Razzismo e dintorni

PaneBianco & cuore Nero

Stefano Galieni - 20 Gennaio 2014

Panebianco-640“Panebianco Cuore Nero” è lo slogan con cui un gruppo di studenti dell’Università di Bologna ha contestato un proprio docente, il professor Angelo Panebianco, dopo la pubblicazione del suo editoriale intitolato Troppa ipocrisia sugli immigrati che, in buona sostanza, diceva che il principio di accoglienza è in contraddizione con quello della convenienza. I ragazzi, del collettivo Hobo, dopo aver manifestato con dei cartelli di fronte al cortile della facoltà, si sono recati nell’ufficio del docente intenzionati a consegnargli un simbolico “foglio di via”. Ma la loro protesta è rimasta sostanzialmente isolata. L’editoriale di Panebianco non ha prodotto, per esempio sui social network, la stessa ondata di preoccupata indignazione sollevata da un articolo abbastanza inconsistente, apparso su Libero negli stessi giorni, che raccoglieva una curiosità: la convergenza cromatica (orientata al marrone) dei cognomi di varie persone dello staff del ministro Kyenge. 

Un paragone fra i due testi è ingeneroso. Quello pubblicato da Libero, seppur rimandi alle antiche e mai sopite pulsioni che definiscono i contorni di una italianità bianca e non contaminabile, non ha alcuna efficacia. Il gioco sui cognomi, per prendere di mira una ministra di origine africana, può far ridere persone di bocca buona, ma produce forse anche un effetto boomerang: quanti hanno infatti italianissimi cognomi come Negro, Carbone e Marrone? L’illustre editorialista del giornale della borghesia potente, colta, veicola invece, senza sporcarsi la penna, i peggiori preconcetti del razzismo e del classismo, in nome di una idea alquanto rozza di convenienza. Panebianco invita a non essere ipocriti, a riformare sì una legge come la Bossi-Fini, ma lasciandoci alle spalle “certe sovrastrutture ideologiche” per decidere quali criteri utilizzare per governare l’immigrazione. Ora, a parte il fatto che tali sovrastrutture da rimuovere risultano non solo terribilmente vicini ad una sinistra intelligente, a demografi ed esperti di tali temi, ma anche all’attuale Pontefice, per il professore ad essere in contrapposizione risultano essere due concetti fondamentali: accoglienza e convenienza.

«L’accoglienza non può essere il principio ispiratore di una seria politica statale. Perché si scontra con l’ineludibile problema della «scarsità»: quanti se ne possono accogliere? Qual è il tetto massimo? Quante risorse possiamo mettere a disposizione dell’accoglienza se la vogliamo decente? A chi e a quali altri compiti toglieremo queste risorse?», scrive Panebianco, che attribuisce all’accoglienza esclusivamente una matrice ideologica, laica e cattolica. Se ne desume che, separando i due criteri, dovremmo tutti quanti adeguarci al criterio arido ma realistico della convenienza. Prendere chi serve a noi insomma. In questo noi indefinito, tra l’altro, sono assenti tanto il carattere multiculturale e meticcio che la società italiana ha ormai acquisito, quanto un banalissimo riferimento alle classi sociali di appartenenza. Sì, perché, checché se ne dica, le classi ancora esistono, e gli interessi rappresentanti non solo non collimano ma non sono affatto ascrivibili a criteri di provenienza nazionale. Che un politologo lo ignori o finga di farlo è grave: si deforma una realtà in nome di una percezione astratta e onnicomprensiva delle questioni affrontate attinenti solo alle esigenze del modello economico dominante.

