Detenzione amministrativa

Il fallimento in corso

Stefano Galieni - 10 Marzo 2014

UncieCambierà qualcosa nel sistema dei Cie? Difficile capirlo sospesi fra le promesse e la aperture fatte dal precedente governo e il silenzio di quello attuale. Nei ruoli chiave che sovraintendono a tale questione sono rimaste nel governo le stesse persone: il ministro dell’Interno Angelino Alfano, il viceministro Filippo Bubbico e il sottosegretario Domenico Manzione. Il ministro finora non aveva ravvisato ragioni sufficienti per una modifica in materia, mentre il suo vice aveva pubblicamente affermato di voler procedere ad una riduzione drastica dei tempi di trattenimento.

Nel corso degli ultimi mesi del 2013 la situazione dei Cie era implosa, tanto che ad oggi risultano, su 13 istituiti, 5 operanti e quasi tutti in regime ridotto. Sono aperti i centri di Torino (teatro di continue rivolte), Roma, Bari, Trapani (Contrada Milo) e Caltanissetta. Secondo la Polizia di Stato, nel 2013 sono stati 6.016 (5.431 uomini e 585 donne) i migranti trattenuti complessivamente. Meno della metà di essi (2.749) è stata però effettivamente rimpatriata, con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) che è risultato inferiore del 5% rispetto all’anno precedente. Il numero complessivo dei rimpatriati attraverso i centri nel 2013 risulta essere lo 0,9% del totale degli immigrati in condizioni di irregolarità che si stima essere presenti sul territorio italiano (294.000 secondo i dati dell’Ismu al primo gennaio 2013). Il bilancio che ne trae una risoluzione approvata dalla Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, presieduta da Luigi Manconi, è impietoso: «Gli standard essenziali di tutela dei diritti fondamentali della persona sono costantemente violati. La Commissione diritti umani del Senato, dopo aver visitato nei mesi scorsi i centri di Bari, Roma, Gradisca d’Isonzo, Trapani e Torino esprime un giudizio estremamente severo: sono emerse numerose carenze riguardo alle funzioni che essi dovrebbero svolgere, e ciò in ragione di rilevanti insufficienze strutturali, nonché di modalità di esecuzione del trattenimento gravemente al di sotto degli standard di tutela della dignità e dei diritti delle persone trattenute. In sintesi, si tratta di strutture inutili e afflittive che vanno superate. La Commissione propone oggi al Governo alcune misure minime da adottare subito, a cominciare dalla riduzione drastica dei tempi di trattenimento, in vista del definitivo superamento dei Cie».

Manconi ha lanciato anche una petizione mediante change.org per chiedere che la chiusura dei centri passi attraverso una presa di parola della pubblica opinione, alcuni Comuni e Regioni, come documentiamo di seguito, hanno già preso posizione. «Speriamo che altri comuni e altri membri del Parlamento prendano posizioni simili e costringano il Governo insediato, di cui non si conosce l’indirizzo in materia, di agire per una soluzione giuridicamente corretta e socialmente sostenibile – ha dichiarato Gabriella Guido, portavoce della campagna LasciateCIEntrare – Nell’anno che vedrà l’Italia condurre il semestre di Presidenza Europeo, rilanciamo con forza l’appello “Mai più Cie”, ma abbiamo accolto con disappunto la scelta del neo Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, di varare un esecutivo che prevede la scomparsa di alcuni Ministeri, che avrebbero anzi dovuto essere resi più operativi e rafforzati, come quello dell’Integrazione e delle Pari Opportunità. Un segnale molto poco incoraggiante per chi si batte per la piena garanzia dei diritti di cittadinanza; sospendiamo il giudizio, in attesa di capire le intenzioni di questo nuovo governo».

