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Europa in vendita

- 24 Febbraio 2014

Passaporti-europeiA.A.A. Passaporto vendesi, ma solo per abbienti. Astenersi poveracci e perditempo. Molto presto potremmo non doverci stupire se annunci di questo tipo comparissero nelle ambasciate dei Paesi europei. Malta e Cipro stanno già percorrendo questa strada. Mentre in Italia ancora si dibatte sulla necessità di preservare la cultura nazionale da presunte invasioni e sull’opportunità di affiancare lo ius sanguinis con lo ius soli, in Europa si va sviluppando un mercato parallelo e legale delle cittadinanze e dei permessi di residenza basato sul denaro, che non va tanto per il sottile. Un mercato  che svela una ipocrisia di fondo. Non è vero che non si vogliono gli immigrati: se sono ricchi (ma tanto) e con i loro capitali, possono contribuire ad arginare la bancarotta europea, sono i benvenuti. E al diavolo le radici cristiane e l’identità europea!

Il caso maltese Il 13 novembre scorso è stata promulgata dal parlamento di La Valletta una legge che prevede la possibilità di ottenere la cittadinanza per chi proviene da ogni angolo del pianeta pagando la “modica” cifra di 650 mila euro. Con 25 mila euro cadauno si può ottenere poi la cittadinanza per i figli minori di 26 anni e per i genitori. In realtà l’Unione Europea, pur non potendo intervenire in una materia che attiene ai singoli stati nazionali, ha poco gradito tale iniziativa. «La cittadinanza europea non può essere in vendita», ha dichiarato al quotidiano maltese Times of Malta il Commissario europeo per la giustizia, Viviane Reding. Dopo un vertice fra Commissione europea e Governo maltese, sono state stabilite due clausole restrittive di ordine economico (l’acquisto di un immobile del valore di almeno 350 mila euro sul territorio maltese e l’investimento in bond o azioni del Paese per almeno 150 mila euro). I nuovi richiedenti dovranno poi dimostrare la loro presenza sul territorio maltese da almeno 12 mesi (ma sull’effettiva entrata in vigore di questa clausola c’è stato molto scetticismo sui giornali de La Valletta). Questo dopo che il 16 gennaio era stata approvata dal Parlamento europeo, a larghissima maggioranza, una risoluzione che deplorava la procedura maltese. Duro il giudizio della Vice presidente del Parlamento europeo, Roberta Angelilli, del centro destra: «Premesso che i diritti che derivano dalla cittadinanza europea si fondano sulla dignità umana e che pertanto non dovrebbero essere acquistati o venduti in nessun modo, il governo di Malta non può pensare di fare cassa utilizzando uno strumento così importante e delicato […], tale proposta apre letteralmente le porte dell’Europa a chiunque e a tempo indefinito. La cifra richiesta, inoltre, lascia presumere che i più probabili acquirenti possano essere le reti criminali internazionali, il che rende ancora più preoccupante la riforma».
L’inserimento di questi prerequisiti e la deplorazione europea non hanno però mutato la sostanza delle cose: chi ha soldi a sufficienza può acquisire facilmente e in tempi rapidi la cittadinanza maltese e, quindi, il diritto di muoversi a proprio piacimento e senza obbligo di visto in 170 Paesi, rendendo più facile l’acquisizione di una nuova cittadinanza in quelli più ambiti. Il meccanismo è semplice, in quanto cittadini Ue, si avrebbero facilitazioni per gran parte del mondo, Malta sarebbe insomma solo una prima tappa per potersi muovere agevolmente anche in paesi come la Svizzera, la Norvegia, l’Islanda e il Liechtenstein che non fanno parte dell’Unione.
A Malta si fronteggiano due questioni che rendono problematica la norma introdotta: da una parte i nazionalisti che non apprezzano tale “svendita” del Paese, dall’altra il fatto che l’isola da tempo è nel mirino dell’Unione per lo scarso impegno con cui si soccorrono i richiedenti asilo che riempiono i barconi poi intercettati verso Lampedusa, come per le condizioni pessime con cui vengono trattati colori che vengono trattenuti nei centri di detenzione maltesi. Ma tutte queste resistenze si scontrano con gli introiti che deriverebbero dall’applicazione di tale dispositivo. Grazie alle “cittadinanze” nelle casse esangui del piccolo Stato, entrerebbe ben un miliardo di euro, circa un terzo del Pil maltese. Probabile, secondo Chiara Favilli, esperta di Diritto comunitario dell’Asgi, che la Commissione Europea tenti una moral suasion (una azione lobbistica verso gli interessi economici che Malta ha nei fondi nei fondi europei per la cooperazione, per fare in modo che il governo maltese desista, ma la normativa esistente non mette paletti agli Stati per decidere come concedere la cittadinanza. Per colmo, il progetto approvato, Individual Investor Program (Ipp) verrà attuato attraverso la Henley & Partners, una società inglese specializzata in “soluzioni per la cittadinanza” che ha sede nell’isola di Jersey, un paradiso fiscale nello stretto della Manica e che si aggiudicherà per tale servizio il 4% dell’incasso.

