Il commento

Clandestinità, abrogata ma non troppo

Fulvio Vassallo Paleologo - 28 Gennaio 2014

reato-di-clandestinitàUn voto che serve alla politica ma in concreto e in prospettiva cambia ancora poco. Ambiguità e contraddizioni di una mezza svolta.

Il  21 gennaio scorso il Senato ha approvato un emendamento ad un disegno di legge che trattava temi diversi, e si è pronunciato per l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina, introdotto dal Pacchetto sicurezza proposto da Maroni nel 2009, una norma che nel tempo aveva evidenziato una funzione meramente ideologica, del tutto priva di efficacia concreta quanto alla esecuzione effettiva delle misure di allontanamento forzato, ma capace di accelerare lo smottamento dell’opinione pubblica verso posizioni sempre più oltranziste nella “guerra” agli immigrati irregolari. Con il reato di immigrazione clandestina si compiva un passo decisivo nel processo di criminalizzazione degli immigrati, non solo dei cd. “clandestini”. In realtà, ci vorrà ancora molto tempo prima che lo sconcio dell’art. 10 bis del T.U. sull’immigrazione n. 286 del 1998 venga definitivamente cancellato dall’ordinamento giuridico italiano. Il Disegno di legge approvato dal Senato dovrà essere votato anche dalla Camera, poi ci vorranno i decreti delegati, prima potrebbe arrivare una crisi di governo ed il voto anticipato. Come sarebbe del resto auspicabile, visto il grave attentato che si potrebbe consumare, a detta di chi scrive, nei confronti della libertà di voto dei cittadini, con le paventate modifiche della legge elettorale.

Malgrado l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina, rimane immutato, e viene anzi ribadito il carattere di “illecito amministrativo” di qualunque tipo di ingresso e soggiorno irregolare, e si mantiene la sanzione penale per le ipotesi di reingresso dopo un ordine di espulsione, una norma che potrebbe ancora rivelarsi in contrasto con la Direttiva Rimpatri 2008/115/Ce, in quanto sembra finalizzata ad infliggere una pena piuttosto che a garantire l’esecuzione più rapida dell’espulsione.

Le manifestazioni di entusiasmo per la ventilata abrogazione del reato di immigrazione clandestina rischiano di nascondere prassi applicate dagli uffici di questura che nella esecuzione delle misure di allontanamento e di trattenimento non rispettano quanto sarebbe imposto dalla normativa interna e dalle direttive dell’Unione Europea. Come si verificò nel 2007, quando, mentre si dibatteva della riforma Amato-Ferrero, il governo stipulava i protocolli operativi con la Libia, che permisero dal 2009 al 2010 i respingimenti collettivi poi condannati dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo. Anche oggi, mentre si parla di riformare le leggi, le prassi applicate non tengono neppure conto di quelle attualmente vigenti.

Nei pochi Cie che rimangono ancora aperti in Italia, come a Milo (Trapani) si è giunti persino a convalidare il trattenimento di persone che non sono state messe in condizione di partecipare all’udienza di convalida, e dunque di esercitare i diritti di difesa che presuppongono il contraddittorio, sulla base di una attestazione del medico interno della struttura che asseriva la ricorrenza di uno “stato di quarantena” come ragione che avrebbe impedito la presenza davanti al giudice di pace. Ed il giudice di pace ha convalidato, con una firma apposta in fondo ad un foglietto prestampato, violando una consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione che impone, per qualunque udienza di convalida del trattenimento, la presenza fisica dell’interessato. Fino a quando le prassi applicate dalla polizia e dai giudici di pace che operano all’interno dei Cie resteranno queste, qualunque modifica legislativa rischia di infrangersi contro il  rispetto meramente “cartaceo” delle garanzie di difesa che vanno riconosciute a chiunque, anche nelle procedure di allontanamento forzato dal territorio dello stato e di trattenimento nei centri di detenzione amministrativa.

Vorremo poi ricordare a quanti hanno sventolato il vessillo dei diritti umani alla notizia della (ancora ipotetica) abrogazione del reato di clandestinità, che forse sarebbe tempo di adeguare finalmente la disciplina delle espulsioni e dei trattenimenti alla disciplina dell’Unione Europea, che nella Direttiva 2008/115/Ce impone agli stati di considerare come extrema ratio l’espulsione con accompagnamento forzato e di porre termine alla detenzione amministrativa nei Cie quando è evidente che, dopo diversi tentativi di rimpatrio, nessun paese ha ancora fornito la documentazione che consente l’effettivo accompagnamento della persona in frontiera.

