Belgio

Afghani invisibili

Ilaria Sesana - 16 Dicembre 2013

beguinage«Mi vergogno di essere belga!». Con queste parole Anissa Aliji, 23enne attivista per i diritti umani ha iniziato lo scorso 2 dicembre uno sciopero della fame in sostegno ai rifugiati afghani che da alcune settimane hanno trovato accoglienza nella chiesa di Saint-Jean-Baptise-Au Béguinage di Bruxelles. «Mi nutro solo di acqua, tè e zucchero. Sta diventando difficile», racconta Anissa in un’intervista al canale Rtl. Ha già perso otto chili dall’inizio dello sciopero della fame. Ma non vuole fare marcia indietro. Assieme a lei rifiutano il cibo da diverso tempo anche due ragazzi, Clément e Grégory, e l’avvocato Selma Benkhelifa.
I tre ragazzi fanno parte del Comitato di sostegno dei rifugiati afghani, un gruppo di cittadini e attivisti belgi che da diverse settimane sono impegnati per la tutela dei profughi in fuga da Kabul. Chiedono una moratoria delle espulsioni verso l’Afghanistan, la liberazione degli afghani detenuti nei Cie locali, un titolo di soggiorno per gli afghani la cui richiesta di asilo non è stata accolta. Già 4 mila persone hanno firmato la petizione che sta girando sul web.

Devastato da oltre trent’anni di guerre, l’Afghanistan non può essere certo definito un Paese sicuro: eppure le autorità di Bruxelles non solo non concedono la protezione internazionale al 44% degli afghani presenti nel Paese, ma vengono organizzate regolarmente singole espulsioni verso Kabul mentre le famiglie con bambini vengono incoraggiate a scegliere il “rimpatrio volontario”. Ad aumentare la tensione, i continui sgomberi degli stabili occupati dai rifugiati. Cui non resta che adattarsi a dormire per strada. Inoltre, alcune manifestazioni (pacifiche) organizzate dal Collettivo di profughi afghani sono state brutalmente sciolte dalla polizia. In diversi casi utilizzando gas lacrimogeni, getti d’acqua e manganelli contro i manifestanti, tra cui molte donne e bambini.
I manifestanti chiedono inoltre l’apertura di un’inchiesta parlamentare sulla morte di Aref, un giovane afghano che, dopo quattro rifiuti, ha accetto il ritorno volontario in Afghanistan nei primi mesi del 2013. Poco dopo è stato ucciso in circostanze ancora poco chiare (sembra ad opera di talebani) ma per i membri del Collettivo degli afghani la complicità del Belgio è evidente. Aref, secondo le autorità competenti a valutare le sue domande d’asilo, non correva alcun pericolo nel suo Paese.