Porrajmos

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Luca Bravi - 27 Gennaio 2014

Il regime fascista e la “questione zingari” in un museo virtuale e in un libro

Per il regime fascista, quella che fu etichettata come “questione zingari” prese le mosse da un dato concreto: il movimento di carovane di rom e sinti all’interno del Regno era una condizione percepita come un pericolo. Tale preoccupazione si legava alla caratterizzazione dello “zingaro” diffusa culturalmente: il soggetto necessariamente straniero e sicuramente asociale dedito al nomadismo e ad una vita di espedienti; una situazione descritta come generalizzata e che veniva associata all’appartenenza etnica e non a scelte individuali.

Questa percezione diffusa dello “zingaro” come un pericolo sociale, non si rivela un fattore nato con l’avvento del fascismo in Italia; si tratta in realtà di un pregiudizio secolare (rom e sinti sono presenti in Italia almeno dal XV secolo) il cui peso a livello popolare può essere immediatamente percepito sfogliando le pagine de «La Domenica del Corriere» dei primi anni del Novecento, sulle cui copertine tornano con insistenza le immagini degli “zingari ladri”, “zingari ladri di bambini”, “zingari portatori di malattie”, “zingari primitivi”, “zingari nomadi” e dunque soggetti pericolosi in quanto gruppo genericamente caratterizzato da tutti questi elementi insieme.

Con il fascismo, pur dovendo ricordare che già tra XVI e XVIII secolo anche molti Stati pre-unitari avevano elaborato una propria legislazione antizingara, la percezione diffusa a livello popolare trovava piena espressione in specifiche leggi che questa volta accomunarono la totalità del territorio nazionale.

Dalle ricerche svolte all’interno del progetto europeo Memors (che ha dato vita al primo museo virtuale del Porrajmos in Italia, visitabile con le sue testimonianze ed i suoi documenti all’indirizzo www.porrajmos.it) è stato possibile definire quattro periodi di riferimento per la ricostruzione dell’intera vicenda del Porrajmos italiano: dal 1922 al 1938 i respingimenti e l’allontanamento forzato di rom e sinti stranieri (o presunti tali) dal territorio italiano; dal 1938 al 1940 gli ordini di pulizia etnica ai danni di tutti i sinti e rom presenti nelle regioni di confine e dunque anche dal Trentino; dal 1940 al 1943 l’ordine di arresto di tutti i rom e sinti (di cittadinanza straniera o italiana) e la creazione di specifici campi di concentramento fascisti a loro riservati sul territorio italiano; dal 1943 al 1945 l’arresto di sinti e rom (di cittadinanza straniera o italiana) da parte della Repubblica Sociale Italiana e la deportazione verso i campi di concentramento nazisti.

 

Respingimenti alla frontiera ed espulsioni

Il 19 febbraio 1926 una circolare inviata ai prefetti precisava di respingere gli “zingari”, qualsiasi fosse la loro provenienza ed anche in caso di documenti validi per l’ingresso in Italia. L’8 agosto di quello stesso anno il Ministero degli Interni precisava che l’obiettivo da perseguire era l’epurazione del territorio nazionale dalla presenza di carovane di “zingari”, di cui era superfluo ricordare la pericolosità nei riguardi della sicurezza e dell’igiene pubblica.

L’attenzione veniva quindi rivolta immediatamente verso le frontiere, dalle quali non permettere l’ingresso di rom e sinti, ma con l’ordine del mese di agosto l’obiettivo diventava quello di espellere anche quegli “zingari” di cittadinanza straniera che fossero già presenti nel Regno. Si cominciava una politica di espulsione verso qualsiasi rom o sinto potesse essere individuato come soggetto privo di cittadinanza italiana; in realtà la pratica dell’allontanamento veniva eseguita con scarsa attenzione alla reale provenienza dei soggetti fermati: far attraversare forzatamente la frontiera diventò un’ottima soluzione per ripulire i territori dagli “zingari”, di qualsiasi cittadinanza essi fossero.

 

La pulizia etnica alle frontiere

La “questione zingari” diveniva uno dei problemi fondamentali da risolvere, in particolare nelle zone di frontiera, per prima cosa ad est, ma poi anche a settentrione.