Nel frattempo
A Torino il 17 febbraio è stata approvata dalla giunta comunale, riunita nella Sala Rossa, una mozione presentata da Sel, Pd e, con dei distinguo, dai Moderati che chiede l’abolizione del Cie di corso Brunelleschi. Si tratta della prima città che ha assunto questa scelta; la mozione è giunta dopo i diversi sopralluoghi dei consiglieri comunali, scoprendo quanto già da tempo denunciato dai movimenti sociali. Nel centro erano presenti a febbraio 85 persone, 73 uomini e 12 donne, in condizioni durissime sia dal punto di vista materiale che psicologico: uno su tre, infatti, fa uso di ansiolitici e antidepressivi. A conti fatti, con l’ampiamento del centro di 3 anni fa, costato 14 milioni di euro, un posto letto viene a costare alla collettività circa 78 mila euro. Ma per gli estensori del testo: «La chiusura dei Cie costituisce un imperativo urgente per Torino e per l’Italia». E la mozione non ha fatto altro che raccogliere la crescente disperazione che si respirava ogni giorno nella struttura torinese. Rivolte continue e durissime che imponevano di chiudere interi settori del centro, una rabbia non sedabile neanche con i farmaci. E proprio poche ore prima di uscire in rete, ci sono giunte ulteriori notizie di rivolte cruente. Cinque padiglioni sarebbero (ma le notizie sono ancora frammentarie) stati dati alle fiamme da chi non sopporta più anche la lunghezza inutile dei tempi di trattenimento.
A Milano il Cie di Via Corelli è chiuso, ma si parla di imminente ristrutturazione. I comunicati ufficiali parlano di una struttura nuova, grande, pensata in maniera più confacente alle funzioni che dovrebbe svolgere, dotata di materiali ignifughi e resistenti per evitare gesti di autolesionismo. Dovrebbe tornare ad “ospitare” 132 persone ma su questo la prefettura mantiene il top secret. Una ditta dovrebbe essersi già aggiudicata il bando per i lavori. Giuseppe De Angelis, primo dirigente della polizia di stato e da anni a capo dell’Ufficio Immigrazione della questura di Milano, offre un suo particolare punto di vista sui Cie: «Costituiscono una sorta di reception nazionale i cui posti vengono distribuiti dal ministero dell’Interno. Certo, sarebbe ipocrita sostenere che la chiusura di via Corelli non ci è pesata dal punto di vista logistico: – ha dichiarato a Il Giornale – Il fermo di uno straniero per la sua identificazione non può superare le 12 ore e subito dopo iniziano le procedure di espulsione che, se non immediatamente eseguibile, comporta il trattenimento della persona in un Cie che di volta in volta ci viene indicato dal Ministero». E per difendere il proprio operato di fatto scopre il fianco all’insufficienza del sistema: «La chiusura del Cie non ha comportato un aumento degli irregolari sul territorio milanese, numero che comunque diminuisce sempre più con il passare degli anni. Anche sul fronte dei cittadini dell’Ue la questura ha sempre mantenuto la dovuta attenzione. Infatti, dal 2008 a oggi la sola questura di Milano ha effettuato 3 mila 656 provvedimenti di allontanamento di cui 514 coatti. Il Cie di Milano è chiuso? E gli stranieri li portiamo a Torino, a Roma, a Bari, a Caltanissetta. In aereo, in pullman. Se occorre, facciamo anche un accompagnamento al giorno. Servono almeno due poliziotti per ciascun accompagnato, è vero. Inoltre, con i più pericolosi io preferisco ci sia sempre anche un operatore del nostro ufficio, dotato di un brevetto ottenuto con uno specifico corso».
