Le stelle nere

Ecco chi era Eusebio

Mauro Valeri - 6 Gennaio 2014

15140_ori_eusebioPer comprendere come mai il Portogallo abbia decretato tre giorni di lutto per la morte di un calciatore, Eusebio, è forse opportuno ripercorrere la sua storia, innanzi tutto sportiva. Alla fine degli anni Quaranta del Novecento, il Portogallo è ancora un Paese coloniale, guidato dal dittatore Salazar, l’ideologo dell’Estado Novo, che sopravvive agli sconvolgimenti imposti dalla Seconda guerra mondiale, nella quale il paese era stato poco coinvolto. Oltre ad Angola, Capo Verde, Guinea Bissau e São Tomé, fa parte dell’impero coloniale portoghese anche il Mozambico, dove vigeva, così come nelle altre colone, una politica di forte separazione degli abitanti in base all’ascendenza e al colore della pelle. Come ricorderà Samora Machel, secondo presidente del Mozambico indipendente, la società risultava distinta in almeno 7 “strati”: all’apice c’erano i bianchi del Portogallo, seguiti dai bianchi nati in Mozambico, dagli indiani di Goa, dagli indiani dell’India, dai meticci (a loro volta distinti se erano nati da bianchi e indiani, da bianchi e neri o da indiani e neri), dai neri e, all’ultimo strato, dagli “indigeni”, ovvero la stragrande maggioranza degli abitanti. Essi non avevano né diritti né prerogative, nessuna protezione dalla legge. Scarsissime, se non nulle, le possibilità di ascesa sociale.
Il calcio però sfuggiva a questa regola, probabilmente perché il Portogallo, specie la sua Nazionale, continuava ad essere fuori dal grande giro del calcio internazionale. Storica era stata la pesantissima sconfitta patita in casa dalla Nazionale lusitana ad opera dell’Inghilterra per dieci a zero nel 1947. Il Mozambico si dimostra sin da subito terra di calciatori da trasferire in Portogallo per far acquisire valore alla madrepatria.
Tra i primi a partire è il meticcio José Antonio Barreto Travacos, che aveva indossato la maglia dello Sporting Lisboa già nella stagione 1946/47, esordendo a gennaio 1947 anche in Nazionale. È comunque un mozambicano il primo calciatore nero portoghese ad ottenere una discreta fama continentale: Lucas Sebastioa da Fonseca, detto Matateu, nato nel 1927 a Lourenço Marques (oggi Maputo), capitale del Mozambico, presto conosciuto come il Diamante Negro. Suo è probabilmente il primo gol che la Nazionale italiana subisce da un calciatore nero europeo, in occasione della partita giocata a Lisbona il 26 maggio 1957, valevole per le qualificazioni della Coppa del Mondo. Nell’Almanacco Panini viene presentato come “il famoso negretto Matetu”, che “con i suoi scatti, le aperture e i trasferimenti in velocità… metteva in crisi la nostra difesa”. In quella stessa partita gioca anche il gigantesco Arcanjo, anche lui nero portoghese, così come lo sono Duarte, Torres e Coluna, che invece giocano nella partita di ritorno a Milano. Anche Mario Coluna, classe 1935, era cresciuto sui campetti di Lourenço Marques, e, una volta trasferitosi in Portogallo, si era imposto prima con il Benfica e poi in Nazionale, dove conquista l’appellativo di Mostro sacro. È lui a guidare la squadra di Lisbona alla storica vittoria della Coppa dei Campioni nel 1961, battendo in finale il Barcellona, che per la prima volta regala al calcio portoghese un sogno di gloria.
È in questo scenario che si impone la figura di Eusebio Da Silva Ferreira, per tutti semplicemente Eusebio, nato, anche lui, a Lourenço Marques nel 1942. La sua infanzia era stata simile a quella di altri mozambicani con il suo stesso colore della pelle. Scriverà Edoardo Galeano: “Nacque destinato a lustrare scarpe, vendere noccioline o borseggiare gente distratta”. Da bambino lo chiamavano Ninguém (Niente, nessuno). Figlio di madre vedova, che metterà al mondo otto figli, giocava a pallone coi suoi molti fratelli negli spiazzi di periferia, dalla mattina alla sera. Secondo i racconti, Eusebio sarebbe cresciuto sugli stessi campetti del rione Mafalala dove aveva giocato anche Matateu, sebbene tra i due vi fossero ben 15 anni di differenza. Come molti suoi coetanei, anche Eusebio aveva come idoli proprio i calciatori neri e meticci che stavano meravigliando il mondo: Pelé, Didì, Garrincha. D’altra parte, erano state diverse le squadre brasiliane ad esibirsi a Lourenço Marques, raccogliendo la curiosità e la stima dei giovani neri e meticci mozambicani. E non sorprende che il nome che Eusebio aveva voluto dare alla squadretta del rione messa su insieme ai suoi amici, era stato proprio O Brasileiros, di cui lui, ovviamente, era Pelé.
