Le parole e l'impegno

Alessandra Ballerini, la vita le sia lieve

Stefania Ragusa - 24 Febbraio 2014

1798476_10203000858919599_871222956_nA tracciare uno dei ritratti più veri di Alessandra Ballerini è Nando Dalla Chiesa, che le dedica un capitolo del suo libro I fiori dell’oleandro. Donne che fanno più belle l’Italia.
Quattro pagine in cui c’è tutto: la criniera fulva, che gli immigrati “conoscono a memoria”; gli inizi, con un ecuadoregno colpito da provvedimento d’espulsione e i termini che scadevano il giorno dopo, che capita da lei per caso e lei che accetta l’incarico, studia tutto in una notte e vince; il G8 di Genova e l’assalto alla Diaz come momento drammatico della perdita dell’innocenza: i princìpi fondamentali della Costituzione sono disinvoltamente calpestati dal potere; la scelta dell’impegno e dell’etica, innestata sulla consapevolezza lucida che ad assistere clienti ricchi e pieni di mezzi (in grado magari di farsi fare leggi ad hoc) non c’è nessun merito: “un bravo avvocato è quello che vince le cause perse”.
Cause perse sono in genere quelle che riguardano i migranti rinchiusi nei Cie, vessati nelle campagne e comunque messi in una condizione di minorità e ricattabilità da leggi miopi e crudeli.
Nando Dalla Chiesa, con la casa editrice Melampo, ha voluto che Alessandra (che è anche una brava scrittrice, noi del Corriere delle Migrazioni lo sappiamo per esperienza diretta) raccontasse quello che ha visto, fatto, provato in questi anni. Lei ha detto sì, e da questo sì viene fuori La vita ti sia lieve, libro bello, doloroso e potente, che riesce, con la sua sincerità e la sua precisione, a far capire non solo alla testa ma anche al cuore cosa significhi essere migrante.
La vita ti sia lieve (il titolo è stato scelto e fortemente voluto dall’autrice) è stato presentato già in molte città italiane.
A Milano (presso Spazio Tadini, dove è ancora in corso la mostra Save My Dream, dedicata a Lampedusa) ad avere il piacere e l’onore di organizzare e condurre la presentazione è stata la sottoscritta. Con Alessandra c’erano Dalla Chiesa, l’inviato dell’Espresso (e “collaudatore” di Cie) Fabrizio Gatti e Rufin Doh, attore molto bravo che ha letto alcuni brani del libro. Cominciando dal racconto Il Falco e il Bambino, che Corriere delle Migrazioni aveva pubblicato in occasione dell’uscita del libro e che si chiudeva con una frase forte e ad effetto: «La prossima vita, Omar (il bambino protagonista del racconto, ndr) se nasce profugo, gli conviene nascere rapace».
Alessandra, perché è così importante stare dalla parte degli ultimi e difendere i diritti?
«Non è solo o in primo luogo una questione di coscienza. Stare dalla parte degli ultimi, difendere i diritti e la Costituzione vuol dire difendere in primo luogo se stessi. I diritti umani non sono divisibili: sono per tutti o non sono per nessuno. E questa seconda opzione rappresenta un danno irreparabile».
Lei è sempre in giro tra Cie e Lampedusa. Ha passato l’ultimo Capodanno a Ponte Galeria. Il suo impegno è totalizzante e il suo numero di telefono, come lei stessa dice, è “scritto sulle porte di tutti i cessi di tutti i centri di prima accoglienza”. Ci sono dei momenti in cui si chiede: ma chi me lo fa fare?
«Me lo chiedo in continuazione. La stanchezza e l’impotenza davanti a poteri fortissimi mi scoraggiano. Però, per me, è inevitabile continuare. Non potrei stare dall’altra parte, quella dei carcerieri. Non potrei fare finta di non conoscere ciò che conosco. E poi questo impegno è anche molto arricchente: mi mette in contatto ogni giorno con persone bellissime».
Spesso è stato fatto il parallelismo tra Auschwitz e i Cie: cosa ne pensa?
«In genere non faccio paragoni. Queste enormi nefandezze dell’umanità non sono riducibili le une alle altre. Ciascuna di esse ha la propria orribile originalità. Trovo però che ci sia un elemento comune: il linguaggio burocratico, usato per anestetizzare l’opinione pubblica e disumanizzare le vittime. Tra il Manifesto della Razza e i vari pacchetti sicurezza c’è una sorpendente analogia di linguaggio».
Cosa ci vorrebbe adesso in Italia, quali sono le priorità?
«Ci sono le proposte che abbiamo indicato nel documento Mai Più Cie e quelle dell’Asgi, c’è la Carta di Lampedusa. Ci sono molte cose che potrebbero essere fatte senza aspettare di riformare l’intero impianto. In particolare: chiudere i Cie; attivare i corridoi umanitari per i profughi; riscrivere il regolamento di Dublino».
Quali sono i punti di debolezza del fronte antirazzista in Italia?
«Sono gli stessi degli italiani in generale: l’incapacità di fare squadra sul lungo periodo. Di fronte alle emergenze ci si riesce a compattare ma sul lungo percorso prevalgono i protagonismi».

Stefania Ragusa