Allarme

Spose senza volerlo: succede anche in Italia

Giorgio Quartana - 10 Marzo 2014

matrimoni forzatiDi matrimoni forzati in Italia si sa pochissimo, ma l’associazione Trama di terre, dopo aver realizzato una prima ricerca (limitata all’Emilia Romagna) e un convegno internazionale, ora lancia le «linee guida» per prevenirli e combatterli.

Nel mondo a milioni di bambine e giovani donne è imposto di sposarsi contro la loro volontà. A livello internazionale esiste il divieto di celebrare matrimoni precoci. Ma il matrimonio forzato trova legittimazione culturale, e talvolta giuridica, presso vari popoli e nazioni. Questo rende difficile alle giovani donne sottrarsi, perfino quando si trovano in contesti di migrazione. Su queste premesse teoriche e sui concreti casi di ragazze che chiedevano aiuto, nel 2009 Trama di terre comincia a costruire il suo lavoro.
Trama di terre è un’associazione di Imola che riunisce, da 17 anni, donne native e migranti. Il 28 febbraio – in un convegno a Bologna – ha presentato le “linee guida” per iniziare la lotta contro i matrimoni forzati anche da noi. Ed è importante visto che, a differenza di quasi tutti gli altri Paesi europei, l’Italia non prevede misure specifiche né dispone di leggi o programmi governativi per la prevenzione e il contrasto di questo fenomeno, che attualmente non è rilevato neanche statisticamente.
Qualche caso finisce alla ribalta della cronaca nera ma soprattutto regna l’invisibilità: spesso ragazze che semplicemente spariscono da scuola o dall’Italia, senza che la loro richiesta di aiuto (ad amiche, insegnanti o servizi sociali) sia stata accolta o compresa, più spesso senza aver trovato il coraggio di parlare. Questo è il quadro nel quale Trama di terre decide di avviare il suo lavoro.

L’Indagine di Trama di Terre sui matrimoni forzati in Emilia-Romagna

Così nel 2009 Trama di terre lancia una indagine (affidata a Daniela Danna) sui matrimoni forzati in Emilia-Romagna, realizzata con il contributo della Regione nell’ambito del Progetto Pogas, sostenuto da fondi del ministero per le Politiche Giovanili (la potete vedere qui).
In estrema sintesi: sono emersi 33 casi di matrimoni forzati in regione, dei quali solo 3 avevano per vittime gli uomini. In 20 casi il matrimonio risulta avvenuto, in 11 casi all’estero. A chiedere aiuto sono state soprattutto marocchine/i (12 persone), pakistane/i (5) e indiane/i (5). Un solo caso ha visto coinvolta una donna italiana. In 9 casi non si è più avuta notizia delle potenziali vittime che si erano rivolte a mediatrici e operatrici sociali per un aiuto, né è stato possibile ricontattarle presso il recapito conosciuto: un indice della minimizzazione di questa forma di violenza da parte di istituzioni e di operatori/operatrici.
Sul sito, già citato, di Trama di terre si trovano molti altri materiali. In particolare: l’abstract della ricerca «Per forza, non per amore» in italiano, inglese, francese e del successivo convegno; i materiali del seminario «Fra il tuo onore e la mia libertà. Contrastare la violenza sulle donne in ottica interculturale» del 21 settembre 2012 e quelli del convegno «Una scelta di diritto: se mi sposo è per amore» del 3 aprile 2012; notizie sul contesto inglese e sul lavoro delle Southall Black Sisters, oltreché sulla situazione marocchina (dove c’è una buona legge ma inapplicata nelle zone rurali da dove proviene molta della migrazione in Italia); infine, alcune recenti tesi di laurea sui matrimoni forzati e su argomenti correlati.
Il convegno del 28 febbraio (un’ampia cronaca è qui: Prede e predestinate) e la presentazione delle «linee guida» segnano un altro passo avanti nel lavoro di Trama di terre.
L’opuscolo (56 pagine) con «Linee guida per la prevenzione e il contrasto ai matrimoni forzati» – realizzato da Trama di Terre e da ActionAid con il contributo della Fondazione Vodafone – sarà presto anche su www.tramaditerre.org. Chiuso il convegno, il lavoro di prevenzione e lotta ai matrimoni forzati continua, anche se si scontra con l’annoso problema dei pochi fondi e della sordità istituzionale. Non però da parte della Rer (Regione Emilia-Romagna) che si è mostrata attenta al tema: chi vuole saperne di più trova sul sito della Rer la scheda di sintesi del programma regionale – 11 marzo 2013 – ma deve scovarla all’interno degli interventi per la prevenzione delle Mgf (cioè le mutilazioni genitali femminili), perché questo era l’ambito di finanziamento nel quale poi ci si è mossi sui matrimoni forzati.
L’obiettivo del progetto «Contrasto ai matrimoni forzati in provincia di Bologna» e delle linee-guida è dare un contributo per la migliore comprensione del fenomeno e fornire a operatori/operatrici indicazioni e strumenti utili. «Con la consapevolezza – chiarisce l’opuscolo – di essere solo all’inizio di un percorso complesso, contraddittorio e poco o per nulla esplorato in Italia».
Fondamentale al convegno il contributo delle ospiti straniere: Meena Patel delle Southall Black Sisters (di Londra), Nursel Kilic di Femmes Solidaires (di Parigi), Corinna Ter-Nedden del Centro Papatya (di Berlino), le quali nel dibattito hanno incrociato Cristina Cattafesta del Cisda (il Coordinamento italiano sostegno donne afghane) che ha raccontato delle iniziative solidali con le donne afghane vittime di matrimoni forzati e spesso precocissimi.
Di leggi ha parlato soprattutto Barbara Spinelli, avvocata, consulente legale del centro anti-violenza di Trama di Terre che ha collaborato anche alle «linee guida» dove si mostrano i diversi approcci culturali e legislativi e si ragiona sulla differenza tra matrimoni combinati (dunque con i due sposi in qualche modo coinvolti) e forzati (con ragazze che magari vedono il marito solo il giorno delle nozze). Gli accordi internazionali a partire dalla Cedaw – ovvero Convention for the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women – e dalle risoluzioni dell’Onu, parlano chiaro: gli Stati firmatari (fra cui l’Italia) hanno l’obbligo di mettere in pratica il contrasto ai matrimoni forzati. Difficile in Italia non solo per la mancanza di una legge specifica, ma soprattutto per la mancanza di un serio piano contro la violenza sessista, dove sarebbe più facile muoversi senza tacere il pericoloso mix di ignoranza, maschilismo, ipocrisia e ritardi burocratici che regnano.
Fra i tanti passaggi del convegno almeno uno va raccontato perché entra nel vivo delle storie. È quando Tiziana Dal Pra, presidentessa di Trama di Terre, inizia a raccontare di persone concrete, di giovani donne in cammino verso una non facile libertà. Sorprende che in un caso al commissariato bolognese (il quarto chiamato in causa, perché i primi 3 si sono “tirati fuori”), di fronte a un’emergenza, i poliziotti mostrino di aver capito quello che gli operatori dei servizi sociali non intendono, o forse fanno finta, di non vedere. Più in generale, siamo su un terreno difficilissimo perché la fragilità dei sentimenti non sempre si accorda con i princìpi e con i diritti, dunque molte ragazze non vogliono rinunciare a sposarsi eppure sperano di convincere i genitori senza dover ricorrere… alla polizia. Per tacere dei soldi che non si trovano per sostenere progetti di informazione o per le case-rifugio dove le donne in fuga devono a volte nascondersi. Eppure è ottimista Tiziana Dal Pra: «non sempre il destino è scritto, non sempre la donna è condannata da un’idea violenta e assassina dell’onore».

