Emergenza casa

Ancona de Ni’altri

Sergio Sinigaglia - 13 Gennaio 2014

L’emergenza abitativa, che colpisce famiglie in condizione di disagio economico, sia migranti che autoctone, non si verifica solo nelle metropoli. Ad Ancona l’esperienza dell’occupazione di un edificio come unica alternativa praticabile.

Nel 2012 nelle Marche sono stati eseguiti 812 sfratti. Uno ogni 512 famiglie, a fronte di una popolazione che conta circa 1.500.000 di abitanti. Complessivamente i provvedimenti di sfratto hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 1.251, mentre il totale delle richieste è stato di 3.357. Queste poche ma esemplari cifre dimostrano come la questione casa abbia ormai toccato livelli di guardia anche in una regione dove fino a poco tempo fa il problema era marginale. Ecco perché ciò che è accaduto il 22 dicembre ad Ancona non può sorprendere. La domenica prima di Natale una sessantina di senza casa ha occupato una scuola comunale chiusa da tre anni per un problema, non grave, di inagibilità. Un’azione eclatante per una città e una regione che neanche ai tempi del fatidico ’68 avevano visto accadere una cosa del genere.

Il tutto ha avuto inizio con le elezioni comunali. In passato, durante il periodo del movimento altermondialista, anche nel capolugo marchigiano c’erano stati tentativi di avviare percorsi di democrazia partecipata, ma erano abortiti perché si sono avvitati in logiche autoreferenziali. A giugno, con la scadenza elettorale, è nato il progetto Ancona Bene Comune. Intorno alla candidatura di Stefano Crispiani, avvocato con alle spalle un lungo impegno nella sinistra politica e sociale, iscritto a Sel, è nata la  lista Sel-Ancona Bene Comune, aperta a molte candidature esterne. Un percorso eretico, tradottosi con la scelta di porsi all’opposizione della nuova giunta targata Pd. A partire dalle elezione di due consiglieri il Progetto Ancona Bene Comune, a settembre, ha visto l’adesione di alcune associazioni impegnate nel sociale, in particolare sui temi dell’immigrazione e dell’antirazzismo. Oltre alle questioni più tradizionali, democrazia dal basso, lavoro, reddito, il problema casa è entrato nell’agenda dopo che il responsabile locale dell’Unione Inquilini ha segnalato come anche ad Ancona stesse raggiungendo il livello di guardia con decine di sfratti, seppur non tutti esecutivi.

E il casus belli è stato proprio il provvedimento arrivato ad una pensionata che viveva con un reddito di 520 euro. La donna da alcuni anni viveva nella piccola abitazione della signora a cui faceva da badante. Morta l’anziana, non sapendo dove andare, è rimasta nell’appartamento di proprietà dell’Erap, l’ente regionale per le case popolari, pagando regolarmento l’affitto (80 euro) e utenze. Poi, improvvisamente, si è vista triplicare il canone e da qui, impossibilitata a pagare la cifra, il provvedimento di sfratto. Su questa cosa si sono mobilitati Ancona Bene Comue, Unione Inquilini e il Gruppo Anarchico Malatesta che il 12 novembre hanno impedito lo sfratto. Il 29 novembre lo stesso circuito associativo ha indetto un’assemblea cittadina sulla casa per fare il punto sulla situazione.

