Malaccoglienza

Messina, l’accoglienza nel fango

Eleonora Corase - 13 Gennaio 2014

1171150052363d942843aIl campo profughi allestito a Messina per disposizione del Prefetto non smette di riservare sorprese. In negativo. Non bastano le tende con tutto quello che ne consegue per i migranti accolti in queste modalità: la mancanza di una mensa interna, solo tre bagni nel palazzetto sportivo limitrofo al campo, i vestiti appoggiati dove capita, le passerelle in legno per evitare il fango del terreno. C’è un ulteriore problema: l’allagamento. Le autorizzazioni per piantare le tende erano state rilasciate dall’Università di Messina, proprietaria del polo sportivo “PalaNebiolo” l’8 ottobre scorso. Da allora, questo è un centro di smistamento temporaneo per migranti. Ad ogni giornata di pioggia, con un processo di causa-effetto matematico, tristemente scontato, il campo da baseball in cui sono state erette le trentadue tende per i rifugiati si trasforma in un lago. Il sistema di drenaggio, infatti, funziona troppo lentamente o non funziona affatto. Così, il 26 dicembre scorso, dopo una notte di temporali, i richiedenti asilo sono stati vittime di una vera e propria alluvione. Il campo è diventato una piscina, un laghetto artificiale racchiuso tra gli alti spalti delle tribune. In quell’occasione l’acqua entrò nelle tende, inzuppando vestiti, sfiorando tragedie, visto il ravvicinato contatto delle poche stufe elettriche accese per arginare il freddo. Fu allora che un gruppo di loro, insieme ad attivisti e volontari, occupò il Comune di Messina, con il fermo intento di non tornare più a dormire in tenda. Per questo, alcuni arrivarono a proclamare lo sciopero della fame, che durò due giorni, quando la Prefettura iniziò con i primi trasferimenti. Per tre notti, grazie alla disponibilità di alcuni istituti religiosi e del Teatro Occupato della città, i migranti hanno trovato un luogo dove pernottare. Il quarto giorno arrivò il monito dal Prefetto: sarebbero dovuti rientrare nelle tende, o avrebbero perso i diritti connessi allo status di rifugiati politici. Nel frattempo, il campo era stato drenato in seguito all’intervento dei Vigili del Fuoco e loro rientrarono, sperando nei trasferimenti, ma anche in questo caso sorsero problemi. Il primo gruppo di 40 persone, infatti, doveva essere trasferito a Pozzallo, il secondo – di altre 50 – all’Umberto I di Siracusa, due centri che non godono di ottima fama. L’Arci e gli attivisti hanno bloccato il pullman diretto a Pozzallo e venti migranti hanno scelto di rimanere a Messina, sperando in una sistemazione migliore. Per questo, il loro rappresentante, un ragazzo Gambiano di nome Ibrhaim, ha inviato anche un appello al Santo Padre, sull’esempio di quanto fatto dai migranti rinchiusi nel Cie di Roma. Il 30 dicembre, la Prefettura comunicò quello che sembrò un compromesso: i rifugiati avrebbero continuato a dormire in tenda fino al 2 gennaio, quando sarebbero stati trasferiti in centri Sprar, il sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati dell’Anci. I progetti Sprar, però, debbono attendere la manovra di stabilità per poter attivare 16.000 posti in tutta Italia, quindi la loro disponibilità è momentaneamente slittata a febbraio. Il 2 gennaio, di mattina, i 58 migranti rimasti a Messina sono stati trasferiti nei Cara di Puglia e Lazio. Nel frattempo, l’Azienda Sanitaria Provinciale ha effettuato un sopralluogo al campo profughi, il cui esito sembrava scontato fosse negativo. Il 2013 a Messina si chiuse con la speranza dei più cauti e la certezza dei più ottimisti che vedeva tramontare il triste capitolo della tendopoli. Nei primi giorni dell’anno sono però sopraggiunti nuovi sbarchi. Le navi della marina militare, impegnate nell’Operazione Mare Nostrum, hanno soccorso nel Mediterraneo, in sole ventiquattro ore, oltre 1.000 migranti trasferiti direttamente nel porto di Augusta, destinato a diventare il principale centro di prima accoglienza, scavalcando Lampedusa e Porto Empedocle. Da qui, il 4 gennaio, con cinque pullman, la scorta e sessanta persone – tra volontari della Croce Rossa e operatori – ad attenderli per la prima assistenza nel campo profughi, sono arrivate a Messina 250 persone. Tutti giovani uomini di diverse nazionalità, soprattutto Senegal, Nigeria, Gambia e Mali. Lungi dall’essere demolita, dunque, la tendopoli viene sfruttata al massimo della sua capienza – otto persone per tenda. Si riaccende, nel frattempo, lo scontro istituzionale che vede contrapposti il Comune e la Prefettura. La relazione dell’azienda sanitaria, che per ammissione dello stesso direttore contiene “gravi criticità”, è stata consegnata direttamente al Palazzo di Governo, boicottando il Comune e costringendo il Sindaco Accorinti a fare richiesta di accesso agli atti. La città continua, comunque, ad offrire soluzioni di accoglienza alternative: dal Comune, che ha dato la disponibilità di requisire un residence, alla Caritas, che ha messo a disposizione un centinaio di posti. La Prefettura, finora, ha respinto tutte le proposte. Intanto, sono 40 i minori sottratti al campo profughi e affidati ai servizi sociali, più 25 appena identificati ai quali si dovrà trovare una collocazione. Nel frattempo il Ministero della Difesa ha messo a disposizione del Viminale una Caserma non più utilizzata. I sopralluoghi alla caserma si susseguono e con la sua attivazione quello di Messina si istituzionalizzerebbe come centro di “smistamento” per migranti e profughi. L’area in questione è immensa e – se utilizzata integralmente – offre la disponibilità per un minimo di 1.200 posti. Associazioni, attivisti e società civile sono preoccupati: si teme la realizzazione di un altro centro simile a Mineo, per giunta in una zona militare. Antonio Mazzeo, giornalista e scrittore, commenta così la vicenda: «Si chiude il ciclo della guerra ai migranti e alle migrazioni avviato con l’operazione Mare Nostrum: la semidetenzioni nelle caserme off limits ai civili e alla giurisdizione civile. Questo progetto sperimentale partirà, per decreto ministeriale, nella città di Messina». Ma è accaduto anche altro: i ragazzi del primo gruppo, quelli giunti ad ottobre e andati via a novembre, sono tornati per passare le feste con quelli che ormai sono diventati gli “amici di Messina”. Questa città, ultima in gran parte delle classifiche tra le varie città italiane, vanta, infatti, comunque una tradizione d’accoglienza strutturata e decennale. Proprio per questo, una decina dei ragazzi africani ha espresso il desiderio di trascorrere il Natale con i volontari e attivisti e, seppur musulmani, hanno dichiarato: «Ogni ricorrenza è importante, perché ti ricorda che sei sopravvissuto per poterla vedere e vivere». Questo vale nonostante e a maggior ragione del fatto che l’accoglienza a Messina si svolga proprio nelle modalità inaccettabili di una tendopoli. Una sistemazione che per enti come l’Arci e per singoli cittadini e volontari è una ferita intollerabile.

Eleonora Corace