L'intervista

Magna Charta Lampedusae

Francesca Materozzi - 6 Febbraio 2014

1185071_228873553959596_1181741603_nUn passo indietro tutti per farne uno (e magari anche più) avanti insieme. Una proposta radicale ma espressa con un linguaggio in grado di accomunare. Le nuove tecnologie usate in modo da ribaltare la logica verticistica e centralistica. Intervista ad Alessandra Sciurba, di Melting Pot, che ci racconta come è nata la Carta e cosa se ne vuole fare.

Come nasce la Carta di Lampedusa?
«Subito dopo la strage del 3 ottobre, eravamo tutti indignati e sconvolti, desideravamo fare qualcosa. Ci siamo sentiti con gli altri di Melting Pot e ci siamo detti: qui la situazione è grossa da tantissimi punti di vista. Non solo per l’indignazione, il dolore, la rabbia che proviamo davanti a questi ennesimi seicento morti, ma anche perché c’è bisogno di un linguaggio diverso. Dobbiamo fare  uno squarcio nella retorica falsa e/o nell’indifferenza che avvolge il tema dell’immigrazione da almeno venti anni in questo Paese. Dobbiamo fare qualcosa, non “qui ed ora” ma “a Lampedusa e ora”. Non l’ennesima manifestazione. Ci vuole qualcosa di costituente, un patto. Chiamiamo tantissime persone e proponiamo loro di provare a fare un passo indietro ciascuno, per farne dieci avanti tutti insieme».

Proprio quello che le tante persone e associazioni che costituiscono il movimento antirazzista, in questi anni, non sono riusciti a fare…
«Sì. Siamo tanti e diversi: associazioni del terzo settore, centri sociali, movimenti No Mous, No Tav, chiese evangeliche… Ma abbiamo anche obiettivi comuni, oggi più di ieri. Lo sforzo di trovare un linguaggio nuovo e comune, rinunciando magari a una parte delle proprie parole d’ordine, diventa una necessità, se vogliamo realizzare dei cambiamenti. E questo è stato proprio il senso della costruzione di questa Carta. Che non a caso non ha avuto nessun comitato promotore. La costruzione del percorso per arrivare a Lampedusa è stato fatta con delle assemblee on line. Ci temgo a sottolineare questo aspetto, che rappresenta davvero un nuovo modo di lavorare, che supera le modalità classiche del Forum antirazzista (andare tutti a Roma). Ci sono state 60 assemblee connesse da tutta Italia contemporaneamente. Sono state pochissime le persone che si connettevano da sole ma già il processo della carta di Lampedusa aveva innescato questo ritrovarsi nelle città per partecipare insieme alla connessione e parlare insieme di come arrivare a scrivere la Carta di Lampedusa. E poi il docuwiki, un documento on line aperto in cui tutti potevano scrivere le proprie proposte».

Perché è stato importante poi portare tutti a Lampedusa?
«Per rovesciare  ciò che l’isola ha simbolicamente rappresentato fino ad oggi:  il luogo da spettacolarizzare come frontiera, come confine dove quasi si diramano tutte le altre frontiere e tutti gli altri confini che attraversano l’Europa. Abbiamo voluto farlo diventare  il centro propulsivo di una nuova visione politica, sociale, culturale del Mediterraneo e dell’Europa. Il documento con cui siamo arrivati già ridisegnava questa visione e non è stato poi modificato molto. Ma era importante spostare il centro qui, nell’isola».

Come si colloca questo documento rispetto ad altre iniziative? Il primo marzo o la manifestazione del 12 aprile, per esempio.
«Io penso che si inserirà come un patrimonio che accomuna tutti sotto una bandiera veramente ampia. Da un documento scritto in questa maniera potrebbe venire fuori tanto una nuova campagna per smontare i Cie come una proposta di legge da presentare a Bruxelles. Adesso tocca a noi farlo leggere tutto e farlo leggere veramente. Si tratta di un testo estremamente radicale, un documento che non lascia maglie a nessun compromesso, ma parla con un linguaggio che può accumunare tutti. Penso che sia questa la sua forza, per cui credo che il Primo Marzo, ad esempio, ci sarà una manifestazione a Niscemi contro il No muos, che sarà fatta nel nome della Carta di Lampedusa e che legherà strettamente la militarizzazione dei territori al controllo delle frontiere e delle vite dei migranti. Allo stesso tempo, ci saranno azioni nei centri di identificazione come ci saranno altre iniziative per l’introduzione dello ius solo in Italia. Io penso che ci saranno tantissime realtà diverse che non faranno fatica a diffondere questa carta. Le vedevamo dalle prime adesioni di oggi. Hanno aderito tutti».

Magari non tutti. Qualcuno sta nicchiando…
«Comunque è stata scardinata la logica verticistica. Nel senso, non c’è un soggetto totalizzante delle realtà antirazziste che definisce un coordinamento. La Carta di Lampedusa appartiene a chi se la vuole prendere e può trovare spazio in qualsiasi contesto. Questa è almeno l’idea e questa è la sensazione che ho avuto dalle proposte tantissime e diverse. C’è chi farà la manifestazione a Ponte Galeria e si porta dietro i princìpi che abbiamo sottoscritto. Non c’è un soggetto. È un elenco di “libertà” che chi firma condivide e vuole affermare e difendere con le proprie pratiche quando le mette in atto. Questo è per me la cosa che scardina, accomuna senza necessariamente imporre».

È un esempio di democrazia diretta?
«È sicuramente una forma di democrazia nuova. Infatti, l’idea era anche quella del fatto che viviamo in un Europa che ha tutto tranne che le forme democratiche. La rappresentanza ha fallito, tanto che neanche più ci provano a parlarne riconoscendone il valore. Questa è una forma piccola, però è anche un tentativo di creare un modello. Per me è stato bellissimo che qualcuno abbia detto che gli ricordavano l’assemblee degli Indignados in Spagna. Era anche il tentativo che parte dal piccolo per diventare grande, di sperimentare nuove forme di partecipazione».

Francesca Materozzi