Rosarno d'Italia

Protestano gli schiavi di Sant’Antimo

- 12 Febbraio 2014

Quattordici ore di lavoro al giorno, senza pause. Dal lunedì al sabato, si inizia alle 6.30 del mattino e ci si ferma alle 20.30. Lavorano anche la domenica, gli schiavi di Sant’Antimo: dalle otto di mattina alle cinque di pomeriggio. La paga non supera mai i tre euro all’ora. «In qualche caso, abbiamo anche saputo di padroni che, per ricattare i propri dipendenti, sequestrano loro il passaporto per impedirgli di muoversi e cercare lavoro altrove», spiega Gianluca Petruzzo dell’associazione “3 febbraio”.
Siamo in provincia di Napoli, nel distretto industriale formato da una settantina di piccole industrie tessili che comprende Comuni come Grumo, Casandrino, Sant’Antimo. Un’area dove vivono circa 30 mila persone, tra cui poco più di 1.500 gli immigrati. Prevalentemente indiani, pakistani e bengalesi, che lavorano per confezionare capi d’abbigliamento “Made in Italy” per il mercato interno o per l’export.

«A iniziare le proteste è stato un gruppetto di 4-5 lavoratori bengalesi, che sono venuti da noi per denunciare la loro situazione e lo sfruttamento che subivano da parte del loro datore di lavoro, un connazionale – spiega Gianluca Petruzzo – Alcune di queste persone non percepiscono lo stipendio da un anno e mezzo. Chiedono i loro soldi e condizioni di lavoro degne». Inoltre, molti non hanno il permesso di soggiorno, e per questo sono facilmente ricattabili dai loro datori di lavoro.
L’obiettivo dell’associazione, ora, è coalizzare il maggior numero di lavoratori contro questa situazione, allargando le maglie della protesta a pakistani e indiani. «Questo dramma non può passare inosservato, non vogliamo che si ripetano tragedie come quella di Prato, dove morirono lavoratori cinesi colti nel sonno da un incendio nelle stesse fabbriche dove lavoravano», osserva Gianluca Petruzzo.
Per questo motivo, il 21 febbraio, in occasione della festa della lingua del Bangladesh, si terrà una manifestazione di festa e mobilitazione per i diritti di tutti i lavoratori nella piazza di Sant’Antimo.

I migranti possono contare anche sull’appoggio di diverse associazioni del territorio. Tra cui “La Comune”, il Centro Astalli di Casandrino, Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), l’associazione “Agorà” di Sant’Antimo, i comitati solidali antirazzisti di Napoli. Oltre alla manifestazione, le associazioni stanno lavorando per portare avanti una causa di lavoro nei confronti dei datori di lavoro «ma essendo tutto in nero è complicato», commenta Petruzzo. Il rischio, infatti, è che l’azione giudiziaria possa ritorcersi contro gli stessi lavoratori sfruttati. In quanto privi di permesso di soggiorno, rischiano l’espulsione.

Il grave sfruttamento, il sequestro dei passaporti, i ricatti subiti dai lavoratori «sono tutti elementi che, oltre a configurare l’ipotesi di grave sfruttamento lavorativo, così come previsto dall’art. 603. c.p, configurano inoltre la fattispecie del più grave reato di riduzione in schiavitù così come stabilito dall’art. 600 c.p.» si legge in un comunicato dell’Asgi.
L’associazione di giuristi ha quindi deciso di sostenere i lavoratori «in ogni iniziativa e percorso giudiziario si voglia intraprendere e auspica che, in una corretta interpretazione della normativa esistente, vengano rilasciati alle vittime di tali gravi condotte gli speciali permessi di soggiorno per motivi di protezione sociale ai sensi dell’art. 18 D.Lgs. 286/98 (Testo Unico Immigrazione), ovvero quelli per motivi umanitari previsti dall’art. 22 co. 12quater D.Lgs. 286/98».

Ilaria Sesana