passportNel resto d’Europa. In Bulgaria c’è stato, per effetto della crisi, un crollo degli investimenti esteri, passati da 6,55 mld di euro nel 2008 ad 1,75 nel 2011. Un calo dovuto anche al fatto che non esiste ancora una legge atta a regolare i rapporti fra pubblico e privato e alla presenza di una normativa commerciale a dir poco lacunosa. E così, per correre ai ripari, a chi è disposto a investire 511 mila euro nel Paese, potrà avere la cittadinanza bulgara. In subordine, si può acquistare un immobile per almeno 305 mila euro (ma è allo studio la possibilità di tagliare la soglia minima a 250 mila euro, nel caso di investimenti in industrie, infrastrutture, trasporto o turismo). E il passaporto emesso a Sofia è molto ambito, soprattutto dai russi e dagli altri cittadini dei Paesi balcanici non ancora nell’Unione europea per le stesse ragioni maltesi.
Sofia, in realtà, sta ancora attendendo che Olanda e Germania tolgano il veto per l’ingresso ufficiale nel club dei “senza confini”. Il presidente della Repubblica bulgara, Rosen Plevneljev, ha espresso parere (vincolante) negativo alla norma in questione, già approvata dal Parlamento, rilevando che la concessione della cittadinanza non può basarsi su criteri finanziari. La legge ora torna in Parlamento, ma se sarà nuovamente approvata, il presidente dovrà promulgarla. La norma prevede che la cittadinanza sarà concessa a chi è già domiciliato da un anno in Bulgaria e ha investito in progetti considerati prioritari dal governo. Le aziende in cui si investe non devono inoltre essere sull’orlo del fallimento e devono regolarmente retribuire i propri operai.
Anche la piccola repubblica di Macedonia sta procedendo in tal senso: la proposta, elaborata dal governo, non è ancora in discussione in Parlamento, ma prevede la concessione della cittadinanza in cambio di 400 mila euro di investimenti, in grado di determinare almeno dieci posti di lavoro. Il costo meno esoso, rispetto agli altri Paesi menzionati, deriva dal fatto che la Macedonia non è per ora uno Stato Ue, ma i suoi cittadini, dal 2009, possono comunque circolare liberamente e senza obbligo di visto nell’“Area Schengen”.
Nella lontana, ma non troppo, Cipro, già dal 2011 sono in vigore norme per i più abbienti, che costituiscono però vere e proprie concessioni ad personam. I requisiti, all’atto della promulgazione, erano estremamente diretti: un “investitore” straniero può essere naturalizzato se soddisfa i seguenti criteri: 1) ha investimenti immediatamente disponibili del valore di almeno €10 milioni che includono proprietà immobiliari, azioni o titoli registrati ed emessi a Cipro; 2) ha costituito una o più società di cui mantiene il controllo, aventi un fatturato di almeno €10 milioni all’anno nei tre anni precedenti la domanda di naturalizzazione o almeno 1/3 dei dipendenti di queste società sono ciprioti; 3) l’investitore o le società di sua proprietà o i fondi dei quali l’investitore è il beneficiario hanno risparmi in banche di Cipro per almeno €15 milioni e depositati per un periodo minimo di cinque anni; 4) sulla base dei suddetti criteri, l’investitore possiede proprietà del valore di almeno €15 milioni; 5) ha costituito società gestite a Cipro che nei tre anni precedenti la domanda abbiano contribuito all’economia di Cipro in media per almeno €500.000 all’anno, sotto forma di pagamento di tasse, Iva o di acquisto di servizi professionali; 6) ha raggiunto l’età di trent’anni, non ha precedenti penali ed ha acquistato una casa a Cipro del valore di almeno €1 milione, che utilizza come residenza permanente. Se queste condizioni vengono soddisfatte, il Consiglio dei Ministri dovrà informare il Parlamento e prendere la decisione finale riguardo alla naturalizzazione del richiedente. Sulla base delle tendenze attuali, si può dedurre che queste domande vengano considerate positivamente dal Consiglio dei Ministri e dal Parlamento.

