Vite da rifugiati

Pisa, i profughi tutti a casa

Sergio Bontempelli - 23 Dicembre 2013

profughi-8I lettori del nostro giornale conoscono bene la vicenda dei profughi di Via Pietrasantina, a Pisa (ne abbiamo parlato qui). Prima di vedere le positive novità che li riguardano, riassumiamo brevemente la vicenda.

Tutto comincia nell’Estate 2011, quando a Lampedusa sbarcano i migranti che fuggono dalla guerra in Libia. È allora che viene definita la cosiddetta “Emergenza Nord Africa”, spesso indicata con la sigla “Ena”: si tratta del sistema di accoglienza che consente di “decongestionare” Lampedusa ridistribuendo i profughi su tutto il territorio nazionale. Potrebbe sembrare una cosa buona, e del resto l’idea di un’ospitalità “diffusa” e decentrata è in sé positiva. Ma le cose non vanno come dovrebbero andare.
Il programma viene affidato alla Protezione Civile, che costruisce un sistema alternativo allo Sprar (la rete di protezione dei richiedenti asilo e ai rifugiati). Gli enti gestori delle singole strutture di accoglienza vengono individuati con procedure frettolose, senza indagini sulla professionalità degli operatori: il risultato è che spesso i profughi finiscono in alberghi e agriturismi, oppure presso associazioni che non hanno alcuna competenza in materia. In compenso, il sistema ha costi altissimi: per ogni migrante si spendono 46 euro al giorno, una cifra molto superiore rispetto a quella dello Sprar.

Il programma Ena a Pisa
A Pisa, tra gli enti chiamati a gestire l’accoglienza, c’è il Comitato Locale della Croce Rossa. Dovendo reperire uno spazio per ospitare i profughi, l’organizzazione umanitaria decide – siamo nell’Autunno del 2011 – di utilizzare un campo alla periferia della città, fino a quel momento adibito a discarica dei mezzi di soccorso. Tra vecchie carcasse di auto e ambulanze in disuso, sulle rive di un fosso maleodorante, vengono montati in fretta e in furia alcuni container: nasce così un vero e proprio “campo profughi” a due passi dalla Torre Pendente.
Costretti a dormire in un’unica baracca di lamiera, fredda d’inverno e rovente d’estate; i circa venti migranti hanno anche un solo bagno a disposizione. Gli operatori non chiamano i loro ospiti per nome, ma utilizzano dei numeri: “numero uno, vieni a mangiare”; “numero dieci, è pronto il tuo permesso di soggiorno”. Una via di mezzo tra un campo di concentramento e un fumetto di Topolino (ricordate la Banda Bassotti?)…
La Croce Rossa non si preoccupa nemmeno dell’inserimento lavorativo, e gli “ospiti” passano le giornate senza far nulla, in un clima di noia mista ad attesa. Il tutto, alla modica cifra di 46 euro al giorno a persona…

Il “fatidico” 28 Febbraio
La vicenda, per fortuna, non passa inosservata. Già alla fine del 2011 un giornale locale online, Pisa Notizie, pubblica alcune inchieste sul campo di Via Pietrasantina. A sostegno dei profughi intervengono Africa Insieme – la storica associazione cittadina impegnata nella tutela dei diritti dei migranti – e i gruppi che fanno capo a Rebeldia, attivissimo centro sociale e network di organizzazioni di volontariato. La polemica su quella ospitalità così sciatta e irrispettosa tiene banco per diversi mesi sulla stampa locale. Ma la situazione non si sblocca, e i profughi rimangono dove sono.
Il 28 febbraio 2013 si chiude l’Emergenza Nord Africa. Il campo di Via Pietrasantina viene smantellato, e i migranti sono invitati – senza troppi complimenti – ad andarsene. Come è accaduto pressoché ovunque in Italia, non si predispongono soluzioni alternative: l’accoglienza è finita, punto e basta.
Gli “ospiti”, però, decidono di non allontanarsi, e occupano il centro di via Pietrasantina. A sostenerli arrivano alcuni studenti universitari del corso di laurea in “Scienze per la Pace”. La struttura di accoglienza diventa così punto di riferimento per iniziative culturali: parte un corso di italiano e uno di lingua inglese, si allestisce un “orto sociale” e i profughi producono piccoli prodotti di artigianato, rivenduti tramite i Gruppi di Acquisto Solidale. Un gruppo di studenti, coordinati da Tiziano Falchi e Fabio Ballerini, produce anche un video per documentare la storia dei profughi: qui sotto potete vedere il trailer.

