Lampedusa

Morti senza pace

- 10 Marzo 2014

A cinque mesi dalla strage del 3 ottobre scorso davanti alle coste di Lampedusa (in cui sono morte più di 360 persone), la comunità eritrea in Italia, rappresentata dal Coordinamento eritrea democratica, torna a chiedere che i corpi delle vittime possano tornare in patria, per permettere ai parenti di avere un luogo dove piangere i propri cari e dargli una degna sepoltura. Per ora però la situazione è ancora in stallo.

«Abbiamo chiesto più volte il rimpatrio delle salme – sottolinea padre Mussie Zerai, presidente dell’associazione Habeshia – ma la situazione è ancora in alto mare. Sappiamo che le autorità italiane hanno deciso di restituire le salme ai familiari che fanno richiesta, dopo essersi sottoposti però alla prova del Dna. Ma per fare questo serve la collaborazione del governo eritreo, perché la raccolta del Dna viene fatta lì attraverso la Croce rossa. E per ora è tutto fermo. Ma torneremo a far sentire la nostra voce, perché è una situazione davvero assurda».
Per Josè Angel Oropeza, direttore dell’ufficio di coordinamento dell’Oim per il Mediterraneo, è difficile che la situazione si sblocchi a breve. «Stiamo seguendo con interesse il tema, ma il problema è complesso – spiega – e sarà diffcile ottenere la collaborazione del governo eritreo. Noi avevamo offerto anche la nostra disponibilità per effettuare i test, perché vogliamo che questi corpi tornino al più presto in patria».