Scor-Date

Primo febbraio 1902

Daniele Barbieri - 27 Gennaio 2014

Langston-Hughes1Nasce Langston Hughes, poeta, scrittore e drammaturgo afroamericano. Si racconta oggi che Harlem, negli anni Venti, fosse la “Capitale d’America” fulcro del jazz e della Negro Renaissance, la “Parigi Nera”. Tutto vero purché non si dimentichi che quella minuscola isola felice era all’interno di un grande mare razzista e violento in ogni aspetto della vita quotidiana, a partire dalle leggi. Così moltissime poesie di Langston Hughes – che essendo nato il 1 febbraio 1902 appartiene in pieno a quel periodo – sono all’interno di un movimento culturale (e politico) che si scontra con il potere e la sua ideologia.
Fu ottimista certo Hughes ma al figlio scrive una poesia intitolata La mia vita non è stata una scala di cristallo. Eccola.

«Figlio, ti dirò che la mia vita
non è stata una scala di cristallo
ma una scala di legno tarlato
con dentro i chiodi e piena di schegge
e gradini smossi sconnessi
e luoghi squallidi
senza tappeti in terra.
Ma ho sempre continuato a salire,
e ho raggiunto le porte
e ho voltato gli angoli di strade,
e qualche volta mi sono trovato nel buio,
buio nero, dove mai è stata luce.
Così ti dico, ragazzo mio,
di non tornare indietro,
di non soffermarti sulla scala
perché penoso è il cammino,
di non cedere, ora.
Vedi io, continuo a salire…
E la mia vita,
non è stata una scala di cristallo».

E anche la sua poesia forse più celebre (diede il titolo anche a una bella antologia tradotta in italiano) non nasce nel «melting pot» tanto vantato e quasi sempre a sproposito, ma negli Usa dove tutto è segregato (persino lo sport) e dove le vespe pungono (in inglese Wasp è vespa ma anche l’acronimo di White Anglo-Saxon Protestant, cioè del potere). È questa.
«Anch’io canto l’America.
lo sono il fratello più scuro.
Mi mandano a mangiare in cucina
quando vien gente,
ma io rido,
e mangio bene,
e divento forte.
I negri e l’America
Domani
siederò a tavola
quando verrà gente.
Nessuno oserà
dirmi:
“Mangia in cucina”,
allora.
E poi,
vedranno la mia bellezza
e ne avranno vergogna:
anch’io sono l’America».

Ottimista ancora una volta. Forse troppo, se si pensa alla lunga storia degli Usa prima di arrivare al presidente “nero”… e alle sue contraddizioni di oggi, pur con Obama in quella certa Casa che (solo per caso?) è Bianca.
Molti poeti o poetesse ci hanno raccomandato di «tener stretti i sogni» ma non è indifferente conoscere il colore della pelle di chi ha scritto questo versi.

«Tenetevi stretti ai sogni
perché se i sogni muoiono
la vita è un uccello con le ali spezzate
che non può volare.
Tenetevi stretti ai sogni
perché quando i sogni se ne vanno
la vita è un campo arido
gelato dalla neve».
Sono bellissimi i versi (da allora tante volte imitati) di «Il gatto e il sassofono», con la precisazione «alle 2 dopo mezzanotte» e lo stile ubriacante e ubriaco. Ma potrebbe averla scritta anche un Ginsberg, un Kerouac o persino un Bukosvky «per rimorchiare».

Altre poesie invece, ben difficilmente potrebbe averle scritte qualcuno di pelle rosa-chiara. Come Cristo nell’Alabama (un Gesù «negro, nero e frustato») come 16 ottobre dedicata a John Brown, come Zio Tom, come Hanno picchiato Roland Hayes, come Negro al cannocchiale, come Ku Klux Klan.

Saper scrivere versi, pubblicarli, essere applaudito (in qualche isola felice) non cancellava il razzismo. Ed ecco i pochi, crudissimi versi – per i tanti nemici e i pochi amici di pelle chiara – della poesia intitolata seccamente I bianchi.

«Io non vi odio
perché anche il vostro volto è bello.
Io non vi odio,
anche i vostri volti sono turbinose luci di bellezza e di splendore
Ma perché mi torturate,
oh gente bianca e forte,
perché mi torturate?».

Nel solito gioco di vedere quando Wikipedia c’azzecca e quando toppa, stavolta pollice verso: perché Hughes è collocato fuori dal suo tempo e dal suo mondo. La dimenticanza (ignoranza o rimozione?) è clamorosa proprio a partire dal dato puramente biografico: un intellettuale afroamericano nato, come lui, nel 1902 e morto nel 1967 vive negli Usa dell’apartheid. Non è il poeta, scrittore, drammaturgo e giornalista che urla «Anch’io sono America», è l’oltraggiato essere umano che non ha il colore “giusto”. Dimenticarlo significa rimuovere la storia e non capire il doppio valore delle sue poesie.

Questa settimana la logica delle «scor-date» orientava la scelta in molte direzioni: il 31 gennaio (2009) ad esempio, le tristi cronache italiane proponevano un raid razzista a Nettuno, mentre il 2 febbraio 1794 (16 piovoso secondo il calendario in vigore) poteva indirizzare alla Convenzione post rivoluzione francese dove si discusse di abolire la schiavitù mentre lo stesso giorno – ma nel 2009 – il Maroni che fu ministro disse, a proposito di migrazioni, che «dobbiamo essere più cattivi». Ho l’impressione i commenti giusti a queste «scor-date» siano nei versi qui sopra.

Daniele Barbieri

Langston-Hughes1