Si è presentata una quindicina di profughi richiedenti asilo, quasi tutti con permesso di soggiorno, che ha denunciato la loro allucinante situazione. Una specie di “delegazione” la quale ha fatto presente che decine di immigrati di vara generazione dormivano all’aperto tra il porto e la stazione, con temperature notturne che in quei giorni scendevano sotto gli zero gradi. A quel punto il movimento è diventato un fiume in piena. Il dieci dicembre si è ritrovato di nuovo davanti all’appartamento per impedire il secondo tentativo di sfratto della pensionata. Obiettivo raggiunto, con la scelta dell’avvocato dell’Erap di rinviare il tutto al 26 febbraio per consentire l’individuazione di una soluzione alternativa. Poi, associazioni e migranti, si sono recati in Comune occupando la Sala della Giunta prima della sua riunione per denunciare la situazione di chi dormiva da mesi in strada. Situazione già denunciata nei giorni precedenti sui giornali con comunicati stampa, senza che dall’amministrazione arrivasse qualche segnale. Il sindaco Valeria Mancinelli di fronte alla folta “delegazione” si è messa ad urlare in modo scomposto e se n’è andata, lasciando gli assessori Urbinati (casa) e Capogrossi (servizi sociali) a confrontarsi con la rabbia e l’indignazione dei senza casa. Dopo vari interventi è stato convocato per il 18 dicembre un nuovo incontro rivelatosi infruttuoso e dove Urbinati ha dato il meglio di sé rispondendo più volte al cellulare mentre alcuni migranti raccontavano la loro tremenda odissea. Alla fine, di fronte alla latitanza della giunta, si è deciso di passare alle vie di fatto. Domenica 22, sessanta persone hanno occupato la Scuola Regina Margherita, un edificio che sorge nel quartiere Piano San Lazzaro di Ancona, una zona popolare da sempre con un’alta percentuale di immigrati. La struttura è a un piano dove ci sono due aule dichiarate non agibili per un problema ai controsoffitti. Dunque un criticità non grave. Gli occupanti si sono insediati al piano terra trovato in discrete condizioni. In poco tempo sono arrivate luce e acqua, mentre per il riscaldamento, dato che la caldaia è rotta, ci si è attrezzati con delle stufette elettriche. L’occupazione ha sollevato un clamore mediatico e politico. E subito si sono manifestate due società: quella della solidarietà concreta rappresentata dall’associazionismo cattolico e laico, da tanti cittadini, dagli stessi abitanti del quartiere. Sono arrivati cibo, materassi, coperte, in modo da rendere vivibile in pochi giorni la scuola, ribattezzata Casa de ni’altri che in dialetto anconetano significa Casa nostra, cioè la Casa di tutti. Anche il vescovo ha preso posizione manifestando comprensione e solidarietà verso l’iniziativa. Di altro genere le reazioni della giunta e del sindaco. Il vicesindaco ha definito gli occupanti “rivoluzionari della domenica”, mentre l’assessore Urbinati, con una notevole faccia tosta, ha dichiarato alla stampa che a lui non risulta esserci gente che dorme in strada. La mappa  degli occupanti di Casa de ni’altri è rappresentativa di chi subisce i costi delle politiche antisociali in atto: profughi politici, immigrati da anni residenti in città che rimasti senza lavoro hanno perso anche la casa, anconetani nella stesse situazione. Le culture presenti sono tante: Sudan, Costa D’Avorio, Niger, Nigeria, Somalia, Romania, Tunisia, Algeria, Italia. Una comunità che con il passare dei giorni ha imparato a conoscersi, rispettarsi, vivere insieme. Il 30 dicembre il sindaco si è presentato per un primo incontro con assessori e servizi sociali, accolto dall’assemblea di Casa de ni’altri unico organo di scelta e sintesi degli occupanti. Le proposte fatte miravano, e mirano, a dividere, dato che si è parlato di soluzioni per sei mesi proprio in quelle strutture di accoglienza già ben tristemente conosciute da gran parte degli interessati, strutture dove abitualmente è possibile stare per alcuni giorni e solo per dormire. In aggiunta il sindaco ha ventilato la possibilità di venti camere di una casa di suore, anche in questo caso solo fino a primavera. La riposta è stata chiara: qui noi stiamo bene, eravamo soli e ci siamo costituiti in comunità, abbiamo cibo (è funzionante una cucina interna), un tetto, delle camere (ricavate in pochi giorni grazie all’intrapendenza e alla creatività di tutti). In città ci sono edifici pubblici inutilizzati. A partire da questa nostra esperienza si dia vita a progetti di housing sociale, con percorsi di autoristrutturazione che coinvolgano anche le altre centinaia di senza casa. Casa de ni’altri è determinata a resistere, forte anche della solidarietà incontrata. L’occupazione continua.

Sergio Sinigaglia