Permane il silenzio sul futuro della struttura di Gradisca d’Isonzo, in provincia di Gorizia, che secondo il precedente governo sembrava doversi trasformare totalmente in struttura per richiedenti asilo (Cara), ma proseguono le inchieste relative alle rivolte che hanno portato alla sua chiusura. Nei giorni scorsi è stato arrestato a Orte, nei pressi di Viterbo, con l’accusa di essere fra gli istigatori delle rivolte, un ex trattenuto. Considerato latitante dopo una fuga a settembre, l’uomo, se le accuse saranno provate, potrà essere condannato per danneggiamenti ma non certo di evasione. Dai Cie, ci si “allontana” non si evade, perché, con assurda ipocrisia, questi non sono penitenziari. Al Cie di Modena non si parla per ora di lavori ma di denunce. Ha agito la Guardia di Finanza e la procura della Repubblica ha rinviato a giudizio due rappresentanti legali e l’amministratore del consorzio siracusano de L’Oasi, che si era aggiudicato al ribasso l’appalto di questo e di altri centri. L’imputazione è “frode nelle pubbliche forniture in concorso”. Secondo gli inquirenti, il Consorzio: «Si è reso disponibile di molteplici inadempienze relativamente agli aspetti contabili e della sicurezza sui luoghi di lavoro. Inoltre, lo stesso non aveva provveduto a somministrare servizi secondo le modalità qualitative e quantitative previste dal capitolato di appalto. Inadempienze tali, da originare frequenti situazioni di tensione sia tra gli ospiti del Cie, che nel corso del 2013 hanno messo in atto rivolte e disordini determinando gravi danni sia alle medesime infrastrutture, che tra i dipendenti del Consorzio, che hanno messo in atto contestazioni sindacali». L’Oasi avrebbe insomma frodato risparmiando sull’acquisto di beni di prima necessità e nella fornitura di servizi, mancavano medicinali, non era garantita assistenza medica adeguata, addirittura non si fornivano i garantiti kit di vestiario. E poi personale insufficiente, oltre che non pagato regolarmente, e fornitura dei pasti ridotta e di scarsa qualità. L’appalto era stato vinto con una offerta al ribasso del 3% rispetto al prezzo a base di asta, quindi 29,1 euro per trattenuto al giorno per un totale di 1,9 milioni di euro. Mentre gestivano il centro, secondo le accuse, dal consorzio accumulavano un debito contributivo verso gli enti previdenziali, e quindi nei confronti dei dipendenti, pari a circa 300 mila euro. «Era difficile immaginare che sarebbero stati rispettati i requisiti di qualità dei servizi erogati – ha spiegato il sindaco di Modena, Giorgio Pighi, delegato nazionale dell’Anci sull’immigrazione – le gare al massimo ribasso rappresentano un terreno troppo fertile per usare sotterfugi che alla fine ricadono sulla qualità dei servizi, e questo caso ne è la conferma». L’Oasi era in procinto di aggiudicarsi la gara di appalto al Cie di Milano del valore di 4.336.200 e aveva presentato un’offerta per la gara d’appalto relativa alla gestione del Cie romano di Ponte Galeria del valore di 11.826.000. Sulla base degli elementi acquisiti con le indagini del nucleo di Polizia Tributaria di Modena, si è provveduto ad escluderla dalla procedura di assegnazione di tali strutture. Secondo il sindaco modenese, questa vicenda può rappresentare un precedente utile ad approcciarsi all’idea che i Cie vanno chiusi, a recuperare il ritardo accumulato nell’applicazione della direttiva rimpatri e delle norme relative ad accoglienza ed asilo. «Questa è l’unica strada da percorrere: – ha ribadito – non è giusto che il prezzo dell’inadeguatezza normativa ricada sulle spalle delle fasce più deboli, gli immigrati che non hanno nessuno che possa difenderli. È particolarmente ignobile il reato di cui il consorzio Oasi è accusato, dovrà essere dimostrato nelle sedi opportune, ma è chiaro che tutto il sistema delle gare d’appalto al massimo ribasso vada ridimensionato: nasconde, infatti, la forte possibilità che si verifichino sotterfugi, il tutto a discapito della qualità dei servizi».

