Saharawi

Il progetto solidale Bienvenidos a mi casa

- 12 Febbraio 2014

Quando, nel 1996, abbiamo iniziato i nostri viaggi di solidarietà tra il popolo saharawi (profugo da oltre trent’anni nel deserto algerino), quando nel 2008 abbiamo pensato al progetto di un punto di primo soccorso, quando nel 2011 lo abbiamo realizzato, non avremmo mai pensato che quel territorio così inospitale – lontano – arido, sarebbe diventato la nostra Terra e la nostra Casa.

Alla propria Casa e alla propria Terra si torna dopo un lungo viaggio, la viviamo lontana, ma la sentiamo vicina e per la quale, come qualsiasi immigrato, mettiamo da parte dei denari per migliorarla, per farci perdonare di averla per troppo tempo lasciata sola, anche abbandonata. Ritorniamo ogni anno non come stranieri ma come cittadini. Dietro a noi, la società dell’inutile ma anche del benessere, scesi entrambi all’aereoporto di Algeri e non imbarcati per Tinduff. Cittadini non nativi ma appartenenti alla comunità saharawi, ne condividiamo la lingua che vibra nei suoni delle donne che esprime felicità e approvazione, ne condividiamo l’amore per una terra perduta, la voglia di ricostruzione e di mantenimento delle tradizioni, la voglia di libertà e la storia di indipendenza, e ci sentiamo appartenenti alla sua Repubblica. Per questo, dopo aver cercato di creare i locali del Punto di Primo Soccorso e insegnato ai giovani le prime nozioni del primo soccorso per farli più vicini a noi, soccorritori volontari nella testa e nel cuore, non ci siamo stupiti che il progetto si era trasformato a loro misura e per le loro opportune, giuste, naturali necessità.

Un nuovo e funzionale ampliamento della farmacia nell’Ospedale di Auserd, nuovi volti giovani – appena laureati, pronti a prescrivere e a riconoscere dietro ogni anonima pillola (non vi sono scatole di medicinali, non vi sono targhe, non vi sono case farmaceutiche ma solo vasi di pillole con un’etichetta bianca). La nostra ambulanza non serve solo per le emergenze ma a far nascere bambini nalle tendopoli. Non vi sono posti in Ospedale, ovvero, ci sono tanti posti vuoti ma si preferisce curare presso le Tendopoli, dove comunque arrivano dagli immigrati, cibo, vestiario, luce. Anche la pazzia non è più curata, ma non per una scelta illuminata, ma per non pesare sulla sanità della comunità. Si cura, si guarisce, si opera, ma la degenza o la leggera malattia, anche mentale, non è più presso l’Ospedale.

È la fame l’ultimo mostro per il nostro Popolo. Un mostro che è sempre stato presente nel deserto algerino, che abbiamo conosciuto fin da subito ma che adesso è ancor più visibile. Non arrivano aiuti internazionali, non si vedono più nei villaggi i mercatini (se così si possono chiamare, chi è stato nel deserto comprende a cosa mi riferisco). Se poi il Governo poteva occuparsi solo dell’alimentazione, grazie ai progetti volti alla costruzione e la manutenzione delle scuole, di ospedali, di centri culturali, si era convinti di poter continuare a sentirsi orgogliosamente cooperanti, equi e giusti nella distribuzione. Ma non è più così, dal 2011, ovvero, solo due anni fa è cambiato il sahara occidentale. Sono cambiati i suoi giovani.

I ragazzi si spostano ormai nella vicina Tindurf a lavorare, studiare: medici divengono operai edili, guardie della Rasd hanno imparato a macellare. Il deserto diventa una striscia di asfalto che avvicina, ma allontana al tempo stesso, le generazioni. Altri ritornano alla pastorizia nei territori liberati, tuareg come i loro nonni. Il Governo ha capito, lascia i giovani tentare nuove strade, sostiene i loro percorsi per sostenere le famiglie, per la pace. Pace che significa ancora oggi, attendere. Aspettare che questo Mondo si accorga di un popolo che, come quello Palestinese, non ha Nazione, non gli è riconosciuta cultura, lingua, cittadinanza e le sue variegate etnie, origini e i costumi.

Insieme al cibo e ai farmaci, che non è facile trasportare ma che abbiamo deciso di portare nei nostri bagagli personali, abbiamo portato la solidarietà della nostra città. È sempre bello riconoscere e ritrovare i medici saharawi che non hanno abbandonato le tendopoli, le maestre e i maestri che da anni lavorano gratuitamente, i dirigenti politici e i sindaci che proteggono dalla fame e dalla tristezza le loro comunità. Sono persone che sprigionano dignità, se pur nella sofferenza, se pur magrissimi e con gli occhi affossati, anelanti di diritti e di giustizia. Una giustizia e diritti che sono ogni giorno calpestati, una giustizia che si allontana e quasi irraggiungibile, ma il loro impegno ci fa tremare la voce mentre allarghiamo le braccia, i nostri occhi ridono, ma al tempo stesso piangono per l’amico ritrovato, ma anche per la nostra impotenza e vi giuro: fa male il cuore. Compagni, sorelle, fratelli, la più bella azione è la solidarietà. Ricominciamo: abbiamo i container, abbiamo la nostra rete di farmaci, abbiamo la nostra comunità e tante altre comunità locali in Italia che amano questo popolo e noi sappiamo che dobbiamo raccogliere cibo.

Il cibo, non è un progetto, è un bisogno. Un bisogno a cui sentiamo il dovere umano di rispondere. Per questo continueremo a finanziare l’Ospedale di Auserd, affinché la Rasd continui a curare la sua gente, affinché la nostra amica ostetrica viaggi nelle tendopoli per assistere le giovani madri, affinché il nostro dottore cubano curi gli anziani dal diabete e i bambini dalla celiachia. Ma inizieremo a raccogliere gli alimenti da inviare a questo popolo i cui giovani, cercano di dare un futuro e un volto diverso, accettando la vita nel deserto, restando e costruendo le loro case di sabbia in Algeria, creare nuove famiglie, pur avendo nello sguardo il rancore verso il passato. Ma noi li aiuteremo, li abbiamo visti crescere, sono i bambini che abbiamo accolto in Estate, sono i giovani che ospiteremo presso le nostre associazioni per formarli a soccorritori, sono le famiglie che avranno un figlio che si chiamerà Nadia o Giovanni o Eugenio o… ma che stanno lottando – esistendo e resistendo – per non far morire la libertà sognata dai loro vecchi, gli stanno accanto con orgoglio e sfida, continuando ad essere esuli, sfollati, popolo al quale anche noi apparteniamo.

Il Comitato di Campi Bisenzio è sempre attivo, i volontari si riuniscono una volta al mese ospiti di associazioni. Vi aspettiamo per continuare il nostro impegno, ma anche per progettare nuove iniziative e accogliere altresì nel 2014 i nostri bambini.

Nadia Conti – Componente del Comitato pro-saharawi

Nadjem El Garhi – Campi Bisenzio