 

I costi di un inserimento abitativo
È una bella esperienza di condivisione e di solidarietà, che tuttavia lascia irrisolto il problema più drammatico: quello della casa. Gli ex ospiti, ora occupanti, non possono continuare a dormire nei container del campo profughi: hanno bisogno di un alloggio “normale” e di un lavoro. Assieme alle associazioni e agli studenti, chiedono al Comune di individuare possibili soluzioni. Ma la risposta è lapidaria: non è possibile, non ci sono soldi. L’ente locale non può farsi carico degli “stranieri”, in un momento in cui anche tanti “italiani” soffrono il problema della casa…
Accade sempre così, nel nostro disastrato paese: quando i migranti chiedono i loro diritti, si accampa sempre la priorità da garantire agli “autoctoni” (i quali poi sono tutt’altro che garantiti: ma questo è un altro discorso, e ci porterebbe lontano).
Eppure, non sarebbe difficile trovare strade ragionevoli a costi contenuti. Un’altra politica possibile la suggerisce la Provincia di Pisa, governata – grosso modo – dalla stessa maggioranza che regge il Comune (a guida Pd). L’Amministrazione provinciale individua alcune aziende dove i migranti vengono assunti con tirocini formativi: la Regione mobilita il suo progetto “Giovani Sì”, ed eroga finanziamenti a copertura parziale delle spese. I profughi cominciano così a lavorare e a guadagnare piccoli stipendi di 500 euro al mese: non è molto, ma è un primo passo.
Ora si tratta di trovare qualche casa in affitto: i profughi ci provano, fanno il giro delle agenzie immobiliari, ma la risposta è sempre la stessa, “niente case per gli stranieri”. Ci sarebbe bisogno di un ente pubblico che garantisca per loro, ma il Comune fa orecchie da mercante. La situazione è di nuovo bloccata.

Niente acqua, niente luce
Siamo agli inizi di ottobre e le televisioni di tutto il mondo diffondono le immagini del drammatico naufragio a Lampedusa. La Croce Rossa di Pisa, con un tempismo degno di cause migliori, decide di tagliare la fornitura di acqua e di luce al centro di via Pietrasantina. L’inverno è alle porte, il freddo sta arrivando, ma non importa: i migranti hanno “occupato”, dice la Croce Rossa, dunque sono “illegali”.
La vicenda suscita un’ondata di indignazione in città. Perché quei ragazzi africani, nel frattempo rimasti in dieci, sono ormai conosciuti da tutti. La generosa mobilitazione degli studenti, e gli appelli usciti sulla stampa locale, hanno “smosso” qualcosa nell’opinione pubblica. La richiesta di riallacciare le utenze, e di trovare una qualche soluzione, è condivisa da uno schieramento trasversale, che comprende Una Città in Comune (la lista civica legata ai movimenti per i beni comuni), i Cinque Stelle e persino alcuni consiglieri comunali del centro-destra.
Il Sindaco, chiamato direttamente in causa, continua a non rispondere. La tesi è sempre la stessa: i profughi hanno occupato, dunque non hanno rispettato la “legalità”. Nessuno – né la Croce Rossa, né il Comune – è disposto a cedere: così, per due lunghissimi mesi i migranti restano senza acqua, senza luce, senza riscaldamento, in container gelidi e in un paesaggio ormai spettrale. Mentre scriviamo questo articolo, il campo profughi è ancora in queste condizioni. Ma le numerose proteste hanno lasciato il segno. E qualcosa si muove.

Una casa per i profughi: non ci voleva molto
I dieci giovani africani continuano a lavorare, e a svolgere i loro tirocini formativi. Sotto la spinta delle numerose proteste, il Comune ha dovuto attivarsi. Non ha riallacciato la luce elettrica né il riscaldamento, ma ha mosso i suoi uffici: gli operatori dei servizi sociali hanno contattato alcuni proprietari di case, offrendo garanzie sui rifugiati. Si è mossa anche la Regione, che ha istituito un apposito fondo per i profughi “ex Ena”: qualche centinaio di euro, che viene temporaneamente “immobilizzato” per tutelare i proprietari di alloggi in caso di insolvenza dei loro inquilini.
Costo dell’operazione: quasi zero. Risultati: ottimi. Nel giro di poche settimane un primo gruppo di rifugiati (cinque persone) ha trovato un appartamento. Andranno ad abitare insieme, e divideranno le spese dell’affitto e delle utenze. Per i cinque ragazzi rimasti nella struttura sono ancora in corso trattative con alcuni proprietari, ma la soluzione è vicina: lo assicurano sia i funzionari del Comune, sia gli studenti universitari che stanno seguendo con attenzione su tutta la vicenda. È probabile che già all’inizio dell’anno il campo profughi non esista più, e che tutti i migranti trovino finalmente una casa.
È un epilogo positivo, una buona notizia. Resta solo un piccolo dubbio: se la soluzione era così semplice e a portata di mano, non si poteva metterla in campo prima?

Sergio Bontempelli