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Modena, Cie era una volta…

Stefano Galieni - 6 Gennaio 2014

CIENonostante il linguaggio ambiguo della burocrazia, il concetto è chiaro: «È stato soppresso, con decreto del Ministero dell’Interno, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, il Centro di identificazione ed espulsione di Modena». Il provvedimento, emanato il 23 dicembre scorso, è stato reso noto dal prefetto Michele Di Bari, che anche nei mesi trascorsi, a seguito delle proteste dei sindacati e dei trattenuti, si era interessato alla chiusura temporanea già disposta nello scorso agosto. Allora si era parlato di necessari lavori di ristrutturazione, volti a ripristinare la completa agibilità dello spazio, dopo le rivolte che si erano susseguite. Ora però, anche in attesa di modifica generale della gestione dei centri e dell’intero sistema Cie: «la Prefettura ha avviato le procedure per la disdetta del contratto di locazione dell’immobile e dei contratti di manutenzione per la gestione degli impianti del centro». In pratica si rimanda, a data da destinarsi, l’inizio di lavori strutturali, ma nel contempo si dismette l’impianto. A volere aperto il centro, a credere nella sua “funzionalità”, erano ormai rimasti in pochi nella cittadina emiliana. Lo stesso sindaco, Giorgio Pighi, si era espresso mesi or sono per la sua trasformazione, suggerendo di usarne i locali come spazio per misure alternative alla pena per carcerati prossimi alla fine pena. Altri immaginano di poterlo rendere un luogo destinato ai rifugiati nel quadro dell’ampliato sistema Sprar. Gli stessi abitanti che ad inizio degli anni 2000 avevano raccolto firme per la sua apertura ne hanno sperimentato direttamente il fallimento. Un centro piccolo, questo di Modena, capace di ospitare non più di 60 persone ma che ha sempre fatto discutere, sin dalla sua realizzazione, quando ancora si chiamavano Cpt.

Le origini
Da quando, tramite la legge 40/98 (Turco-Napolitano) erano stati istituiti i Cpta, la “rossa” Emilia Romagna, si era dichiarata disponibile ad ospitarne nel proprio territorio. Originariamente dovevano essere tre: a Bologna, Rimini e appunto a Modena, ma il progetto riminese decadde rapidamente. Nel 2002 si individuò a Modena l’edificio adatto, nel quartiere S. Anna, a due passi dal carcere e nel novembre dello stesso anno due ragazze nigeriane appena ventenni varcarono per prime le porte della struttura. La capacità di accoglienza, limitata inizialmnente a 20 persone, venne portata a 60 nel gennaio successivo. Sei unità abitative, tutte al pian terreno, ognuna con due o tre stanze da letto, un bagno, uno spazio comune e un piccolo giardino. Un anonimo edificio a due piani: sotto gli “ospiti”, sopra gli uffici della polizia e dell’ente gestore. L’appalto era andato, non senza sollevare il dubbio di un conflitto di interessi, alla Confraternita della Misericordia, presieduta da Daniele Giovanardi, fratello dell’allora ministro per i Rapporti con il Parlamento. Il centro, aperto 6 mesi dopo quello bolognese, era stato voluto soprattutto dalla allora giunta di centro-sinistra, nonostante i dubbi espressi non solo dai movimenti raccolti attorno al Forum Sociale ma dallo stesso presidente della Regione, Vasco Errani e dal vescovo monsignor Benito Cocchi, allora presidente nazionale della Caritas. Tre anni prima la Confederazione degli artigiani (Cna) locale e l’associazione Vivere Sicuri (sic) raccolsero firme per chiedere interventi più duri contro la criminalità (ovviamente straniera). Era un periodo di fobia securitaria nella placida cittadina emiliana e il Cpt venne visto come la giusta soluzione tanto dal sindaco Giuliano Barbolini quanto dal questore Oscar Fioriolli. Per risolvere il problema dei detenuti rilasciati con troppa facilità, entrambi pensarono di poter utilizzare i Cpt per «far scontare almeno 30 giorni (60 con la riforma) ai “delinquenti”». In particolare, il sindaco rilasciò una singolare intervista, poi fatta propria dallo stesso direttore Daniele Giovanardi, in cui si affermava: «Questa struttura non servirà ad arrestare coloro che vengono clandestinamente a cercare lavoro in Italia. Loro in un Cpt non devono neppure metterci piede, anzi devono essere sostenuti nella loro ricerca». Ma a stabilire che i piccoli reati debbano essere puniti con la carcerazione immediata non dovrebbero essere le amministrazioni locali, mentre la legge che istituiva i centri di questa eventualità non parlava proprio. «Io non so se sia un problema di disfunzione del sistema carcerario italiano – ribadiva il sindaco – ma ho fiducia che il nuovo Cpt sarà utile per risolvere il problema della delinquenza. Se non sarà così, sarò io il primo a prendere i cartelli e scendere in piazza». Ma a protestare contro un centro da subito fallimentare, furono soltanto alcune forze politiche della sinistra diffusa, i centri sociali, l’associazionismo solidale, la Cgil (anche Siulp) e il vescovo.

