Cara di Mineo

L’accoglienza che uccide

Fulvio Vassallo Paleologo - 16 Dicembre 2013

cara-di-mineoUn giovane eritreo di 21 anni si è suicidato nel Cara di Mineo, nel catanese. Il giovane è stato trovato con una corda al collo in una palazzina del centro, dove sono frequenti le proteste e le rivolte. Era sbarcato in Sicilia lo scorso 5 maggio. Nel passato, a Mineo, si erano già verificati sei tentativi di suicidio, da parte di altrettanti richiedenti asilo. Sono ancora in corso i primi accertamenti dell’Autorità giudiziaria ma le responsabilità che hanno prodotto questa situazione di emarginazione e disperazione sono molto evidenti.

Il 28 febbraio 2013 veniva chiusa dal governo la cosiddetta Emergenza umanitaria Nord Africa proclamata nel febbraio del 2011 dal Governo Berlusconi. Tutto quanto occorreva in materia di accoglienza è rimasto affidato alle decisioni dei singoli Prefetti e dei Questori, mentre le risorse venivano drasticamente tagliate e si accumulavano anche i ritardi nell’erogazione delle somme previste dalle convenzioni stipulate con gli enti gestori. Malgrado il passaggio dalla fase “emergenziale” a quella che avrebbe dovuto essere una fase di gestione ordinaria, il Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo ha mantenuto tutte le caratteristiche che in un rapporto di Msf del 2011 lo avevano fatto definire come un “limbo”.

Il Cara di Mineo è rimasto dunque operativo malgrado i rilievi critici che erano stati già sollevati dopo la sua apertura nel 2011, quando l’allora ministro dell’interno Maroni volle “concentrare” in quella struttura tutti i richiedenti asilo che si trovavano già presenti in Italia e che in altre strutture avevano già in corso la procedura per il riconoscimento di uno status di protezione, internazionale o umanitaria. Per molti, questo significò ricominciare da capo la procedura, perché le carte non venivano trasferite con la stessa velocità con la quale si era realizzata la deportazione. Da allora il centro di Mineo, prima malvisto dalle amministrazioni locali, è diventato un gigantesco business dell’accoglienza del valore di 160.000 euro al giorno, tanti milioni di euro all’anno che fanno gola a molti. Numerosi rapporti hanno denunciato la crescita ipertrofica di questa struttura, dal rapporto dell’Asgi “Il diritto alla protezione” nel 2011, fino alle circostanziate denunce rinvenibili nel sito www.terrelibere.org. Si è comunque preferito mantenere aperta questa struttura, che è diventata un immenso contenitore di vicende disperate, mentre i tempi burocratici per il riconoscimento del diritto alla protezione si allungavano sempre più, soprattutto per la scelta del governo, che non ha mai rinforzato la commissione territoriale che avrebbe dovuto occuparsi specificamente dei richiedenti asilo ospitati a Mineo ed ha consentito che nel mega-Cara fosse accolto il doppio dei richiedenti asilo originariamente previsto.

La questione dell’accoglienza dei rifugiati è indubbiamente una questione di rilievo europeo ma l’accoglienza del richiedente asilo è un obbligo giuridico per gli Stati membri dell’Unione europea e le regioni, come gli anti locali, devono avere un ruolo in una materia che non può essere ridotta a questione di pubblica sicurezza. La Direttiva n. 2003/9/Ce prevede norme minime sull’accoglienza dei richiedenti asilo finalizzate a “garantire loro un livello di vita dignitoso e condizioni di vita analoghe in tutti gli Stati membri” (par. 7, preambolo, Direttiva n. 2003/9/Ce). Il richiedente protezione internazionale ha diritto all’accesso alle misure di accoglienza sin dal momento della presentazione della domanda di asilo (art. 5 comma 5 D.Lgs. 140/05). Gli interventi assistenziali e di soccorso posti in essere precedentemente alla presentazione della domanda sono attuati invece a norma delle disposizioni della Legge n. 29 dicembre 1995 n. 563 (c.d Legge “Puglia”). Di fatto la megastruttura di Mineo è rimasta un caso unico, gestita da un consorzio di enti locali sotto il controllo della Prefettura di Catania ed è servita a “decongestionare” Lampedusa e gli altri centri di prima accoglienza e soccorso, come il Cpsa di Pozzallo.

