Piccole infamie

«Negretta, io lavoro così…»

- 20 Gennaio 2014

Si chiama Nurta H. È nata in Somalia 60 anni fa, ma vive in Italia da oltre 24. Ha la cittadinanza italiana. Soffre di una malattia epatica. Per questo, ogni sei mesi, si reca al reparto di gastroenterologia dall’ospedale di Modena. La scorsa settimana è andata a fare la risonanza magnetica addominale. Le era stato detto di arrivare intorno alle 16. Alle 16.15 l’infermiera la chiama. Le fanno compilare i moduli di prassi. Ad aspettare c’era anche un altro signore, che si lamentava perché aveva fame e diceva che non ce la faceva più ad aspettare le 17.30, l’orario stabilito per il suo esame (la risonanza magnetica addominale deve essere fattta a digiuno da almeno cinque ore, è un esame impegnativo che richiede una grande partecipazione da parte del paziente, sia per la preparazione, sia per la posizione che deve essere assunta, sia per le frequenti apnee che bisogna indurre). L’infermiera gli ha fatto presente che alle 16.30 comunque toccava farlo a me. Passano alcuni minuti e un’altra infermiera chiama il signore. Nurta chiede spiegazioni: «Non era il mio turno?». «Ci sono due stanze», risponde l’infermiera. «Ti chiamo dopo». Le dà del tu e le dice una cosa che non la convince. «Io conosco bene questo ospedale. Non mi risulta che ci siano due stanze per fare la risonanza». Dopo dieci minuti l’infermiera la chiama e, sempre dandole del tu, le dice di spogliarsi. La fa sedere e le fa l’iniezione endovena prevista per l’assunzione del mezzo di contrasto. E viene lasciata lì, al freddo, con l’ago nel braccio, per 45 minuti. Nel frattempo al signore delle 17.30 veniva fatta la risonanza. Nurta chiede ancora spiegazioni: «Perché mi avete fatto spogliare se c’era tanto da aspettare?». «Senti negretta, io lavoro così. Se non ti piace te ne puoi andare». «No, non mi piace». La negretta, Nurta, si è fatta togliere l’ago e se n’è andata, senza aver fatto la risonanza.