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14 febbraio 2011

- 12 Febbraio 2014

Nel mio archivio l’appunto è molto chiaro: «So che la Lega non è razzista – dice Pierluigi Bersani, segretario Pd, intervistato dal quotidiano La Padania il 14 febbraio 2011 (e poi ripreso da L’unità)».
Per abitudine controllo tutto – persino i miei appunti – tanto più che non ho sottomano quell’articolo. Scusate il racconto “in prima persona” ma mi pare interessante quel che accade quando si cercano in rete verifiche, ma soprattutto come la memoria pubblica “interpreta” o dimentica (è il senso di questa rubrica) il passato, anche recente. A me è andata così: il 9 febbraio 2014 digitando prima «Pier Luigi Bersani so che la Lega non è razzista» e poi varianti tipo «Bersani intervista Padania 14 febbraio 2011» il primo risultato che si apre è questo:
Bersani intervistato dalla Padania: “Alla Lega dico: un patto per il…
sul sito del Pd.
Verificate con il link, ma se siete di fretta vi riassumo che la “maschera” d’apertura è questa:
Intervista
Bersani intervistato dalla Padania: “Alla Lega dico: un patto per il federalismo vero”
Intervista a Pier Luigi Bersani di Carlo Passera – La Padania: “È il Carroccio a tenere attaccata oggi la spina del governo Berlusconi. Un accanimento terapeutico con l’unico scopo di portare a casa il federalismo. Ma in queste condizioni rischiamo di fare una cattiva riforma”
Dunque il riferimento al “non razzismo” della Lega è (nella titolazione del Pd) secondario. E invece, all’epoca se ne parlò moltissimo.
Fra i molti commenti – sia critici che non – che ho visto (sempre digitando in rete in questi giorni) si sottolinea che, in quel contesto politico, Bersani tendeva la mano alla Lega per convincerla a mollare Berlusconi, “corteggiandone” le aspirazioni federaliste. Siccome questa operazione politica non interessa Corriere delle migrazioni, io non mi pronuncio ma chiedo solo perché – sia pure in quel contesto – era necessario che Bersani sul razzismo (non proprio una bagatella) si sbilanciasse a sostenere: «Non ho bisogno che qualcuno mi spieghi che la Lega non è razzista. Lo so». Aggiungendo anche: «Dico che la Lega non è razzista, ma attenzione: a incoraggiare certe pulsioni, il razzismo si può produrlo». In buon italiano significa: dentro la lega non ci sono razzisti, ma siccome qualcuno ogni tanto scherza con il fuoco, bisogna stare attenti per il futuro».
Possibile che il segretario di un partito importante ignori le parole e i fatti della Lega in oltre un ventennio? Possibile che sottovaluti l’importanza delle sue parole, cioè di un’analisi così insostenibile?
Quel che dice e fa la Lega è sotto gli occhi di tutti. Federico Faloppa ha pubblicato proprio nel 2011 (da Laterza) un libro dal titolo geniale: Razzisti a parole (per tacere dei fatti). Faloppa riteneva così significativa quella intervista di Bersani da inserirne la frase chiave – appunto quel «So che la Lega non è razzista» – in chiusura delle 10 citazioni (secche, senza commenti) che costituiscono il terzo capitolo, «Soltanto parole?», del suo libro. Le 9 frasi che precedono Bersani sono notissime, e indubitabilmente razziste, dichiarazioni di Gentilini, Borghezio, Calderoli e Salvini, cioè di alcuni fra i massimi esponenti della Lega Nord.
Per una curiosa coincidenza, proprio 5 anni prima (a esser pignoli: 5 anni meno un giorno, era il 15 febbraio 2006) era successo un fattaccio che riguardava Calderoli, allora ministro della «semplificazione». Nel pieno delle polemiche che da mesi agitavano molti Paesi – con decine di morti e sedi diplomatiche attaccate in mezzo mondo – dopo una caricatura di Maometto apparsa sul quotidiano danese Jyllands Posten, il ministro leghista, in una esibizione su Raiuno, mostrò una t-shirt proprio con quella vignetta. Uno dei risultati fu che a Bengasi, in Libia, il consolato italiano venne assaltato, saccheggiato e dato alle fiamme, con 11 manifestanti uccisi dalla polizia locale.
Evidentemente, anche di questo episodio del 2006 Bersani (nell’intervista del 2011) non conservava memoria, oppure giudicava l’episodio “una ragazzata” come le altre della Lega.
Ma forse bisognerebbe approfondire la smemoratezza di Bersani. Propongo a una (immaginaria) classe di aspiranti giornaliste/i di usare il metodo che io chiamo “corda pazza”. Cioè di giudicare quell’intervista di Bersani a partire da queste considerazioni che riprendo da Il berretto a sonagli di Luigi Pirandello: «Deve sapere signora che abbiamo tutti come tre corde d’orologio in testa. La seria, la civile, la pazza. […] Ci mangeremmo tutti, signora mia, l’un l’altro come tanti cani arrabbiati. Non si può […] Che faccio allora? Do una giratina alla corda civile e vado avanti sorridente con la mano protesa […]. Ma può venire il momento che le acque si intorbidano. Allora io cerco di girare la corda seria, per chiarire, rimettere le cose a posto, dare le mie ragioni […] Che poi se non mi riesce in nessun modo sferro, signora, la corda pazza, perdo la vista degli occhi e non so più quello che faccio».

Daniele Barbieri