L’opzione residenza  Per evitare problemi con le istituzioni Ue e suscitare meno clamore, alcuni paesi hanno deciso di puntare sulla carta residenza: ingolosisce meno della cittadinanza ma può servire ugualmente a fare entrare capitali freschi. Si tratta di provvedimenti, sempre per cittadini facoltosi, che permettono o, se approvati permetteranno, di far acquisire a selezionati cittadini un permesso di residenza che non solo determina pochi obblighi, ma permette di velocizzare i tempi di naturalizzazione e poi di acquisizione della agognata cittadinanza. Un esempio è quello dell’Ungheria, che concede la residenza permanente nel Paese a chi acquisterà titoli di Stato, ovvero parcelle del debito pubblico. Il costo non è troppo oneroso, si parte da 250 mila euro. Il termine è residency bond. Se n’è iniziato a parlare nell’ottobre del 2012 quando il partito del premier Orban aveva depositato una proposta di legge, approvata recentemente, in base alla quale gli investitori esteri (Budapest strizza l’occhio in particolare a russi, cinesi, vietnamiti ed arabi) che sottoscriveranno titoli di stato quinquennali, si garantiranno un permesso di soggiorno permanente con procedura agevolata (sei mesi invece dei 3 anni necessari con la procedura ordinaria). Dalla residenza alla cittadinanza, tra l’altro, il passo è spesso molto breve. Tra i vantaggi non indifferenti che offre l’Ungheria non va dimenticato il regime fiscale, così favorevole da lasciar immaginare un vero e proprio paradiso nel centro del continente.
Anche il governo della Spagna (ne avevamo parlato mesi fa) sta valutando l’opportunità di offrire una residenza stabile a chi acquisterà un immobile del valore di almeno 160 mila euro. In Portogallo bisogna fare un investimento immobiliare di 400 mila euro, per un permesso che a breve diviene permanente. In Irlanda si sale a cifre che vanno dai 500 mila euro al milione: qui basterà poi risiedere 5 anni su 8 per ottenere la piena cittadinanza. In Grecia il meccanismo ricorda quello portoghese: un immobile, 250 mila euro e forti investimenti per assumere almeno 10 persone. In Lettonia sarà sufficiente entrare in possesso di un immobile del valore di almeno 140 mila euro per ottenere un certificato di residenza quinquennale. In Portogallo è richiesto anche un investimento di 1 milione di euro che dia lavoro ad almeno 10 cittadini lusitani. La sproporzione con quanto richiesto dalla vicina Spagna è facilmente motivata. Per Lisbona si tratta soprattutto di attrarre investimenti stabili, fornendo grandi facilitazioni per l’ottenimento poi della cittadinanza, in Spagna si tratta di risolvere il grave problema della bolla immobiliare. Sono infatti quasi un milione gli immobili costruiti e rimasti invenduti, soprattutto nelle località turistiche e balneari.
Un caso a parte è quello dell’Austria, dove gli imprenditori di collaudata fama possono essere considerati di interesse strategico per il Paese e quindi ottenere il passaporto. Non ci sono cifre però che “aiutano” a quantificare la strategicità degli investimenti esteri. Anche il Regno Unito sembra intenzionato a entrare in questo elenco: Londra pensa di mettere in vendita il diritto di risiedere in Gran Bretagna. L’ufficio di immigrazione del governo inglese ha recentemente proposto, infatti, di mettere in vendita il diritto di risiedere sul territorio britannico (prezzo base: 10 milioni di sterline).
Per chi poi intende invece direttamente andare in paradiso senza passare dal via, niente di meglio che acquistare, dimostrando di avere patrimoni a nove zeri e investendo fra le spiagge sicure di Dominica o di Saint Kitts e Nevis. Un clima favoloso, nessun controllo e una doppia cittadinanza che protegge da ogni problema non solo fiscale. Occhio però, che in gran parte degli Stati di cui si è fatta menzione, un cambio di governo potrebbe accadere quanto avvenne a Grenada, dove nel 2001 una nuova maggioranza fece invalidare tutti i passaporti precedentemente concessi a cittadini “stranieri”.

