Testimonianze

Voci dall’isola frontiera

Stefano Galieni - 6 Febbraio 2014

1795595_246692885510996_1012418023_nL’altra faccia della medaglia è costituita dagli abitanti dell’isola. Che certamente non costituiscono un soggetto monoliticoma, sono accomunati da problemi e condizioni comuni. Durante la discussione, che ha portato all’approvazione della Carta di Lampedusa, si è parlato anche di questo. «Io non mi sento italiana. Per molti versi, sono più simile alle donne immigrate. Come loro, per l’Italia e per l’Europa siamo cittadini di serie B», dice una mamma lampedusana del comitato per difendere i propri diritti. Nella sala conferenze dell’aeroporto esplodono gli applausi.

Gli ospiti invernali, affluiti in modo massiccio, oltre 300 quelle che si sono registrate all’ingresso, non sono stati vissuti come invasori. Al contrario. Tra i primi a dirlo, il sindaco, Giusi Nicolini: «A Lampedusa si può venire anche se è gennaio, piove, fa freddo e non si può fare il bagno. Anche se il museo archeologico non è ancora attivato. Noi vorremmo che nella nostra piccola terra si potesse venire 365 giorni all’anno e puntiamo su un nuovo ruolo del Mediterraneo: vorremmo essere un luogo di incontro. Vogliamo testimoniare, lanciare messaggi, insieme alla comunità, per veder riconosciuti i diritti di chi scappa dalla propria terra. Ma Lampedusa è una zattera e i diritti di chi vive sulla linea di confine sono ancora dimezzati. La Carta deve e può essere un importante punto di incontro con la nostra comunità». Nicolini è commossa dalla partecipazione: «Già questo è un obiettivo raggiunto, qui incontro un pezzo d’Italia e di Europa che si impegna sull’immigrazione, sulla lotta alle mafie e per i diritti di tutti. Ma l’isola che ha avuto anche la graditissima visita del Papa, è la stessa in cui per gli approvvigionamenti idrici siamo ancora legati al cordone ombelicale della nave cisterna, quando le vicine isole africane hanno moderni dissalatori. Per questo vi chiedo di tenere assieme, nel vostro dibattito, i diritti dei migranti e quelli di chi vuole, vivendo qui, raggiungere migliori traguardi di civiltà per tutti. L’Europa deve essere comunità di popoli e non fortezza». Il sindaco sottolinea anche l’opportunità di far conoscere la Carta in tutta l’Europa, creando sinergie con i prossimi appuntamenti fissati sull’isola, come per esempio quello promosso la prima settimana di aprile da Emmaus. (Per leggere altri stralci dell’intervento del sindaco cliccate qui)

Angelo Mandracchia, presidente dell’associazione dei piccoli imprenditori lampedusani, ha chiesto a nome degli associati di poter partecipare alla stesura della Carta. E infatti, un loro documento sarà allegato al testo e circolerà in tempi brevi. «Non abbiamo molto da rimproverarci parlando di accoglienza – ha iniziato – ma l’altra faccia della medaglia dell’immigrazione è la ricaduta sulla nostra economia. Noi viviamo di turismo e di danni ne abbiamo subiti. In 20 anni abbiamo sopperito alle mancanze delle istituzioni, abbiamo visto attuare decisioni scellerate da parte dei vari governi che ci hanno danneggiato. Noi abbiamo manifestato con e per i migranti, non per interesse cinico ma per difendere il diritto ad una vera accoglienza. Nel Cpsa non si deve poter restare per più di 96 ore, non è adatto. Ma basta che arrivino poche centinaia di persone e il meccanismo si blocca e questo per incompetenze. Cambiano gli uomini ma non le ideologie che sottendono a tali scelte, col risultato che a farsi carico delle difficoltà è la nostra comunità». È arrabbiato l’imprenditore, barba bianca e sguardo profondo: «Noi non vogliamo la guerra fra poveri, ma pesca e turismo sono in crisi, quest’ultimo anche grazie alla mala gestione dell’immigrazione e al fatto che vicende come quella della disinfestazione nel centro mandata dal Tg2 hanno reso vani i messaggi positivi lanciati dalla nuova amministrazione. L’operazione Mare Nostrum ha dimostrato che si possono salvare le persone e portarle direttamente in Sicilia, una gestione diversa è possibile se si vuole».