La convinzione espressa anche da Benito Mussolini che ebrei e rom fossero spie attive contro lo Stato, portava ad ordinare un sempre più stretto controllo sui confini e l’Istria divenne il banco di prova di questa politica antizingara. Il 17 gennaio 1938 Arturo Bocchini ordinava di contare e categorizzare tutti i rom istriani dividendoli tra soggetti con precedenti penali non pericolosi, soggetti senza precedenti penali e pericolosi e soggetti pericolosi. Il prefetto istriano Cimoroni rispondeva con delle liste di nomi dettagliatissime e tra febbraio e maggio 1938 l’ordine emanato da Arturo Bocchini il 17 gennaio 1938 avviava la pulizia etnica dell’Istria nei confronti dei rom e sinti: questi furono imbarcati sui traghetti e portati verso il confino in decine di paesi sardi, tra le province di Nuoro e Sassari. Arrivarono in Sardegna almeno 80 persone che poi furono disperse nelle campagne e controllate dai carabinieri.

In quello stesso anno la medesima pratica di allontanamento venne adottata per i sinti trentini, colpevoli anch’essi di rappresentare una popolazione considerata pericolosa a livello ereditario e dunque spostati al confino in Sardegna per motivi di sicurezza dello Stato; le famiglie Gabrielli (o Gabrieli), Hollenreiner, Eisenfeld ed Held furono anch’esse confinate sull’isola.

 

L’internamento nei campi di concentramento fascisti riservati agli “zingari” (1940-1943)

Il 1940 si apriva con un articolo di Guido Landra, il giovane antropologo in seguito direttore dell’ufficio Demografia e  Razza presso il Ministero degli Interni, che inseriva la questione zingari nell’ambito del meticciato, considerato come un pericolo a livello razziale:

Non avendo alcun dato per l’Italia, ci limiteremo a riportare alcune osservazioni compiute da Römer in Sassonia per incarico dell’Ufficio Politico Razziale del Partito Nazionalsocialista. Come scrive questo autore, indipendentemente dagli ebrei e dai loro meticci, vivono in Germania numerosi individui razzialmente molto diversi dal popolo tedesco. In primo luogo, bisogna tenere presente gli zingari che vivono talora in bande e talora invece dispersi in mezzo al resto del popolo. […] Questo autore ricorda come in una località della Sassonia, accanto a tipi che rappresentavano il tipico aspetto levantino, mongoloide e negroide, ma di cui era impossibile stabilire con esattezza l’origine, vivevano tre famiglie razzialmente ben identificate. La prima di queste famiglie, che potrebbe essere confusa con una comune famiglia di povera gente, comprende invece degli zingari che vivono in maniera del tutto asociale, senza alcun mestiere preciso.

Il problema risultava di chiaro stampo razziale e l’assimilazione non poteva quindi rappresentare una soluzione percorribile:

Questi esempi mostrano quindi come in Europa esista tuttora un grave problema dei meticci che non si limita a quello degli ebrei e che non si può esaurire tentando l’assimilazione degli individui della prima o anche della seconda generazione. […] Ricordiamo il pericolo dell’incrocio con gli zingari, dei quali sono note le tendenze al vagabondaggio e al ladroneccio. […] Come si sa, gli zingari sono particolarmente numerosi nell’Europa dell’est e in Spagna, tuttavia la loro presenza negli altri paesi desta serie preoccupazioni, soprattutto per l’incertezza che si ha circa il loro numero effettivo.

Lo studioso presentava inoltre una serie d’immagini che utilizzava per indicare le varie caratteristiche zingaresche e per riferirsi ad una purezza razziale originaria, ormai contaminata e pericolosa per la società civile:

Essi [gli zingari] si presentano dolicocefali, con viso allungato, colorito bruno, naso leggermente convesso, occhio a mandorla quando sono soltanto di razza orientale, altrimenti presentano anche leggermente i caratteri delle razze europee con cui si sono mescolati. Come si comprende facilmente, un esame antropologico superficiale, farebbe confondere la razza orientale con la mediterranea, da essa così diversa psichicamente. […] Si tratta di individui asociali differentissimi dal punto di vista psichico dalle popolazioni europee. Data l’assoluta mancanza di senso morale di questi eterni randagi, si comprende come essi possano facilmente unirsi con gli strati inferiori delle popolazioni che incontrano peggiorandone sotto ogni punto di vista le qualità psichiche e fisiche.