Ma chi si compra l’Europa? Buona parte delle richieste di cittadinanza o di residenza sono giunte in questi anni di crisi economica dai nuovi competitor nel campo globale, Cina, Russia, Vietnam e le altri “tigri asiatiche” fino ai cittadini ricchi che non mancano in Marocco, Tunisia, Egitto o nei Paesi del Golfo. Nel complesso, buona parte delle richieste di acquisto di cittadinanza giungono dalla Repubblica Popolare Cinese (in alcuni paesi rappresentano l’80% delle richieste) e questo è dovuto a due fattori principali. In primis, il bisogno di espandersi della potenza di Pechino (che ha una propria strategia definita che necessita di agibilità e mobilità che senza un passaporto, preferibilmente europeo, non è garantito). Tutti i mezzi sono validi, dalla naturalizzazione connessa ad un lungo periodo di permanenza in un paese, alle ciniche leggi del mercato: l’importante è fornire non solo alle risorse ma anche ai depositari che ne hanno il controllo, la circolazione di capitali e di impianti produttivi senza gli ostacoli tipici delle burocrazie. A questo va aggiunta la circolarità dei percorsi migratori, che seleziona in base alla disponibilità di risorse e definirà in tempi brevi un nuovo e più inquietante rapporto con l’idea stessa di cittadinanza. Dal concetto connesso ad una procedura di diritto sembra si stia passando, lentamente ma inesorabilmente, ad una ridefinizione gerarchica e terribilmente classista, in cui alla cima della piramide stanno i grandi imprenditori, poi un ceto medio alto e alla fine della catena i disperati che servono come braccia “usa e getta” in tutto il continente, per poi passare agli indesiderabili da espellere in ogni modo. L’Europa – e non solo – è, insomma, in vendita, magari a chi ricicla denaro di dubbia provenienza, alla faccia di tutti i proclami che declamano la “sicurezza” come valore assoluto. La sicurezza dai poveri, è questa forse l’identità su cui si va formando la nuova Europa. L’Italia è innocente? Affatto, basti pensare alla discrezionalità con cui cittadinanze, carte di soggiorno, permessi di lavoro autonomo senza controllo vengano forniti anche da noi in base ad una completa discrezionalità. Ci sono persone che ottengono la cittadinanza per meriti speciali: calciatori, imprenditori, persone che apportano beneficio all’economia del Paese. Altro che stato di diritto.

Stefano Galieni