Adesso sembra che il governo nazionale, con l’ultima legge di stabilità, abbia trovato ben 210 milioni di euro da destinare all’accoglienza dei migranti ed in particolare, per 30 milioni di euro, per finanziare i centri e gli enti locali dove vengono accolti i minori non accompagnati. A parte la censurabile scelta di attingere per 50 milioni di euro al fondo per le vittime della mafia, le nuove risorse rischiano di alimentare ulteriormente il business dell’accoglienza e di non produrre un miglioramento strutturale del sistema, anche perché queste ingenti somme verranno gestite dalle prefetture che fin qui non hanno dimostrato alcuna capacità nel programmare interventi strutturali e di effettuare un effettivo monitoraggio sulla gestione degli interventi da parte degli enti convenzionati.

Chiediamo con urgenza che la Regione Sicilia riconosca l’esistenza di un problema che non si può ridurre all’ennesima “emergenza sbarchi”, mentre la vera emergenza è prodotta delle istituzioni che agiscono male, in modo scoordinato, o non intervengono affatto. Va attivato al più presto il tavolo di coordinamento regionale con i prefetti, le questure, l’Anci regionale e con i comuni nei quali trovano accoglienza i richiedenti asilo ed i profughi. Occorre monitorare a livello regionale la situazione esistente nei centri di accoglienza ed individuare le modalità operative per garantire percorsi credibili di inserimento sociale di coloro che attendono, oppure ottengono, il riconoscimento di uno status di protezione, internazionale (asilo o protezione sussidiaria) o umanitaria.

In Sicilia occorre adottare al più presto una legge regionale in materia di immigrazione ed asilo con previsioni certe di stanziamenti di bilancio regionale, e con una particolare attenzione per le esigenze dei soggetti più vulnerabili, come i minori, le donne, sempre più spesso vittime di violenze e di sfruttamento, le vittime di tortura, con percorsi di formazione e di qualificazione del personale che dovrà prendere in carico tutte queste persone caratterizzate da situazioni esistenziali tanto diverse. Ancora una volta va ribadito che i migranti non possono essere considerati solo come un numero da suddividere in base a criteri contabili, sulla base della disponibilità dei posti, ma come persone che portano dentro le conseguenze tragiche di abusi e violenze neppure immaginabili.

Il mega Cara di Mineo, ormai ingovernabile, va chiuso al più presto ed i migranti presenti in questa struttura vanno trasferiti nei nuovi centri di accoglienza, distribuiti in tutte le regioni italiane, e soprattutto in strutture decentrate a gestione comunale, che sarà possibile aprire con le risorse recentemente messe a disposizione dal governo nazionale.

Vanno chiusi tutti i centri informali di prima accoglienza, come quelli attivati in base alla legge Puglia, da ultimo gestiti dalle Prefetture, come le tendopoli allestite all’interno degli stadi. Eclatante il caso della tendopoli ancora aperta in uno stadio a Messina, con 120 migranti tra i quali anche alcuni minori non accompagnati. In passato, in luoghi simili, aperti in base alla stessa legge Puglia del 1995, sono stati commessi abusi che non hanno lasciato traccia perché la maggior parte dei migranti, appena ha potuto, ha preferito fuggire, piuttosto che correre i rischi derivanti da una denuncia all’autorità giudiziaria di quanto subito.

Va immediatamente raddoppiato il numero delle commissioni territoriali competenti ad esaminare le domande di asilo, anche per allentare la tensione nei centri di accoglienza, nei quali la disperazione dei migranti privati di informazioni sul loro futuro ha portato a gesti estremi, come si è verificato nel Cara di Mineo, luogo nel quale in passato erano stati già sette i tentativi di suicidio. E questa volta la disperazione prodotta dallo stato di abbandono, dall’emarginazione e dall’incertezza giuridica, ha ucciso.

Fulvio Vassallo Paleologo Università di Palermo