La carriera calcistica vera e propria era iniziata con lo Sporting de Lourenço Marques, squadra legata allo Sporting Lisboa, anche se in realtà Eusebio sognava di giocare per il Desportivo, la squadra locale legata al Benfica, di cui lui era un grande tifoso e ammiratore di Mario Coluna, più grande di sette anni. Ma quando si era presentato per il provino con il Desportivo, era stato rifiutato perché non aveva l’equipaggiamento per allenarsi. A nulla era servito un secondo tentativo. Offeso, Eusebio era andato a sostenere il provino con lo Sporting che invece lo aveva subito ingaggiato e con il quale aveva vinto il campionato locale, imponendosi anche come capocannoniere della Lega. La svolta della sua carriera si era registrata all’inizio del 1961, quando a Lourenço Marques era arrivata, per disputare alcune partite con le formazioni locali, la squadra brasiliana del São Paulo, allenata dall’afrobrasiliano Josì Bauer, ex giocatore della Nazionale. Avendo vinto l’ultimo campionato, lo Sporting aveva sfidato i brasiliani, ed Eusebio nell’occasione aveva segnato due gol, mettendosi in ottima evidenza. Bauer avrebbe voluto mettere subito sotto contratto quel ragazzo prodigio, ma non era riuscito ad arrivare ad un accordo sull’ingaggio (e chissà come sarebbe stata la storia del calcio se Eusebio avesse giocato in Brasile!). Bauer aveva comunque consigliato Eusebio al Benfica, che, rimediando all’errore commesso dal Desportivo, era invece riuscito ad ingaggiarlo immediatamente, soffiandolo così ai “cugini” dello Sporting Lisboa.
Su questo ingaggio l’aneddotica è piuttosto ricca. Per alcuni è una scelta fortemente condizionata dalla madre di Eusebio, Elisa Anissabeni, grandissima fan dei rossoverdi di Lisbona. Per altri, la segnalazione di Bauer al Benfica sarebbe avvenuta in circostanze del tutto fortuite, addirittura in un salone di barbiere di Lisbona, dove su una poltrona sedeva Bauer, e su un’altra, casualmente, l’allenatore del Benfica Guttman (già c.t. del São Paulo e prima ancora del Milan); Bauer, appena di ritorno dal Mozambico, aveva raccontato al suo amico di aver ammirato un giovane e brillante calciatore locale, appunto Eusebio. Gli elogi di Bauer non erano caduti nel vuoto e, appena possibile, Guttman era volato in Africa per un ulteriore controllo: viste confermate le qualità del ragazzo, aveva fatto di tutto per ingaggiarlo nel più breve tempo possibile. Esiste anche un altro racconto che vale la pena di riportare. Tra i primi a scoprire le qualità di Eusebio vi sarebbe un italiano, Ugo Amoretti, portiere con un buon passato con diverse squadre di serie A e con una presenza anche in Nazionale. Finito chissà come in Mozambico, era diventato l’allenatore di quelli che alcuni chiamano la Nazionale mozambicana (!). Quando Amoretti aveva visto quel giovane portento locale, era tornato in Italia per cercargli un ingaggio. Ma mentre stava rientrando in Mozambico, Eusebio era già stato trasferito in Portogallo, con la benedizione della madre. Tuttavia, lo Sporting Lisboa non si era dato affatto per vinto, e, rivendicando il precedente tesseramento di Eusebio con lo Sporting de Lourenço Marques, era disposto a tentare il tutto per tutto per convincerlo a tesserarsi per la squadra, aspettandolo a Lisbona, prima che firmasse il definitivo ingaggio con i “cugini”. Ma quelli del Benfica, subodorando il blitz, avevano “rapito” Eusebio sin dal suo arrivo all’aeroporto, e lo avevano nascosto in un villaggio di pescatori nell’Algrave, dove il ragazzo era rimasto per qualche mese, fino a quando la polemica con lo Sporting non si era pacata. È per questo motivo che Eusebio fa il suo esordito con la maglia del Benfica soltanto il 23 maggio 1961. Pochi giorni dopo, la squadra si aggiudica la Coppa dei Campioni, sebbene Eusebio non sia in squadra.
