Scor-data

10 marzo 1913

Daniele Barbieri - 10 Marzo 2014

harriet_tubmanHa preso meritatamente l’Oscar 12 anni schiavo, e per un po’ se ne parlerà. Una vicenda vera quella di Solomon Northup, una fra le tante. Chissà quante/i faranno caso ai titoli di coda del film di Steve McQueen, dove si cita la “ferrovia sotterranea”. Una storia  semisconosciuta e che vale la pena raccontare oggi, visto che il 10 marzo è l’anniversario della morte della “generalessa” Harriet Tubman, che la inventò. Lo farò saccheggiando (ma doverosamente citando) un bell’articolo di Francesca Amè, pubblicato sul settimanale Diario – ahinoi, estinto – del 2 luglio 2004.

«La chiamavano il generale. Del resto Harriet Tubman imparò subito a prendere la vita per il bavero. Doveva far fronte ad alcune non piccole sfortune, come quella di nascere nel Maryland, donna, nera e schiava nei primi mesi del 1820. Ma il generale si è affrancata, ha vissuta libera e ha salvato tanti suoi connazionali dalla schiavitù» così inizia l’articolo.

Il vero nome della Tubman era Araminta Ross. Schiava nei campi di cotone del Maryland. «A 9 anni – racconta Francesca Amè – il fatto che segnerà per sempre la sua vita». Il padrone del campo alza le mani su uno schiavo che sbatte su una trave, la quale cade su Araminta, lasciandole una lieve disabilità. Nel 1844 sposa John Tubman, nero ma… uomo libero. Secondo la leggenda, una notte d’estate del 1849, fugge dalla piantagione seguendo la Stella Polare. Come fu, arriva a Filadelfia. Un anno dopo torna in Mayland per far scappare una sorella. «Nel viaggio successivo organizza la fuga di un fratello. Poi si reca dal marito ma aprendo la porta scopre di essere stata rimpiazzata senza troppe remore. Testimoni dicono che, senza versare una lacrima sfruttò l’occasione per portare al  Nord i due neri che abitavano vicino» riassume Francesca Amé: «Sono 19 i viaggi che in 10 anni l’irrefrenabile Harriet compie tra Filadelfia e il Maryland. Qualcuno comincia a chiamarla Mosè». E si inizia a  parlare di una misteriosa «ferrovia sotterranea» per far fuggire gli schiavi.

Nei suoi viaggi “la generalessa” porta un fucile al collo e sonniferi per evitare che i bimbi piangano nel momento meno opportuno. «Non si tira indietro nemmeno durante la Guerra civile» (quella che da noi si continua a chiamare “di secessione”) e «salva 700 blacks dai campi di cotoine».

Poi la guerra finisce e in teoria i neri sono liberi. Teoricamente, perché in pratica arrivano gli inganni, il Ku Klux Klan, l’esclusione dal voto, l’apartheid sotto forma della legislazione (locale ma tollerata dal 1876 al 1965) detta «Jim Crow» che imponeva ovunque la segregazione razziale e negava agli afroamericani (e ad altre minoranze) ogni diritto. Ma questa è una storia che si racconterà in dettaglio un’altra volta. Intanto, chi può recuperi il romanzo (fedelissimo ai fatti storici) del 1944 La via della libertà di Howard Fast, che racconta dell’ex schiavo Gideon Jackson, autodidatta, eletto deputato, legislatore e ucciso dal Kkk. A far paura ai razzisti (ma anche a chi nel Nord li tollerava) fu soprattutto l’alleanza, dopo la Guerra civile, fra neri e bianchi poveri. Incendi e stragi distrussero quell’alleanza, poi gli storici ne cancellarono persino il ricordo. Cent’anni dopo la fine della guerra che “liberò” gli schiavi, dal romanzo di Howard Fast fu tratta una serie televisiva (mai passata in Italia) e un film-tv di Jan Kadar con Muhammad Alì e Kris Kristofferson.

Come finì Harriet, la generalessa, “il Mosè nero”? Si mantenne come domestica, tornò in piazza con le suffragette per il voto alle donne. Chiese una pensione ma ottenne solo un piccolo contributo. Morì nel 1913, quasi dimenticata. Oggi, invece, Harriet Tubman è, almeno negli Usa, ovunque: su due francobolli, mentre «1.200 libri in inglese raccontano la sua vita» per le scuole (lo ricorda sempre Francesca Amè) anche se soprattutto in forma di favola. Sono uscite di recente tre biografie (di Jean Humez, di Kate Clifford Larson e di Catherine Clinton: ma nessuna tradotta in italiano). Nella Carolina del Sud c’è una casa-museo a lei dedicata.

Adesso in apparenza tutto è cambiato. Obama è presidente, mentre il cinema che nel 1915 con La nascita di una nazione di “padre” David Wark Griffith esaltava il Ku Klux Klan oggi premia 12 anni schiavo con l’Oscar. Il 24 febbraio 2007 la Virginia vota la risoluzione 728: «con profondo rammarico (riconosciamo) la servitù involontaria degli africani e lo sfruttamento dei nativi americani, e chiediamo la riconciliazione con tutti gli abitanti della Virginia». E poi, il 30 luglio 2008, la Camera presenta in modo ufficiale «le scuse» per la schiavitù e successive discriminazioni razziali consentite dalle leggi.

Però, negli Usa percentualmente la maggior parte dei detenuti è afro-americana. E forse ricordate il nome di Trayvon Martin, ragazzo ucciso in Florida, il 26 febbraio 2012 da una guardia (bianca) armata perché correva, aveva una felpa ed era nero. Il suo assassino, George Zimmerman, è stato assolto, ha agito per «legittima difesa».  Ma davvero la «ferrovia sotterranea» non serve più? Davvero le leggi contro Jim “corvo” sono state abolite?

Daniele Barbieri