Nello stesso giorno in cui si attendevano le mobilitazioni del “Movimento dei Forconi” e in ricorrenza della Giornata mondiale dei diritti dei migranti, una Roma meno visibile ma conflittuale ha manifestato partendo dai quartieri più profondamente multiculturali della città. La Roma degli stabili occupati (in gran parte da richiedenti asilo e rifugiati) quella delle periferie precarie, dei senza lavoro e senza diritti, dei centri sociali e del sindacalismo di base. Numericamente erano almeno il doppio rispetto a coloro che contemporaneamente sventolavano il tricolore e parlavano di italianità da Piazza del Popolo, ma era la prospettiva a distanziare ancora di più i due momenti. Da una parte c’erano coloro che non trovano più una rappresentanza politica, spesso moderata, a difendere i propri interessi, da quest’altra un esercito perennemente in crescita di irrappresentati e irrappresentabili. Le richieste di questa Roma meticcia alle istituzioni sono in realtà semplici e perfettamente in regola con il dettato costituzionale. Il diritto all’abitare, contro la speculazione edilizia che costringe migliaia di persone a basso reddito nelle occupazioni, il diritto a muoversi per l’Europa in cerca di prospettive migliori e ad arrivarci nel continente senza rischiare tanto di perire nel Canale di Sicilia che di finire defraudati di dignità nella cosiddetta “accoglienza”. Il diritto a potersi trovare un lavoro decente, al salario minimo garantito che unisce autoctoni e no, ad una scuola pubblica per tutti e di tutti. Il corteo meticcio, che fino a poche ore prima era vietato dalla Questura per timori di contrasto con l’altra mobilitazione e che alla fine si è svolto pacificamente ma con un percorso limitato ha riportato in strada, dopo la manifestazione del 19 ottobre, un mondo con cui tutti dovranno prima o poi confrontarsi. Meno populista e velleitario, rispetto a tante forme di protesta anche rappresentate in parlamento, più legato ai bisogni concreti che i patti di stabilità uniti al consolidamento di poteri forti, impediscono di soddisfare. Una questione di ordine sociale e politica quindi e non un problema di ordine pubblico risolvibile, come è stato fatto in passato, con sgomberi ed atti repressivi ma con risposte concrete e urgenti. Si potrà non essere completamente d’accordo con le modalità con cui questa nuova soggettività emerge, non si potrà però non tenerne conto. Non chiedono rappresentanza ma diritto a vivere dignitosamente. E di piazze come queste ce ne saranno presto altre