Comunque ci mette poco a far vedere tutto il suo repertorio: tocco morbido, tiro radente, abilità di aggirare l’avversario, potenza fisica. Dopo sei mesi dal suo trasferimento in Portogallo indossa la sua prima maglia della Nazionale, realizzando già un gol all’esordio. Certo è che Eusebio arriva puntuale al suo appuntamento con la storia. E lo fa inizialmente con il Benfica, che riesce a vincere la Coppa dei Campioni 1962 battendo il Real Madrid per 5 a 3, con doppietta finale proprio di Eusebio, che ormai tutti iniziano a chiamare la Pantera Nera. Scrive ancora Galeano: “Fece il suo ingresso sui campi correndo come può correre solo chi fugge dalla polizia o dalla miseria che gli morde i talloni. E così, tirando e zigzagando, divenne Campione d’Europa a vent’anni. Allora lo chiamarono la Pantera”. A dimostrazione del suo ottimo stato di forma, a fine stagione Eusebio ottiene il secondo posto nel trofeo del Pallone d’Oro, destinato annualmente al miglior calciatore che milita in un campionato europeo. Davanti a lui solo il cecoslovacco Josef Masopust del Dukla Praga. Grazie a Eusebio e Coluna, la Nazionale portoghese diviene fortemente competitiva, e lo stesso avviene con il Benfica, che, nel giro di cinque anni, riesce ad arrivare nuovamente in finale in tre edizioni della Coppa dei Campioni; perse però contro il Milan nel 1963, l’Inter nel 1965 e il Manchester United nel 1968 (dove però Eusebio vince la classifica capocannonieri). La partita di Wembley rimarrà alla storia anche per un gesto di grande sportività da parte di Eusebio: a pochi minuti dalla fine dei tempi regolamentari, un suo gran tiro impegna il portiere inglese Stepney in una splendida parata. Anziché irritarsi, il mozambicano si congratula con il portiere, raccogliendo un lungo applauso del pubblico.
Intanto, nel 1965 si aggiudica il Pallone d’Oro ed è il primo calciatore nero “europeo” a conquistare questo ambito trofeo (e sarà l’unico fino al 1987). Inoltre, nel 1966 arriva secondo nella stessa competizione, dietro l’inglese Bobby Charlton del Manchester City. Ormai Eusebio è all’apice della sua carriera, che conferma trascinando il Portogallo fino al terzo posto finale – riuscendo a battere nei quarti di finale anche il Brasile per 3 a 0, con una sua doppietta – e vincendo ancora una volta la classifica capocannonieri con 9 reti. Se il Portogallo viene chiamato da tutti “il piccolo Brasile” (anche per il ruolo fondamentale che danno i calciatori neri), Eusebio diviene, come Pelé, la Perla Nera o addirittura il nuovo Pelé (anche se tra i due giocatori vi è una differenza d’età di appena due anni) o, ancora, la risposta europea a Pelé. Finito il Mondiale sono molte le grandi squadre a voler tesserare Eusebio. Lo vogliono anche la Juventus, l’Inter e il Milan. Tuttavia, così come era accaduto per Pelé, anche per Eusebio c’è un intervento diretto dei politici, in questo caso dello stesso Salazar, che aveva paragonato il calciatore ad una “istituzione nazionale” e quindi incedibile a club esteri. Da lì a breve, però, il golden age del calcio portoghese tende ad esaurirsi, risentendo dell’uscita di scena di molti giocatori provenienti dalle colonie e della mancanza di inserimento di nuovi calciatori del Mozambico, dove, dal 25 settembre 1964, aveva ufficialmente avuto inizio la lotta armata di liberazione che porterà, dopo dieci lunghi anni, all’indipendenza.
Eusebio gioca ancora alcuni buoni campionati, vincendo diversi scudetti e alcune Coppe del Portogallo. Nel 1968, con 42 reti in 24 partite, ha anche la soddisfazione di vincere la prima edizione della Scarpa d’Oro, il trofeo messo in palio dalla rivista francese France Football e assegnato al cannoniere che avesse realizzato in assoluto il maggior numero di reti in un campionato europeo. Si ripeterà anche nel 1973 con 40 reti in 28 incontri, nonostante nel 1969 avesse subìto una delicata operazione al ginocchio, che gli aveva impedito di partecipare alla fase eliminatoria della Coppa del Mondo del 1970, motivo per il quale il Portogallo non era riuscito a qualificarsi. Nel 1975 anche Eusebio, dopo aver lasciato la Nazionale, decide di smettere di indossare la maglia del Benfica con la quale aveva giocato complessivamente 301 partite e segnato ben 317 gol, con una media davvero sorprendente (1,04), divenendo di diritto il più grande goleador del Paese. Complessivamente vince 11 campionati (1961 – ma solo formalmente – 1963, 1964, 1965, 1967, 1968, 1969, 1971, 1972, 1973 e 1975), 5 Coppe di Portogallo (1962, 1964, 1968, 1970 e 1972) e una Coppa dei Campioni (1962, anche se in alcuni curriculum gli viene assegnato “d’ufficio” anche quella del 1961, alla quale però non aveva partecipato). A queste vittorie vanno anche aggiunte le 7 volte che è stato capocannoniere del campionato, il Pallone d’Oro nel 1965, la Scarpa d’Oro nel 1968 e nel 1973. Con la Nazionale, invece, in 64 partite segna 45 gol. Lasciato il Benfica, Eusebio continua a giocare, ma all’estero: Stati Uniti, Canada e, dopo un breve rientro in Portogallo (ma con lo SC Beira Mar), ancora Stati Uniti, per poi chiudere la sua carriera calcistica in Messico nel 1979. Come scrive ancora Galeano: “Fu un africano del Mozambico il miglior giocatore in tutta la storia del Portogallo: Eusebio, gambe lunghe, braccia cadenti, sguardo triste”.

Mauro Valeri*
Autore del libro La razza in campo. Per una storia della Rivoluzione Nera nel calcio (2005)