I risultati
Il centro doveva essere la dimostrazione di come fosse possibile garantire una assistenza di altissima qualità, non a caso si ottenne che per ognuno dei trattenuti lo Stato garantisse circa 75 euro giornalieri. Come poi venissero spesi questi soldi resta un mistero. Il 18 aprile del 2004 Report mandò in onda un servizio televisivo realizzato da Giovanna Boursier nel quale Daniele Giovanardi dichiarò candidamente che parte del denaro ottenuto per la gestione sarebbe servito per acquisire nuove ambulanze. Il professor Giovanardi era infatti anche primario presso il policlinico cittadino.
La mattina del 25 dicembre 2004 una giovane rumena, trattenuta nel Cpt nonostante fosse incinta di nove mesi, partoriva una bambina che avrebbe poi chiamato Natalia in ricordo di quel giorno, senza che il personale del centro avvertisse i servizi sociali della città di Modena. La bambina nacque a bordo dell’ambulanza che portava finalmente la madre a partorire. Nel settembre del 2006, W.F. 26 anni cinese, veniva ricoverata per trauma da percosse. Doveva essere rilasciata proprio il 22 del mese perché alla scadenza del suo sessantesimo giorno di permanenza al Centro, ma non era stata identificata. Non trovando gli operatori, la ragazza, che non parlava italiano, aveva cominciato ad agitarsi. A quel punto – secondo quanto hanno raccontato le compagne del reparto femminile – sarebbe intervenuto un agente di polizia, di turno al controllo della struttura, che l’avrebbe prima bloccata e schiaffeggiata, per poi prenderla a calci una volta caduta a terra. «Abbiamo assistito tutte alla scena, è stata molto violenta, abbiamo sentito le sue urla», dichiararono allora le compagne alla stampa. E a seguire, pestaggi e denunce per “resistenza a pubblico ufficiale”, fino al suicidio, il 15 ottobre 2007 di un ragazzo tunisino di 23 anni seguito, “imitato”, a 48 ore di distanza, da un altro trattenuto di 25 anni. Gli stessi funzionari di polizia avevano in passato protestato anche con gesti eclatanti, minacciando le proprie dimissioni. Non volevano continuare a fare i secondini.
La trasformazione in Cie e l’aumento dei tempi massimi di trattenimento, non fanno che peggiorare la situazione nel centro, nel 2011 con la Spending review c’è un taglio drastico dei finanziamenti che la Misericordia dichiara di non poter sostenere. Una gara al ribasso che viene aggiudicata dal Consorzio L’Oasi di Siracusa, già intestatario degli omologhi di Bologna e Trapani (Contrada Milo). I lavoratori percepiscono solo i primi due mesi di stipendio, poi, in seguito alle proteste, deve provvedere la prefettura. Nel frattempo continuano i fattacci di cronaca spicciola, da ultimo, nel marzo 2012, il trattenimento ingiustificato di Andrea e Senad, due giovani apolidi di origine bosniaca ma nati e cresciuti in Italia. Nell’agosto del 2013, il 14, il centro viene temporaneamente chiuso mentre nel frattempo veniva annullato l’atto di gestione a causa della mancanza del Durc (Documento Unico sulla Regolarità Contributiva): in pratica non erano stati versati ai dipendenti neanche i contributi. La Prefettura dispone verifiche sulla convenzione, il sostituto procuratore Marco Niccolini ha avviato un’indagine sulle condizioni igienico-sanitarie del centro che ha affiancato quella sulla gestione generale e contabile. I detenuti sono stati trasferiti altrove. E per i 30 dipendenti è stata firmata la Cassa integrazione straordinaria in deroga a zero ore per 3 mesi. Il 16 novembre la Cgil ha chiesto il rinnovo fino alla fine dell’anno. Ma L’Oasi non ha inviato la documentazione necessaria alla Regione e la cassa integrazione non è partita. Daniele Giovanardi ha anche dichiarato che riprenderebbe la gestione del centro, anche a costi stracciati, ma senza ex detenuti. C’è solo da augurarsi che Modena resti senza Cie. A protestare contro la chiusura resta la destra, in particolare si registra l’accanimento del vice sindaco di Sassuolo Francesco Menani (Lega Nord) che ha scritto al ministro Angelino Alfano chiedendo che i Cie vengano rifinanziati e potenziati.

Stefano Galieni