Le indagini sul consorzio Oasi si estendono ovviamente anche agli altri centri di cui è stato ente gestore, in primis Bologna. Una situazione che ha delle similitudini con Modena: la struttura è chiusa per lavori mai iniziati e il sindaco Virginio Merola, insieme alla maggioranza del consiglio comunale, ne chiede la non riapertura. «Bologna deve divenire una città “Cie Free”» ha dichiarato il primo cittadino, auspicando che simili strutture di degrado vengano chiuse in ogni luogo d’Italia. E se varie articolazioni della società civile e dei movimenti condividono in pieno tali affermazioni, di parere contrario è il nuovo prefetto del capoluogo emiliano, Ennio Mario Sodano, secondo cui: «Sono utili, ma vanno usati bene, con criterio, dentro ci deve stare “chi lo merita” (sic). È anche vero che “il sistema, così com’è, non può funzionare. È difficile espellere 20-30.000 persone”. Però, – ha aggiunto – se riusciamo a lavorare in modo pro-attivo, senza polemiche politiche, si possono rendere utili». Il prefetto dovrebbe conoscere meglio la legislazione in materia, quel “chi lo merita” è infatti la manifesta dichiarazione dell’utilizzo dei centri come luogo di pena discrezionale, e neanche funzionali, alle procedure per cui sono stati istituiti.
l43-centri-140204124355_bigRoma resta forse la situazione più calda anche per la sua vicinanza ai luoghi decisionali in materia di immigrazione. Dopo le rivolte delle “bocche cucite” di dicembre e gennaio, la manifestazione riuscita del 15 febbraio, la tensione resta alta. Nei giorni scorsi, prima il tentato suicidio di un cittadino libico, salvato per un soffio, ed ora la querelle sorta attorno al trattenimento di un probabile minore, nonché richiedente asilo, costringono a mantenere alta l’attenzione. Si registra positivamente che il consiglio comunale di Roma ha votato una risoluzione che chiede la chiusura del centro e che la Regione Lazio ha approvato in commissione (deve esserne calendarizzata la discussione in aula) una mozione in cui si propone, anche qui, la chiusura della struttura ma, considerando il fatto che tali competenze spettano al ministero dell’Interno, si propone intanto l’istituzione di un monitoraggio indipendente, che coinvolga chi gratuitamente sta già operando in difesa dei trattenuti e che permetta una costante opera di informazione e di controllo sul centro. L’appalto per la gestione, finora in mano al consorzio Auxilium, è scaduto, non ci sono stati ancora rinnovi e lo stesso personale che vi opera è, in parte, in cassa integrazione.
Non paiono in vista di riapertura i centri di Lamezia Terme, Crotone e Brindisi, poco si conosce dei finanziamenti stanziati già da due anni per l’apertura di strutture a Caserta (S. Maria Capua Vetere) e Potenza (Palazzo S. Gervasio), mentre è attivo quello di Bari (zona S. Paolo), dove le persone vengono portate a seguito di rastrellamenti a caccia di persone prive di documenti nei quartieri ad alta densità migrante. Ma anche il centro pugliese risulta a rischio; il tribunale, in base ad esposto presentato e come raccontato su Coriere delle Migrazioni ad inizio gennaio, ha dato 90 giorni di tempo a prefettura e ministero per ristrutturare i locali e renderli più adatti alla presenza di esseri umani. Gli avvocati che hanno lanciato un esposto in materia parlano di carcerazione extra ordinem, non contemplata nel nostro codice penale. Si tratta di Alessio Carlucci e Luigi Paccione che da tempo hanno intentato una class action, considerando la limitazione dei diritti umani per alcuni cittadini come un vulnus per l’intera cittadinanza. In mancanza di cambiamenti di difficile realizzazione, secondo il sindaco del capoluogo pugliese, Michele Emiliano, si dovrà procedere alla sua chiusura, per altro da anni auspicata dallo stesso.
miloIn Sicilia resta tesa e per molte ragioni, piena di contraddizioni, la situazione del centro di Trapani (Contrada Milo). Nei giorni passati si è annunciata spesso la chiusura temporanea per lavori. Dopo l’esclusione del consorzio Oasi, a dicembre del 2013 l’appalto per la gestione era stato vinto da un omologo palermitano, il consorzio “Il Glicine”, con un ribasso elevatissimo, 25,50 euro a trattenuto per giorno. Ma intanto il prefetto Falco annunciava che, a brevissimo termine, il centro sospenderà le attività per lavori che dovrebbero durare 8 mesi. Si spenderanno 664 mila euro per innalzare i muri, togliere ogni oggetto di metallo, che a volte è divenuto strumento di rivolta, ed elevare i sistemi di sicurezza. «Somiglierà di più ad un carcere – ha annunciato – sarà più brutto, ma le persone non si faranno più male». A detta della prefettura, questo centro, di importanza strategica, dovrà, al termine dei lavori, essere affidato ad un ente serio e non per un periodo limitato. Sembra certo l’interesse in tal senso della Croce Rossa, che però chiederebbe un compenso più elevato per garantire i servizi. Venerdì 24 gennaio un’equipe di Medici per i Diritti Umani aveva visitato il Cie, incontrando una situazione al limite del collasso. L’ente gestore non era ancora subentrato e il precedente non era in grado di garantire né gli stipendi dei propri dipendenti, coperti fino al mese di novembre solo grazie ad uno stanziamento diretto della Prefettura, né servizi e beni di prima necessità. Gli operatori di Medu, che non sono potuti entrare nella struttura, limitandosi a parlare con alcuni trattenuti, hanno riscontrato anche assenza di farmaci e strumentazione sanitaria, ad un trattenuto destinato all’ospedale era stato chiesto addirittura il pagamento dell’ambulanza. Milo era noto come il centro delle fughe, circa 800 a fronte di 162 persone rimpatriate di cui 25 cittadini comunitari. Ma il dato più inquietante è che fra i trattenuti circa il 62% risultava essere composto da richiedenti asilo, soprattutto dal Gambia (78 persone). Rinchiusi dove per legge non potevano assolutamente stare. Da ultimo, a Caltanissetta (località Pian del Lago) il centro resta operante malgrado le continue fughe e rivolte. Il 15 febbraio, durante un presidio per chiederne la chiusura, in 5 hanno cercato di allontanarsi profittando della situazione, 3 sono stati ripresi e ricondotti nel centro. Altri erano scappati nei giorni precedenti e altri lo hanno fatto nei giorni scorsi, con una continuità che è anche connessa alla difficoltà di gestione della presenza migrante nel capoluogo nisseno. Il Cie ha annesso un Cara, nell’area ci sono anche tendopoli autogestite che fungono da spazio di accoglienza.

Stefano Galieni