gennaio 2011, dal quasi omonimo Erbè, piccolo paese del veronese, dove il sindaco Paolo Brazzarola, ha consegnato alla scuola locale una copia della nostra Costituzione (a cura dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni italiani) tradotta in arabo. Sarebbe bello e utile che molti giornalisti ne tenessero una – va bene in lingua italiana – sul loro tavolo.