Campagne

Miseria Ladra! Contro povertà e ingiustizia

- 13 Gennaio 2014

Striscione Miseria Ladra

«Miseria Ladra». Sembra un’imprecazione, un’invettiva. Una di quelle usate dai nostri nonni, che ricordavano la loro povertà passata con amarezza e con rabbia. Ma anche con l’orgoglio di chi “ce l’aveva fatta”, di chi aveva saputo e potuto superare le proprie umili origini. Urlare «miseria ladra» significava esorcizzare un passato di privazioni e di rinunce: era un modo per dire che quel passato non doveva più tornare, che si era finalmente voltato pagina, che l’Italia si era trasformata in una terra di ricchezza e di benessere per tutti (o quasi).
Forse non è casuale che oggi si urli sempre meno, quel «miseria ladra». E non è casuale che queste due parole siano diventate il titolo di una campagna nazionale contro la povertà, promossa da Libera e Gruppo Abele. Già, perché oggi la miseria, i sacrifici, la precarietà non sono alle nostre spalle: sono il nostro presente, e rischiano di diventare il nostro futuro.

«Miseria ladra» si articola in dieci proposte concrete, rivolte sia al Governo nazionale che agli Enti locali e territoriali. Obiettivo: dichiarare illegale la povertà. E uscire dalla crisi superando le mille forme di esclusione, di emarginazione e di iniqua distribuzione delle ricchezze.
Le proposte sono di natura e scala diverse. Si va dalla rinegoziazione del debito pubblico, al reddito di cittadinanza, dalla sospensione degli sfratti, alla moratoria dei crediti di Equitalia e delle banche, solo per citare le più significative. Giustamente “universalista” – cioè rivolta ad affrontare il problema della povertà in generale, in tutte le fasce della popolazione – la campagna non dimentica le forme di impoverimento che colpiscono in particolare i migranti. Ed è (anche) per questo che il nostro giornale ha deciso di dare voce e forza all’iniziativa. Ne abbiamo parlato con Giuseppe De Marzo, dirigente di Libera e coordinatore di «Miseria Ladra».

Come nasce questa campagna?
«Nasce dalla fotografia impietosa del nostro Paese fornita recentemente dall’Istat. In Italia ci sono 9 milioni e mezzo di persone (il 15,8% degli abitanti) in condizione di povertà relativa, cioè che vivono con 506 euro mensili. In povertà assoluta si trovano invece 4 milioni e 800 mila persone, fra cui anche 700 mila bambini e ragazzi. Vuol dire che quasi una persona su quattro è costretta a vivere in una condizione in cui la dignità umana viene calpestata. Una situazione intollerabile, che ci ha spinto a muoverci. Anche perché le crescenti disuguaglianze sono in evidente contrasto con lo spirito universalistico e solidale della Costituzione. Ecco, è anche l’amore per la nostra Costituzione che ha ispirato la nostra campagna…»

Nel documento che illustra la campagna scrivete che va superato l’«approccio compassionevole» verso i poveri. Ma che c’è di male nella compassione?
«
Ovviamente quando parliamo di “approccio compassionevole” non alludiamo alle idee e ai sentimenti di solidarietà, che sono anzi dei veri e propri pilastri del nostro agire. Il punto è che il tema della povertà, o per meglio dire dell’impoverimento, va affrontato rafforzando i diritti: diritti anzitutto sociali, ma anche civili e di cittadinanza. Oggi i diritti sono stretti in una morsa: da una parte c’è una forma di nuovo darwinismo sociale, per il quale se sei povero la colpa è tua, dall’altra un atteggiamento “compassionevole”, che di fatto trasforma i diritti in doni, in pura elemosina.
Dal nostro punto di vista, invece, i diritti sono fondamentali per mantenere la coesione sociale: solo il loro rafforzamento può farci uscire dalla crisi drammatica che stiamo vivendo».

