Bulgaria

La meglio gioventù

Ilaria Sesana - 23 Dicembre 2013

harmanliIl sistema di accoglienza della Bulgaria è al collasso. Il piccolo Paese balcanico, che fino allo scorso anno aveva una capacità d’accoglienza di poco più di mille persone, nel giro di pochi mesi ha dovuto far fronte alle esigenze di 8mila profughi. La metà uomini e donne in fuga dalla Siria, ma anche afghani, maliani, pakistani, palestinesi.
E, mentre il governo si è affrettato ad aprire centri d’accoglienza in vecchie scuole ed ex caserme militare, centinaia di semplici cittadini hanno scelto di rimboccarsi le maniche per portare un aiuto concreto ai profughi in fuga. «Abbiamo iniziato creando una pagina su Facebook che ora ha circa 300 sostenitori – spiega Katia, una giovane volontaria -. Quelli realmente attivi sono una novantina». Primo obiettivo: raccogliere e distribuire generi di prima necessità nei campi profughi disseminati nel Paese.
Contando solo sulle proprie forze e sulla generosità di tante persone comuni, questo gruppo di giovani è riuscito a organizzare un’efficiente rete di raccolta e distribuzione. Tanto più preziosa se si pensa che è costruita esclusivamente sul lavoro volontario e gratuito. «Abbiamo iniziato a lavorare a Banya e Postrogor, i centri più lontani dalla capitale – spiega Maria, un’altra giovane volontaria –. Sapevamo che a Sofia erano attivi altri gruppi, quindi ci siamo concentrati sui centri più difficili da raggiungere».

Come Harmanli, un’ex caserma militare a una cinquantina di chilometri dal confine con la Turchia, dove attualmente vivono circa 1.500 profughi. «Lo scorso fine settimana abbiamo portato un camion da sette tonnellate», spiega Katia con un sorriso. Pane, latte per i bambini, pannolini, vestiti, sapone, carta igienica, acqua potabile. «Ad Harmanli il cibo viene distribuito solo una volta al giorno. E chi non ha soldi non può comprare altro da mangiare», spiega Bernard francese d’origine che vive in Bulgaria da qualche anno. «Ora stiamo raccogliendo e impacchettando giocattoli per i bambini. Li porteremo ad Harmanli subito dopo Natale».

Un piccolo, ma importante segno d’attenzione. Perché Katia, Bernard, Maria e Boris non vogliono calcolare il proprio impegno solo con il metro della quantità. «Siamo qui anche per ascoltare questi ragazzi, dedicare loro un po’ di tempo. Cerchiamo di dare loro un supporto e un aiuto per costruirsi una vita quando sarà finita l’emergenza – spiega Maria -. È successo tutto così in fretta che non abbiamo nemmeno avuto il tempo di fermarci per pensare. Ora dobbiamo decidere quello che faremo nei prossimi mesi».
La fase due, intanto, è già scattata: i giovani volontari stanno lavorando per mettere in contatto i profughi con potenziali datori di lavoro o con affittuari generosi che hanno messo a disposizione gratuitamente un appartamento.«Certo, non abbiamo risolto il problema, ma abbiamo fatto qualcosa – conclude Maria -. Credo abbiamo contribuito a cambiare un po’ anche la mentalità dei nostri connazionali». Un impegno che è valso a Maria, Boris, Katia e Bernard il premio Amici dei rifugiati che il “Bulgarian Helsinki Committee” assegna ogni anno.

di Ilaria Sesana