Sarebbe anche tempo che si abroghi l’art. 10 comma 2 del T.U. sull’immigrazione n. 286 del 1998, che prevede il respingimento “differito” anche dopo lo sbarco per ragione di soccorso, norma che il 9 gennaio scorso ha consentito al questore di Siracusa di selezionare oltre 50 profughi provenienti dal Gambia ed ordinare per loro la misura di allontanamento forzato, ed il successivo trattenimento nel Cie di Trapani Milo, quando era evidente la loro volontà di chiedere asilo. Con una grave discriminazione nei loro confronti, rispetto ad altre centinaia di gambiani giunti nelle ultime settimane che invece sono stati trasferiti direttamente, dopo lo sbarco dalle unità della missione militare Mare Nostrum ad Augusta in un centro di accoglienza. Non vorremmo che la differenza di trattamento fosse collegata ad un rifiuto nel rilascio delle impronte digitali. Operazione che ormai viene effettuata a bordo delle navi militari, trattenendo i migranti a bordo subito dopo il salvataggio, anche per giorni, prima di consentire loro di sbarcare a terra e trovare finalmente conforto ed assistenza. Sembra pure che, negli ultimi giorni, la presenza, già rara, degli operatori del progetto Praesidium (Oim, Unhcr, Save The Children e Croce Rossa) agli sbarchi si sia ulteriormente rarefatta, forse perché il ministero dell’Interno ha ordinato di perfezionare le identificazioni a bordo delle navi militari. L’informazione legale ai potenziali richiedenti asilo e la selezione dei soggetti vulnerabili, come le tutele specifiche previste per i minori, continuano a rimanere lettera morta per chi gestisce queste operazione di salvataggio, con un ottica meramente repressiva del “traffico” di esseri umani, sempre alla ricerca di possibili testimoni per scoprire lo scafista di turno. E tanto altro si nasconde dietro la pretesa abrogazione del reato di immigrazione clandestina.

Tanti parlano di abrogare la “legge Bossi-Fini” ma non si percepisce che occorrerebbe una modifica sostanziale dell’intero Testo Unico sull’immigrazione, ancora basato sull’impianto della legge Turco-Napolitano n. 40 del 1998 che aveva introdotto la detenzione amministrativa nei Cpt senza neppure prevedere la possibilità di una convalida giurisdizionale, poi imposta dalla sentenza n. 105 del 2001 della Corte Costituzionale. Ed ancora, la necessaria modifica della disciplina delle espulsioni e dei respingimenti, che non dovrebbero essere conseguenza automatica in ogni caso di ingresso irregolare, andrebbe seguita da una revisione degli accordi bilaterali di riammissione, inaugurati da Napolitano nel 1998, con Tunisia, Algeria e Marocco. Accordi che ancora oggi prevedono rimpatri “senza formalità” come nel caso dei respingimenti verso la Grecia (previsti da un accordo del 1999, ai tempi del governo D’Alema) o con “formalità semplificate” come gli accordi con la Tunisia, l’Egitto e la Nigeria, tutti accordi che permettono alla polizia di frontiera di eseguire misure di allontanamento forzato anche di carattere collettivo, sulla base di una sommaria attribuzione della nazionalità al momento dell’imbarco in aeroporto, in violazione delle norme interne e del Regolamento Frontiere Schengen 562/2006/Ce.

Tutto questo, ed altro ancora, come la necessità impellente di rivedere le regole per gli ingressi per lavoro, e di dare applicazione a tutta la normativa dell’Unione europea in materia di asilo e protezione sussidiaria, non può essere nascosto dietro il vessillo, agitato ad arte, dell’abrogazione del reato di immigrazione clandestina. Un reato che di fatto non veniva mai applicato e che, per assurdo, permetteva di riconoscere anche qualche garanzia di difesa alle persone ascoltate dai magistrati come imputate di reato connesso, quando venivano chiamate a testimoniare contro i presunti scafisti. Abolito questo reato, sarà più facile condurre interrogatori “informali” già a bordo delle navi della missione Mare Nostrum, o nei tanti centri “informali” che sono stati aperti dai prefetti in base alle disposizioni del governo che, dopo la fine della cd. Emergenza Nord Africa, nel marzo del 2013, ha suggerito un ricorso esteso ai centri di prima accoglienza (Cpa) chiusi previsti dalla legge Puglia del 1995. Una legge mirata prevalentemente ad una accoglienza temporanea in vista di un successivo respingimento, che torna a colpire dopo vent’anni dalla sua promulgazione, consentendo di eludere sistematicamente le garanzie apprestate dalla vigente normativa interna e internazionale in favore delle persone sbarcate dopo interventi di salvataggio in mare. Sarebbe certo auspicabile che il Parlamento modifichi queste leggi in materia di immigrazione ed asilo, e che l’Italia si doti di regole di ingresso e di un sistema di accoglienza capace di ridurre la proliferazione incontrollata della “clandestinità” successivamente all’ingresso nel territorio dello stato. Per queste ragioni, l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina non comporterà un miglioramento sostanziale della condizione giuridica degli immigrati irregolari, ai quali l’art. 2 del T.U. sull’immigrazione comunque garantisce il pieno rispetto dei diritti fondamentali, se poi a queste stesse persone non è consentito nelle prassi applicate l’esercizio effettivo di quei diritti.

Fulvio Vassallo Paleologo

Università di Palermo