Pantelleria

Kerene, la scrittura che salva

Amalia Chiovaro - 23 Dicembre 2013

mar_3771Una voce è importante. Anche una voce flebile può raccontare, divenire volto, diventare parola scritta che aiuta anche a rialzarsi, dopo che la vita ti è crollata addosso. Soprattutto quando a causarti il dolore più atroce è un mare che cerca di inghiottirti. È quello che è successo a Kerene Fuamba, una ragazza di diciassette anni che il 13 aprile del 2011 è stata protagonista di un naufragio, davanti alle coste di Pantelleria. In quella occasione ha perso la sua giovane mamma, che aveva solo 39 anni.

«Molti di noi non sanno nuotare», racconta Kerene. «Solo grazie all’aiuto della guardia costiera e dei volontari che si prodigano tirandoci fuori dall’acqua, io, i miei fratelli, mia sorella e mio padre ce la caviamo. La mia mamma purtroppo no. Lei non ce la fa, non sa nuotare e le onde non le lasciano scampo. Forse se avessi saputo nuotare l’avrei potuta salvare io. Il dolore, lo sconforto, sono grandissimi. L’inferno non può essere peggio di questo, ed io ci sono stata. Sono ferite difficili, ti segnano la vita, anzi, te ne tolgono anche un po’». Questo un breve frammento del suo racconto, Con gli occhi di Kerene, scritto a quattro mani con la sua insegnante di italiano Maria Enrica Sanna, che le ha proposto di partecipare al concorso Lingua Madre, ideato da Daniela Finocchi, che dal 2005 dà la possibilità alle donne straniere residenti in Italia di raccontarsi in prima persona. Donne straniere e native che raccontano anche del proprio complementare incontrarsi. Con gli occhi di Kerene è stato scelto e premiato con la pubblicazione sul volume Lingua Madre Duemilatredici-Racconti di donne straniere in Italia (Edizioni Seb27).

Le chiediamo come ha vissuto questa esperienza e ci dice: «Quando ho saputo che il mio racconto era stato selezionato per la pubblicazione, ho provato una grande gioia. Nel maggio scorso ho partecipato alla premiazione e a novembre ho presenziato alla presentazione del volume presso il Circolo dei Lettori sempre a Torino: in entrambe le occasioni mi sono sentita accolta e voluta bene, ma la cosa che più mi ha gratificata è stato il sapere che tantissime persone hanno letto la mia storia ed hanno, per un attimo, condiviso dolori e sofferenze dei giovani migranti di oggi. Ho deciso di parlare del mio arrivo in Italia per dare voce a tutte quelle persone che, come me, hanno sofferto a causa delle immani tragedie che tutt’oggi si consumano nel Mediterraneo e che spesso voce non hanno». Kerene viene dal Congo e, insieme alla sua famiglia, è scappata dalle guerre civili del suo paese prima e dalla Libia dopo. Con il suo papà, i suoi fratelli e la sorella è rimasta a Pantelleria per non allontanarsi dalla madre, sepolta proprio lì.

Della sua nuova terra ci dice: «Pantelleria è una bellissima isola. Al nostro arrivo tutti si sono mostrati affettuosi e premurosi, ci hanno aiutato con fraterno affetto in quella situazione di emergenza. Ma la quotidianità è ben altro: viviamo con difficoltà, la burocrazia è incomprensibile e se qualche amico non si interessa personalmente le cose non si muovono: a volte mi sento sola tra tanta gente. Il mio rapporto con Pantelleria lo definirei “difficoltoso”». Kerene è cresciuta in fretta e ha dovuto affrontare diverse difficoltà, ma non si arrende: «Se penso al mio domani – continua – spero di poter viaggiare e visitare tanti posti nuovi. Il mio sogno sarebbe quello di studiare medicina per poi tornare in Congo ad aiutare le persone più bisognose. Adesso, però, devo impegnarmi a finire il Liceo, poi si vedrà». Kerene ci costringe a riflettere, a non lasciare che certe storie restino solo fatte di numeri, di “sommersi” e di “salvati”, senza nome e senza età, insomma senza identità. Fabrizio Gatti affermava tempo fa che nel tempo abbiamo assistito alla creazione della figura del clandestino, come una nuova classe sociale. Tanto è che i cosiddetti “viaggi della speranza”, fatti in nome del cambiamento, oramai ci vengono spesso mostrati con immagini di repertorio. Difficilmente si dà voce al singolo, lo si fa diventare persona. La storia di Kerene si impone perché non viene raccontata ma si racconta, si svela.

Amalia Chiovaro