Class action

Il Cie di Bari come Auschwitz

Alessandra Ballerini - 20 Gennaio 2014

Auschwitz1_1545294cIl paragone è del Tribunale di Bari, che si è recentemente pronunciato in merito alla class action che metteva in discussione la legittimità del Cie locale. Non chiede la chiusura ma ne censura pesantemente il funzionamento. Il commento di Alessandra Ballerini.

Sto leggendo con attenzione l’innovativa decisione del Tribunale di Bari che ha parzialmente accolto la richiesta di misure cautelari proposta ex art. 700 cpc in corso di causa dagli ottimi avvocati Paccione e Carlucci nella qualità di attori popolari in sostituzione degli enti territoriali. Nell’atto di citazione, con il quale veniva precedentemente instaurato il giudizio di merito, i colleghi avevano, tra le varie istanze, richiesto al tribunale di accertare e dichiarare “che la reclusione delle persone nel Cie di Bari, secondo le rilevate caratteristiche di tipo carcerario, integrano condotta materiale lesiva dei diritti universali dell’uomo…” e dunque “ordinare l’immediata chiusura del Cie nella città di Bari per violazione dei diritti umani” o in subordine condannare la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministro dell’Interno e la Prefettura di Bari “alla esecuzione di tutte le opere necessarie indicate dal Ctu…”

Più o meno le stesse richieste erano contenute nel ricorso d’urgenza ex art. 700 cpc. In particolare si richiedeva al Tribunale di “ordinare l’immediata cessazione di ogni forma di detenzione carceraria delle persone trattenute nel Cie di Bari” e in subordine “ordinare in via d’urgenza alle amministrazioni statali suddette l’esecuzione immediata di tutti i necessari interventi correttivi indicati dal Ctu”.
Nel giudizio si costituivano, aderendo all’azione popolare proposta, anche il Comune di Bari e la Regione Puglia.
E questo, è da sottolineare, sembra già un primo ottimo risultato!
Il Tribunale di Bari il 3 gennaio di quest’anno scioglie la riserva assunta dopo aver sentito testi e disposto perizia, con una decisione dettagliata e per molti versi coraggiosa.

Preliminarmente, nell’affermare la competenza giurisdizionale del giudice ordinario (anziché di quello amministrativo) il Tribunale richiama la nota sentenza 105/2001 della Corte Costituzionale e ne cita uno dei passaggi più significativi: “si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando non sia disgiunto da finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che è indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della libertà personale… Né potrebbe dirsi che le garanzie dell’art. 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri… Non può risultare minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani”.
Lettura interessante è anche la parte in cui il tribunale, nel confermare la legittimazione attiva dei Colleghi nella loro qualità di cittadini attori popolari, spiega il funzionamento dell’azione popolare. Di fatto, l’art. 9 D.lgs. 267/2000, conferisce al cittadino elettore dell’ente locale una forma di legittimazione speciale ad adire il giudice “ancorché la titolarità delle posizioni giuridiche che si intendono tutelare è dell’ente locale”.
Gli enti locali, a loro volta, sono enti che rappresentano le proprie comunità, ne curano gli interessi e ne promuovono lo sviluppo (art. 3 D.lgs 267/2000).
E gli enti locali in questione, ovvero il comune e la provincia di Bari, pur essendo sprovvisti di competenze amministrative dirette sui Cie “nondimeno subiscono la presenza di tali centri nei loro territori”.
Veramente coraggioso e condivisibile il passaggio in cui il Tribunale sostanzialmente afferma che la presenza di un Cie (struttura di sofferenza e costrizione) lede l’immagine del territorio in cui si trova (e cita Auschwitz come paragone!)

“Anche per quanto concerne la città di Bari la produzione degli attori popolari e le risultanze processuali ben comprovano come ormai da alcuni anni il Cie ivi presente, da un lato, ha formato oggetto, ad esempio, di interrogazioni parlamentari e pubbliche denunce di esponenti politici, relative alle condizioni del trattamento di coloro che vi sono ospitati, oltre che di articoli di stampa e, dall’altro, ha visto accadere reiterati fatti di protesta, se non di rivolta, dei trattenuti… E persino nelle more dello svolgimento della presente riserva i media, sia locali che nazionali, hanno dato conto di altra protesta insorta nel centro di Bari la sera della vigilia di Natale, legata sempre alle condizioni del trattamento dei migranti…”
A leggere queste righe non possiamo trattenere la soddisfazione di vedere che le “loro” proteste e le “nostre” denunce non sono passate inosservate e iniziano a dare qualche frutto.
Qualcosa cambia.
Ed ancora, utile, anche dal punto di visto mediatico, è il ragionamento a pag. 29 laddove è scritto “l’adozione di un determinato lessico, per così dire, non carcerario, non è decisiva, e può anzi apparire ipocrita, nella misura in cui ciò che non si chiami o non si voglia chiamare carcere o detenzione risulti di fatto ancor più mortificante degli istituti così ufficialmente denominati, per come disciplinati”. E a pag. 30 dove si ammette che i trattenuti sono meno “garantiti” dei carcerati.
La Ctu richiamata dal tribunale di fatto ribadisce che nel Cie di Bari (ma noi sappiamo che se fosse fatta una perizia in ogni Cie i risultati sarebbero analoghi) le condizioni del centro sono tali da ledere la dignità dei migranti e dunque “il quomodo del trattamento attuale dei trattenuti nel centro trasmoda nell’illegalità”. E anche questo è un ottimo risultato.
Il vero punto dolente di questa decisione è che, in concreto, vengono disposti per ora “solo” lavori di risanamento del Cie ma non la sua chiusura (che viene anzi, almeno in fase cautelare, esclusa).
Si tratta di una decisione comunque importante che, quantomeno nelle parti indicate, si potrebbe senz’altro utilizzare per far comprendere, a chi ancora ha dei dubbi, che i Cie ledono la dignità di chi vi è trattenuto e con ciò i diritti della comunità tutta.

Non per niente i diritti dell’uomo si chiamano universali. Perché se sono violati quelli di un solo uomo o donna sono violati quelli di tutta la comunità. E alla fine non solo quegli uomini e quelle donne “violati” si ribellano, ma con loro tutta l’intera comunità. E tutta la comunità chiede giustizia.

Alessandra Ballerini (Campagna LasciateCIEntrare)