Seconde generazioni

Rap antirazzista

Francesca De Luca - 4 Marzo 2014

Primavera arabaÈ quello di Antonio, Nizar e Viola, che hanno dato vita al gruppo Primavera araba e vanno nelle scuole a parlare di mixité. Il più “vecchio” ha ventuno anni, il più giovane è della classe ‘98. Sono i ragazzi di Primavera araba che stanno spopolando sul web e conquistando il cuore di moltissimi studenti.

Li abbiamo intercettati leggendo un racconto di pochissime righe del giovane Antonio Di Stefano (uno dei componenti del gruppo), che girava su Facebook. Colpiva la frase con il padre a cui Antonio chiedeva: «Com’è l’Africa?». E quest’ultimo rispondeva: «Stanca». L’immagine di un’Africa “stanca” andava spiegata meglio. La storia raccolta è forse un esempio di una esperienza culturale meticcia fra tante che nascono in Italia, ma che spesso restano confinate in ambito locale.

Il progetto chiamato Primavera araba nasce nel 2013, dall’incontro di Antonio Di Stefano e Nizar Gallala; da poco poi, il duetto si è aperto alla partecipazione di Viola Casadei. I ragazzi suonano e cantano un rap acustico e melodico, dal sapore italiano, ma nel quale lasciano trasparire l’influenza del continente nero. Un continente che in realtà è a loro direttamente ignoto. Antonio, infatti, è nato a Busto Arstizio (Varese) e Nizar a Ravenna. Di origine angolana il primo, tunisina il secondo, sono due ragazzi della cosiddetta “seconda generazione”. Italiani per molti, ma non ancora per la burocrazia, di fatto stranieri per troppi. Viola invece, anche lei del 1998, è entrata in questo percorso di crescita artistica col bagaglio musicale che hanno i giovani della sua età, autoctona anagraficamente ma meticcia per  contaminazioni culturali.

Armati di chitarra e buona volontà, hanno deciso di divenire i protagonisti della storia della propria vita, di prendere il razzismo subito sulla propria pelle ed analizzarlo, capirlo, raccontarlo, esorcizzarlo. A breve dovrebbero dar vita ad alcune tracce che fungeranno da colonna sonora per un docufilm dal titolo Io sono qui. Ma non si occupano solo di musica: organizzano incontri nelle scuole, dibattiti e conferenze pubbliche; è prossima la stesura di un libro e questi sono solo alcuni degli impegni assunti per i mesi venturi.

Come mai la scelta del nome “Primavera araba”, alla luce dei risultati finora emersi da queste rivoluzioni?
«Abbiamo scelto questo nome per ricordare uomini come Mohamed Bouazizi (l’attivista tunisino che, dandosi fuoco nei primi giorni di gennaio del 2011, diede inizio alla rivolta), uomini che come lui hanno combattuto per la giustizia».

Parlando di Africa, vi riferite spesso a Thomas Sankara e Ken Saro Wiwa.
«Ken Saro Wiwa una volta disse: “Non è il tetto che perde Non sono nemmeno le zanzare che ronzano nella umida, misera cella. Non è il rumore metallico della chiave mentre il secondino ti chiude dentro. Non sono le meschine razioni Insufficienti per uomo o bestia. Neanche il nulla del giorno che sprofonda nel vuoto della notte. La cosa che mi fa più male è il fatto che tutto questo non si saprà”. Per noi parlare di questi uomini è qualcosa di vitale importanza, andare nelle scuole a raccontare la vita di Wiwa è come poterlo rassicurare dicendogli: “No, ti sbagliavi, tutto questo si saprà”».

Di cosa parlate negli istituti scolastici nei quali siete invitati?
«Parliamo delle nostre vite, spesso infinitamente simili a quelle di altri; parliamo della solitudine di chi si sente “diverso” senza esserlo, parliamo di persone che hanno cambiato il mondo (Sankara, Mandela, Saro Wiva, ecc…), del futuro, della crisi. Andiamo nelle scuole a dire semplicemente che, per noi, solo chi crede in un futuro migliore, diverso, può amare ed essere felice. E per noi è facile diventare fruibili, semplici, interessanti, anche perché accompagnati dalla musica, strumento ottimo ed originale, assolutamente funzionale al coinvolgimento dei nostri coetanei».

Come ci si sente a migrare dal ruolo della “vittima di razzismo” a quello di “docente di antirazzismo”?
«L’essere percepiti come stranieri, talvolta, è per noi un punto di forza. Quando entriamo nelle scuole, tutti ci guardano con scetticismo, ci etichettano, pensano che parleremo di quanto ci sentiamo diversi, temono il possibile “vittimismo”. Non sanno, invece, che al razzismo ci siamo abituati e che la nostra visione è diversa. Non te la puoi prendere con un razzista, perché faresti il suo gioco. Bisogna sempre essere fermi davanti all’ignoranza, ma comprensivi verso la mancanza di istruzione. Non dobbiamo dimenticare che ci sono persone che non hanno ricevuto un’educazione e altre che sono state educate male. Il razzismo ci modella, ma la cultura ci libera: è di questo che parliamo.

Ma c’è un sogno che coltivate?
«Sì. Poter vivere di musica».

Nel frattempo?
«Intanto potete andare a dare una occhiata alla nostra pagina
https://www.facebook.com/Primaveraraba/app_182222305144028 e farci sapere cosa ne pensate».

 

Francesca De Luca