Rom-Anzi

Ungheria, razzismo di governo

Sergio Bontempelli - 24 Febbraio 2014

ungheria

Guardare la “questione rom” dall’Italia – ma anche dalla Francia, dalla Spagna, e dall’Europa occidentale in generale – significa avere lo sguardo strabico. Perché nel nostro paese le minoranze rom e sinte sono appena lo 0,2% della popolazione, in Francia lo 0,5%, e nella Spagna – che lo stereotipo vorrebbe “terra dei gitani” inventori del flamenco – appena l’1,6%.

In realtà, le comunità più consistenti si trovano ad Est, nei paesi dell’Europa orientale. Solo per fare qualche esempio: in Romania e in Bulgaria, le minoranze rom rappresentano più dell’8% della popolazione, nella Repubblica Ceca sono il 2,4% dei residenti, mentre in Ungheria la percentuale sale al 3,1% (e se vi sembra un numero basso, ricordate che è quindici volte quello dell’Italia).

L’apparente “marginalità” di questi paesi nello scacchiere geopolitico del Vecchio Continente – parliamo di territori poveri, e di Stati che hanno scarsa incidenza nelle decisioni politiche dell’Unione Europea – non dovrebbe far dimenticare il loro ruolo nella diffusione dell’«antiziganismo» (cioè della forma specifica di razzismo che si rivolge contro rom e sinti). Qui, spesso, vengono sperimentate forme di segregazione e di discriminazione che finiscono per “contagiare” anche i paesi più ricchi.

È per questo che le nuove e violente forme di razzismo esplose in Ungheria non dovrebbero essere sottovalutate. E dovrebbero anzi suonare come un campanello d’allarme per tutta l’Europa (Italia compresa).

Guerra ai poveri: aggressioni, pogrom, addestramenti armati

È dell’inizio di febbraio il Rapporto pubblicato dall’Università di Harvard proprio sulla condizione dei rom ungheresi, il cui titolo è già significativo: Accelerating Patterns of Violence Against Roma in Hungary Sound Alarms (che si potrebbe tradurre, un po’ liberamente, come «un campanello d’allarme: l’escalation di violenza contro i Rom in Ungheria»). Ed è da questa pubblicazione, scaricabile gratuitamente dal web, che abbiamo tratto alcune notizie significative.

Anzitutto, la condizione sociale dei Rom nel paese magiaro è tra le più drammatiche del Vecchio Continente. Il 60% dei Rom vive in luoghi di segregazione abitativa: aree rurali isolate, ghetti urbani, periferie degradate o veri e propri slum (non nei “campi nomadi” però, che sono come noto un’invenzione tutta italiana). Il 70% si trova al di sotto della soglia di povertà, e l’aspettativa di vita è inferiore di dieci anni rispetto alla media nazionale.

Numerose sono poi le forme di discriminazione e di esclusione. Il 20% dei bambini rom – uno su cinque – frequenta la scuola in classi separate e speciali. Secondo un’indagine condotta nel 2011 dal Dipartimento di Stato Usa, quasi il 90% dei rom in età da lavoro si trova in condizioni di disoccupazione (poche sono le ditte disposte ad assumere uno “zingaro”). I cittadini rom sono spesso vittime di abusi e violenze da parte delle forze di polizia, e sono oggetto di frequenti controlli di carattere vessatorio.

È in questo clima generale di esclusione e di disprezzo che sono maturate negli ultimi anni vere e proprie esplosioni di violenza contro le comunità rom. Tra il 2008 e il 2012, l’European Roma Rights Center ha censito 61 episodi di violenza e ben nove omicidi (sette adulti e due bambini).

Ma c’è di più. In Ungheria proliferano i partiti politici e i movimenti di estrema destra, spesso legati alla galassia internazionale neo-nazista, che propagandano idee esplicitamente razziste e antisemite. Questi gruppi organizzano periodicamente veri e propri campi di addestramento paramilitare per i loro militanti: l’obiettivo è quello di formare “quadri politici” armati, pronti ad aggredire le minoranze, a scatenare disordini nelle manifestazioni e a organizzare azioni di tipo squadristico. Recentemente si è scoperto che il Fronte Nazionale Ungherese (uno dei gruppi più forti della galassia neonazista) organizza campi di formazione paramilitare praticamente ogni mese. E gli effetti si vedono.

Le contiguità con la politica “ufficiale”

Ma non è solo la violenza dell’estrema destra a preoccupare i ricercatori dell’Università di Harvard. Il vero problema è che le formazioni ultranazionaliste e xenofobe hanno solidi agganci e forti contiguità con la politica “ufficiale”, cioè con il Governo, con le amministrazioni locali e con le burocrazie statali.

Un dato è in questo senso significativo: i campi di addestramento paramilitare sono illegali – in Ungheria come in tutta Europa –, eppure nessuno finora è stato indagato né condannato per queste iniziative. Al contrario, le milizie dell’estrema destra agiscono spesso con la copertura delle forze di polizia, mentre leggi recenti hanno autorizzato il possesso di armi per la “difesa personale”.

Il Governo raramente stigmatizza gli episodi di violenza contro i rom, e le autorità di polizia raramente aprono inchieste contro i responsabili di crimini a sfondo razziale. Il clima diffuso di impunità fa da moltiplicatore agli episodi di violenza: secondo quanto riferiscono numerose Ong attive in Ungheria, i linciaggi sono ormai percepiti come una forma legittima di “punizione collettiva”. Un po’ come accadeva nel Sud degli Stati Uniti cento anni fa. E come potrebbe accadere in tanti altri paesi (Italia inclusa) se non si promuovono efficaci politiche di contrasto all’antiziganismo.

Sergio Bontempelli