La vita in diretta

Capodanno a Ponte Galeria

Alessandra Ballerini - 6 Gennaio 2014

imagesNatale con con i tuoi e Capodanno con chi vuoi. Io ho voluto passarlo a Ponte Galeria, assieme all’onorevole Fabio Lavagno (Sel), perché per entrare nei Cie abbiamo sempre bisogno di un parlamentare che ci faccia autorizzare dalla Prefettura come “collaboratori” e perché stare con un amico fa sempre piacere, specie se è preparato e attento. Insieme a noi Luigi Manconi (Presidente Commissione Diritti Umani del Senato), le instancabili professioniste dell’associazione A Buon Diritto, un po’ di giornalisti di carta e tv. Lo sapevano al Cie che sarebbero arrivate le telecamere e così le tavole della mensa sono state imbandite a festa con pure la torta da fotografare, “intera, mi raccomando!”. Ma né i dolcetti né la partitella a calcio riescono a far dimenticare le sbarre che ovunque ti ritrovi di fronte e neppure possono nascondere il lordume dei cessi alla turca e la desolata sporcizia delle “stanze”. E nessun trucco né gioco di prestigio può cancellare le storie di queste persone, la rassegnata sofferenza dei loro volti.
Sono 87 oggi i migranti reclusi: 26 donne e 61 uomini, tra loro 17 profughi del mare arrivati qualche settimana fa sulle nostre coste, in fuga dai Paesi di origine. Sono molti i/le richiedenti asilo: vengono dalla Somalia, Nigeria, Costa d’Avorio, Tunisia e Libia. Di uno di loro, nato e cresciuto in Libia ma nigeriano di origine e cittadinanza, oggi è il compleanno. Vent’anni di fughe da festeggiare dietro le sbarre. Un altro viveva a Firenze con la sorella italiana e teoricamente sarebbe inespellibile, ma intanto sta qui ad aspettare che un giudice se ne accorga. Nella sezione femminile non va meglio. Ci sono donne vittime di tratta in attesa del permesso per protezione sociale ed altre che non lo prenderanno mai perché terrorizzate dalle vendette che una loro denuncia o anche solo istanza potrebbero comportare. Ci sono altre donne, cinesi, destinate, se non in possesso di passaporto, a trascorrere un anno e mezzo tra queste sbarre perché, come noto, le autorità diplomatiche cinesi non rilasciano documenti di viaggio ai loro connazionali irregolari. Una di loro è qui nel Cie da cinque giorni, da quando, dopo aver assistito a un delitto, è andata in questura a rendere testimonianza. Un comportamento da cittadina modello prontamente premiato con l’espulsione e il trattenimento, perché il suo permesso di soggiorno era scaduto da oltre 60 giorni. Un marito e dei figli, regolarissimi, l’attendono fuori. Speriamo ci sia un giudice giusto anche per lei. Quello che ha trovato finora ha convalidato il trattenimento. Seduta con lei c’è una bellissima donna della Costa d’Avorio che chiede con garbo, ma risoluta, di ascoltare la sua storia, perché “esemplare”, dice proprio così, dell’inefficacia delle nostre leggi. Lei ha un permesso di soggiorno olandese tuttora in corso di validità, quando è venuta nel nostro paese ha “sbagliato ma pagato col carcere”, finita la pena detentiva si credeva ormai libera e aveva già acquistato i biglietti per tornare in Olanda e invece l’hanno rinchiusa qui. Il giudice dapprima non credeva alla validità dei suoi documenti olandesi, ora pare essersi convinto, ma intanto tutti le dicono di aspettare. Cosa, non si sa. L’attesa è l’unica vera attività nel Cie. Si attende e si pensa. E i pensieri non fanno dormire e ti fanno ammalare. E se chiedi una medicina per il mal di testa o per il mal di pancia o per l’insonnia ti viene data sempre la stessa pillola. Un migrante mi chiede come sia possibile che una sola medicina possa curare tutto. Ed infatti non cura niente. Di certo non l’ansia e l’inquieta sofferenza data dal non conoscere la propria sorte né la durata o tantomeno il senso della propria detenzione. I migranti che vengono dal carcere ti assicurano che il Cie è peggio. Qui si paga non perché si ha sbagliato qualcosa ma perché si viene considerati sbagliati. È l’abnormità dei Cie: servono a punire persone senza reato né colpa, colpevoli di essere e non di fare. E questa abnormità, questa ingiustizia è parte della pena, la parte più feroce e sadica.
Mentre usciamo incontriamo un signore appena rinchiuso. Stava tornando dalla sua famiglia in Senegal con le valigie piene di regali per i figli, ma gli hanno spostato il volo di un giorno e lui si è dovuto fermare a dormire la notte in albergo dove viene regolarmente registrato col passaporto. All’alba, delle divise bussano alla porta della sua camera e lo trascinano nel Cie. Intanto l’aereo per Dakar, del quale aveva acquistato il biglietto, parte senza di lui. Domani dovrebbe avere l’udienza di convalida del trattenimento e rischia di passare rinchiuso 18 mesi per poi essere espulso nel Paese dove stava andando spontaneamente. E tutto a spese nostre. Ci indica le valigie e ci spiega la sua storia, il suo dramma, in perfetto italiano. La sua unica fortuna è che ha potuto parlare con parlamentari attenti e quindi forse verrà “spedito” in Senegal tra qualche giorno e non tra 18 mesi. Quando ci saluta pronuncia una benedizione, che, soprattutto dentro un Cie, non fa mai male. Ricambiamo pronunciando dentro di noi l’urgente augurio “Mai più Cie”, che non è solo lo slogan della Campagna LasciateCientrare, ma un impegno incessante.

Avv. Alessandra Ballerini

Campagna LasciateCIEntrare