E negli altri  Paesi?
Meena Patel spiega che neppure «nel Regno Unito si conoscono le reali proporzioni del problema, ma nel 2012 l’Unità che se ne occupa ha trattato 1.485 casi; di questi, l’82% riguardava donne e bambine così ripartite per fasce d’età: il 13% minore di 15 anni, il 22% sui 16-17 anni, il 30% fra i 18 e i 21 e il 19% fra i 22 e i 25. Sono numerosi i gruppi etnici minoritari in cui si praticano abitualmente matrimoni forzati: il maggior numero riguardano persone originarie dell’Asia meridionale o del Medioriente».
Corinna Ter-Nedden riassume la situazione tedesca. «Un’indagine che ha coinvolto tutti i consultori ha fatto emergere 3.400 casi nel 2008, molti di più di quanto le autorità si aspettassero. Noi di Papatya siamo certe che il fenomeno sia ancora largamente sommerso». Nel 2004 la Corte suprema tedesca ha emanato una sentenza che fissa dei limiti al «relativismo culturale», affermando che la differenza di standard morali motivata da una diversa origine etnica non può considerarsi circostanza attenuante.
Al convegno interviene anche una donna kurda, Nursel Kilic delle «Femmes Solidaires» di Parigi. Cita molti dati, ripresi da Unicef e Consiglio dei diritti umani dell’Onu. Nel 2012, nel 55% dei matrimoni combinati, le donne non hanno incontrato il marito fino alla notte del matrimonio. In Asia del Sud: il 48% delle giovani è stata obbligata a sposarsi prima dei 18 anni. In Bangladesh: il 27,3% prima dei 15 anni. In Africa: il 42% prima dei 18 anni. In Kirghizstan il 21,2% e in Kazakhstan il 14,4% delle ragazze è costretta a sposarsi prima dei 18 anni. Spesso in India o Afganistan sono costrette a portare una cintura di castità. Nel 2006 le Nazioni Unite – ricorda Kilic – hanno definito il matrimonio forzato come una forma di schiavitù moderna e dal 2002 l’Unione Europea ha emesso più di 11 direttive su questo tema. Eppure «questa pratica è tollerata in Turchia, nonostante la ratifica di diverse convenzioni delle Nazioni Unite e l’adozione di una legge che stabilisce a 17 anni l’età legale per sposarsi». Secondo una ricerca delle Nazioni Unite la Turchia è settima in questa brutta classifica.

Una colonna  sonora?
Chiacchierando nell’intervallo del convegno si scopre che se i programmi di lotta ai matrimoni forzati avranno una colonna sonora… ci si potrebbe riallacciare all’opera «Teresa Miller» – libretto di Salvatore Cammarano e musica di Giuseppe Verdi – del lontano 1849.
Eccone un passaggio:
«Sacra la scelta è d’un consorte,
esser appieno libera deve:
nodo che sciorre [da “sciogliere”] sol può la morte
mal dalla forza legge riceve [“è male che sia soggetto alla legge della forza”].
Non son tiranno, padre son io:
non si comanda de’ figli al cor!
In terra un padre somiglia Iddio
per la bontade, non perl rigor».
I rapper di oggi potranno certo far meglio, se si impegnano ma come base di partenza ci siamo.

Giorgio Quartana