Nelle dieci proposte in cui si articola la vostra campagna sono citati esplicitamente i migranti. Si parla di rafforzare le misure di integrazione, di garantire la residenza a tutti coloro che risiedono stabilmente sul territorio…
«I migranti sono per noi abitanti e cittadini a tutti gli effetti. Sono esseri umani a cui garantire la stessa dignità. Ecco, anche qui, su questi temi, si pone la questione dei diritti: noi non usciamo dalla crisi se non siamo capaci di garantire il pieno accesso ai diritti per tutti, italiani e stranieri. Non usciamo dalla crisi se continuiamo a fare distinzioni tra “noi” e “loro”.
Per questo chiediamo di chiudere i Centri di identificazione ed espulsione, che rappresentano un’offesa al diritto e alla dignità delle persone. Chiediamo di garantire la residenza a tutte le persone presenti sul territorio, in modo che tutti e tutte possano avere un medico di base, un’assistenza sociale, un alloggio di emergenza abitativa quando sono sfrattati, e così via.
La questione migrante è anche una grande questione del lavoro. La tragedia di Prato ci mostra cosa significa lo sfruttamento del lavoro, uno sfruttamento che spesso rasenta lo schiavismo. E non è una questione solo toscana: pensiamo a quel che accade a Rosarno, o nelle zone agricole del nostro paese, al Sud come al Nord…»

Quando si parla di estendere i benefici di welfare anche agli stranieri, molti obiettano che siamo in tempi di crisi, che la coperta è corta, e che se diamo troppo a “loro” poi resterà poco per “noi”…
«Penso che in questo ragionamento ci sia un errore di fondo. Dire “la coperta è corta” è sbagliato: la crisi che stiamo vivendo non ha nulla a che fare con la “scarsità” di risorse. I soldi ci sono, il nostro paese è ricchissimo, e qualcuno in questi anni di crisi si è persino arricchito. Le risorse ci sono, e ci sarebbero per tutti, ma sono distribuite in modo iniquo. Gli enti pubblici, lo Stato, sprecano miliardi in “grandi opere” inutili, o nel pagare debiti a banche e speculatori finanziari senza verificare l’origine di quei debiti. Pensiamo ai venti miliardi che spendiamo per comprare armi e dispositivi militari. Pensiamo ai soldi che utilizziamo per i Cie, per i pattugliamenti in mare, per le espulsioni, per le politiche del rifiuto».

Insistete molto sulla chiusura dei Cie…
«Ecco, i Cie sono uno degli esempi dei mali della nostra società. Il nostro paese ha creato delle strutture di segregazione, in cui vengono rinchiusi migranti che non hanno compiuto crimini, e che hanno l’unica colpa di non avere in tasca quel pezzo di carta che chiamiamo permesso di soggiorno. Questo è profondamente contrario alla nostra Costituzione, e anche al Vangelo, come ama ripetere Don Luigi Ciotti.
Ma non basta. I Cie sono strutture detentive improprie e contrarie ai fondamenti del diritto, contribuiscono a fomentare odio e xenofobia, ma sono anche un vero e proprio spreco economico. Una recente inchiesta di Lunaria dimostra che negli ultimi sette anni si è speso un miliardo di euro per l’allestimento, il funzionamento, la gestione e la manutenzione di Cie, Cpsa, Cda e Cara. Uno spreco inaccettabile».

Come sta andando la campagna? A che punto sono le adesioni?
«In questo momento ci sentiamo di essere ottimisti. Hanno aderito alla nostra campagna più di 600 realtà, di tipo e scala diversa: si va da strutture piccole ma importanti, come le cooperative sociali, a reti più grandi e organizzate, dai movimenti che si battono per il diritto all’abitare, alle tante Caritas diocesane impegnate ogni giorno nel sostegno, alle fasce più marginali della popolazione. Proprio in questi giorni abbiamo poi registrato l’adesione del Comune di Roma, un fatto di grande importanza».

Come si fa ad aderire alla campagna?
Nulla di più semplice. Basta andare all’apposita form sul nostro sito e aderire.

Intervista di Sergio Bontempelli