Mandracchia racconta poi dei tanti assurdi problemi che affrontano i 5.500 abitanti dell’isola: «Nel 2011 e nel 2012 abbiamo avuto un solo aiuto, una sospensione dei tributi che però ci sono stati già ripresi. Intanto si è ridotto il già carente servizio sanitario, mancano gli specialisti, l’isola è distante e non ci possiamo rivolgere nemmeno a privati. La guardia medica deve provvedere a lampedusani e migranti e non ce la fa. Manca l’assistenza oncologica, una macchina per la Tac, una sala parto. Da noi, quando sta per nascerci un bambino, si dice accattari u figlio, comprarlo insomma perché bisogna farlo nascere fuori da Lampedusa e fuori bisogna fare le visite periodiche. Noi paghiamo un ticket diverso dal vostro – dice parlando con i partecipanti all’assemblea. Il nostro ticket è il viaggio, l’albergo, l’accompagnamento per la partoriente e via. Ci prendono in giro con lo sconto della continuità territoriale per il biglietto aereo. È vero, siamo avvantaggiati, il biglietto di andata e ritorno che voi pagate 150 euro noi lo paghiamo “solo” 140. 10 euro di sconto. Finora poi, le concessioni per i voli sono state approvate con un contratto senza gara di appalto che scade ogni 6, al massimo 8 mesi. Questo significa che se voi volete prenotare un viaggio qui a luglio non potete, perché non sapete chi effettua il volo, a quali costi e con quali orari. Come possiamo noi prendere impegni o accettare prenotazioni turistiche? Forse ora ce la faremo con un contratto per 3 anni ma ancora nulla è sicuro. Della nave poi, neanche a parlarne, è una carretta che non parte se c’è il mare a forza 3 (onde di 1 metro mezzo), se ci sono guasti, se c’è un problema di contratti per i marinai. L’arrivo della nave, che impiega 9 ore significa la possibilità di avere frutta, verdura, cemento, merci varie. Difficile vivere quando non sai cosa troverai al mercato la mattina. È vero che la natura ci ha dato sole e mare, ma è altrettanto vero che i nostri figli fanno il doppio turno in scuole fatiscenti e pericolose. Si tratta di edifici adattati alla bisogna su cui adesso sembra si stia intervenendo. Ma sono tante le cose da fare».

Nel liceo scientifico Maiorana è iniziato il percorso lampedusano. Gli organizzatori hanno proiettato un documentario realizzato da due registi, CiaLiLaPi (Ciad – Libia – Lampedusa – Pisa), la storia di un percorso di inclusione a lieto fine in cui ha svolto un ruolo significativo anche il nostro Sergio Bontempelli. Gli studenti dell’ultimo anno hanno assistito con attenzione e curiosità alla proiezione, parlando con alcuni di loro, è emerso come si siano riconosciuti nel racconto dell’isola che fanno i registi e quanto certe tematiche le vivano con passione. Alcuni hanno partecipato ai lavori per la Carta. Una ragazza, affatto intimidita durante l’assemblea all’aeroporto, ha avuto l’ardire, sommersa da applausi, che: «I discorsi che sento li condivido come molti miei coetanei, ma cercate di scriverli in maniera più accessibile per tutti».

Askavusa, il collettivo guidato da Giacomo Sferlazzo, artista e cantautore, ha inaugurato nei giorni della Carta il nuovo Museo dell’immigrazione. Un luogo importante per chi non vuole dimenticare. È intervenuto nella giornata di apertura con una prospettiva radicale e un forte connotato ideologico: «Intanto non crediamo che le migrazioni siano provocate da fattori naturali. Il fatto che si ripetano in maniera ciclica in varie aree del pianeta, per noi è il sintomo del cambiamento delle zone del mondo che vengono colonizzate. Il sud Italia ha vissuto le migrazioni di massa e sempre in momenti di sfruttamento, la colonizzazione da parte del Piemonte, ad esempio, che poi i libri di storia chiamano “Unità d’Italia”, è un esempio su cui si è prodotta vasta letteratura». Da qui, un forte richiamo contro la militarizzazione del pianeta e la criminalizzazione dei lavoratori stranieri.

Come scrivevamo all’inizio di questo viaggio fra una parte dei lampedusani, sono state le mamme ad esprimere con maggiore concretezza e apprensione le difficoltà della vita in questo scoglio di Europa. Indignazione ma anche tanta calorosa accoglienza verso i partecipanti che hanno sentito come vicini, forza nel loro argomentare. Discorsi semplici e immediati, la maternità difficile e costosa, circa 10 mila euro a figlio, a cui poi seguono la crescita e l’istruzione. Il bisogno di veder considerati i propri bisogni come quelli dei migranti di cui si parlava, la descrizione minuta di una difficoltà di vivere che è perenne fatica, precarietà, assenza di lavoro anche per i mariti e isolamento continuo. Non vogliono più subire le mamme, si organizzano e vogliono poter parlare senza remore, sperano negli attivisti sopraggiunti in questo piovoso inverno, perché li hanno riconosciuti come portatori di istanze universali ma di cui hanno anche apprezzato l’umiltà e l’interesse per i loro problemi: «Voi non siete venuti per farvi fare le fotografie o le riprese sui telegiornali – mi dice una a latere – Ora potete capire come viviamo e lo potete raccontare a casa ai vostri genitori, ai vostri amici. E dite a loro che anche questa, pure se non sembra, è Italia».

Stefano Galieni