All’articolo di Landra seguiva l’ordine emanato da Arturo Bocchini l’11 settembre 1940 che ribadiva il fermo proposito di combattere la “piaga zingara” attraverso il rastrellamento, l’arresto ed il concentramento di tutti i rom e sinti anche di cittadinanza italiana, per poi rinchiuderli in luoghi preposti. Si trattava di un giro di vite fondamentale: l’essere definito “zingaro” annullava in pratica qualsiasi riferimento alla cittadinanza italiana. I prefetti furono particolarmente solerti nell’adempiere agli arresti ed il regime cominciò a predisporre una rete di campi di concentramento riservati agli “zingari” sul territorio italiano. Il primo luogo individuato fu un ex tabacchificio presso Bojano (provincia di Campobasso): tra il 1940 ed il 1941 vi giunsero 58 rom e sinti provenienti da tutto il territorio nazionale, ma la richiesta dell’edificio utilizzato come luogo di concentramento per inserirvi la lavorazione della ginestra, portò i progetti di prigionia rivolti a rom e sinti verso il vicino paese di Agnone (oggi provincia di Isernia) presso il quale vennero spostati i 58 individui presenti a Bojano, a cui si aggiunsero altri cento internati che risultano censiti nelle liste del campo all’inizio del 1943. Agnone diventava il luogo specifico d’internamento fascista riservato agli “zingari”, ma nelle varie province, i centinaia di rom e sinti arrestati portarono spesso a soluzioni temporanee individuate a livello locale: nascevano perciò campi di concentramento per rom e sinti anche a Berra (Ferrara), Prignano sulla Secchia (Modena), Torino di Sangro (Chieti), Chieti, Fontecchio negli Abruzzi (Chieti); nel 1942 un altro campo di concentramento voluto a livello centrale iniziava la sua attività a Tossicia (Teramo), sorto appositamente per imprigionare i rom provenienti da Postumia e permettere al prefetto Berti di affermare che l’Istria era finalmente libera da “zingari”.

A fianco dei nuovi siti d’internamento, anche le carceri diventavano luoghi di attesa per la deportazione nei campi fascisti per “zingari”, infatti molti dei deportati partirono dalle carceri di tutta Italia che tra 1940 e 1943 risultavano invase da rom e sinti arrestati ed in transito (è il caso dei detenuti di Cento in provincia di Ferrara) verso Agnone.

In occasione del Giorno della memoria 2013, il progetto Memors in collaborazione con le istituzioni locali, ha finalmente scoperto tre targhe a Prignano sulla Secchia, Tossicia ed Agnone che ricordano i nomi dei rom e dei sinti nei luoghi del loro internamento, avvenuto per volere del regime fascista tra il 1940 ed il 1943; è una iniziativa importante perché in quei luoghi la memoria era già dissolta: nessuno dei paesani ricordava ciò che era avvenuto tra 1940 e 1943, mentre gli edifici sono oggi utilizzati per attività di vario tipo, ad Agnone per esempio, l’ex convento di San Bernardino è diventato una casa di cura per anziani.

 

La deportazione dall’Italia verso i campi del Terzo Reich (1943-1945)

L’armistizio e le nuove alleanze italiane portarono al collasso dei campi di concentramento fascisti nelle zone del meridione ed i sinti e rom internati riuscirono a scappare.

Nelle ricerche avviate dall’anno 2000, la storia di rom e sinti nel periodo nazifascista in Italia presentava un vuoto legato alle vicende della persecuzione organizzata dalla Repubblica Sociale Italiana. Era il periodo dei feroci rastrellamenti nelle zone controllate dalla Rsi, ai quali seguì la deportazione verso i campi di concentramento e sterminio del Terzo Reich di tutti i soggetti considerati oppositori del regime per motivi razziali o politici. Fino all’avvio del progetto Memors  non si era trovata evidenza di deportazioni di rom e sinti verso i campi nazisti, eppure la “questione zingari” rappresentava nel Terzo Reich un elemento specifico che una unità d’igiene razziale trattò affiancandola alla “questione ebraica” fino alla liquidazione totale dei rom e sinti di Auschwitz-Birkenau nella notte tra 1 e 2 agosto del 1944.

Le testimonianze dirette ed indirette raccolte con il progetto hanno permesso di colmare questa lacuna: i nomi di rom e sinti sarebbero stati irrintracciabili senza l’aiuto dei testimoni, perché i cognomi da individuare erano Gabrielli, Held, Suffer, Bianchi, Levakovich, Pavan e molti altri che senza la ricostruzione degli alberi genealogici non sarebbero apparsi necessariamente appartenenti a rom e sinti. Dunque sui convogli diretti dall’Italia verso Dachau, Buchenwald, Mauthausen, Ravensbruck c’erano anche rom e sinti arrestati in Italia perché “zingari” e registrati nei campi come “asociali”: la “questione zingari” nazista era stata chiusa con la liquidazione totale del settore di Birkenau loro riservato nell’agosto del 1944 e l’arrivo dei deportati dall’Italia avvenne a cavallo o successivamente tale data.

Luca Bravi

Università Telematica L. da Vinci

 

www.porrajmos.it

L.Bravi, M. Bassoli, Il Porrajmos in Italia, Libri di Emil, Bologna, 2013