Provando a seguire il percorso dell’editorialista che porta ad una selezione utilitaristica dei migranti da far entrare in Italia, il segnale diviene ancora più esplicito. Oggi non c’è da preoccuparsi, ma domani, un domani molto vicino, «potremmo avere bisogno di importare mano d’opera qualificata, per esempio in settori tecnici lasciati sguarniti dai nostri giovani. In quel caso, una politica dell’immigrazione lungimirante cercherebbe di attirare quel tipo di mano d’opera a scapito di altri tipi. Considerando inoltre che un Paese economicamente avanzato non può permettersi di importare troppa mano d’opera non qualificata». Gli altri finirebbero nel mercato dell’illegalità, gestito dalla criminalità secondo Panebianco. Ovvero andrebbero ad occupare quei settori dell’economia sommersa e del lavoro nero già oggi spesso unica fonte di sostentamento per autoctoni e non. Ma lo si fa per il loro bene, chiaramente, mentre per il “nostro bene” è meglio privilegiare immigrati provenienti da alcuni Paesi: «Se si constata che gli immigrati del primo tipo possono essere integrati più facilmente di quelli del secondo tipo. – si avvia a concludere Panebianco – È possibile che convenga favorire l’immigrazione dal mondo cristiano-ortodosso a scapito, al di là di certe soglie, e tenuto conto del divario nei tassi di natalità, di quella proveniente dal mondo islamico. Quanto meno, questo dovrebbe essere un legittimo tema di discussione». Insomma, ignorando la circolarità dei percorsi migratori, il loro rarefarsi in Italia causato tanto dalla crescita di ostilità quanto dalle scarse prospettive di inserimento, si immagina in maniera peraltro demagogica di definire sceltedi carattere esclusivo basate sul proibizionismo che in ogni ambito non ha mai dato prova di successo.

Le argomentazioni di Panebianco troveranno molto facilmente ampia condivisione, sembrano ragionevoli e pragmatiche ma riaffermano stilemi tipicamente razzisti, infidi e ancor più pervasivi delle boutade di Libero. Ha fatto bene Marco Pacciotti (Forum Immigrazione del Pd), ad evidenziare in una sua nota la natura erronea in origine dell’editoriale in questione, laddove è vero che invece convenienza e accoglienza non sono affatto in contraddizione. Ma per ora, come la protesta degli studenti bolognesi, si tratta di interventi quasi solitari. Questo è ancor più pericoloso alla luce dell’offensiva leghista della Lega Nord e dei suoi esponenti contro la ministra dell’Integrazione Cécile Kyenge. Una offensiva attesa, già da queste pagine lo studioso Saverio Ferrari affermava in un’intervista che, con la segreteria Salvini, le spinte xenofobe di tale partito sarebbero ancor più emerse. Un’offensiva assolutamente incompatibile con una normale democrazia e che andrebbe non solo stigmatizzata e verbalmente condannata ma penalmente perseguita in base alle leggi tuttora in vigore, visto che istiga anche a manifestazioni guidate da rappresentanti istituzionali e ad azioni che attengono ad una propensione alla violenza.

Accanto a questo spetterebbe alla politica soffermarsi su un altro aspetto. Gli attacchi alla ministra dei leghisti in quanto donna e nera, le uscite misere di Libero, gli editoriali argomentati ed elegantemente razzisti di Panebianco, per quanto diversi rispondono ad una domanda precisa. Per la Lega si tratta soprattutto di ricreare un collante necessario a superare la soglia di sbarramento del 4% per accedere al parlamento europeo. Obiettivo difficile dopo la montagna di scandali in cui è stato travolto il suo gruppo dirigente. Ma c’è una più profonda ragione unificante. Nella crisi, soprattutto occupazionale, ci resteremo ancora per molto, anche la tanto auspicata ripresa non va certo verso un aumento dei posti di lavoro. A questo si aggiunga il fatto che il già inconsistente impianto di welfare viene messo quotidianamente a rischio dai tagli da realizzare in nome degli impegni europei. Quale miglior pretesto che quello di riproporre l’abusato capro espiatorio degli immigrati che rubano il lavoro, pretendono diritti e magari hanno l’ardire di non essere bianchi e cattolici? Ha funzionato tante volte del resto, perché non riprovare visto l’imprimatur fornito mesi fa dal vice presidente del consiglio che, di fronte alle bare dell’ecatombe di Lampedusa ebbe il coraggio di riaffermare: «Prima gli italiani».

Stefano Galieni