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21 marzo 1788

Daniele Barbieri - 17 Marzo 2014

equiano-11 Prima leggete questa lettera (tenete conto che siano nel 1788) e ascoltatene l’angoscia ma anche la forza serena; tenete conto che allora le Americhe erano ancora chiamate «Indie occidentali». Poi racconterò chi ne fu autore, un ex schiavo.

«A Sua Graziosissima Maestà, la Regina

Altezza, la ben nota benevolenza e umanità di Vostra Maestà mi danno l’ardire di rivolgermi alla Vostra regale presenza, confidando che l’oscurità della mia posizione  non impedirà a Vostra Maestà di occuparsi delle sofferenze per le quali rivolgo la mia supplica. Non invoco la Vostra regale pietà per mio conto: le mie tribolazioni, benché numerose, sono in certa misura dimenticate. Io qui imploro la compassione di Vostra Maestà per i milioni di miei compatrioti africani che gemono sotto la sferza della tirannia nelle Indie Occidentali.

L’oppressione e la crudeltà esercitate nei confronti degli sventurati negri laggiù hanno finalmente raggiunto i legislatori britannici che ora stanno valutando i rimedi giuridici; anche diversi proprietari di schiavi nelle Indie occidentali hanno presentato petizioni in Parlamento contro la sua persistenza, consapevoli della sua inopportunità oltre che della sua ingiustizia; ciò che è disumano è per forza di cose anche insensato.

Il regno di Vostra Maestà è stato finora contrassegnato da atti privati di benevolenza e liberalità: non vi è dubbio che maggiore è la sofferenza maggiore è il diritto alla compassione di Vostra Maestà e maggiore deve essere il Vostro compiacimento nel fornire tale assistenza.

Pertanto oso, Graziosa Regina, implorare la Vostra intercessione presso il Vostro regale consorte a favore degli sventurati africani affinché, attraverso la benevola influenza di Vostra Maestà, venga posta fine alla loro sofferenza ed essi possano essere sollevati da quella condizione animale cui sono ora degradati e portati ai diritti e alla posizione di uomini liberi e che siano ammessi a partecipare alle benedizioni del Vostro prospero governo: e possa così Vostra Maestà godere del profondo piacere di avere procurato la felicità a milioni di persone ed essere ricompensata nelle riconoscenti preghiere loro e dei posteri.

E possa il Munifico Creatore riversare sulla Vostra Maestà e sulla Famiglia Reale tutto il bene che questo mondo può concedere e ogni gioia che la rivelazione divina ci ha promesso per il mondo a venire. Il vostro rispettosissimo e devotissimo servitore GUSTAVUS VASSA, l’etiope oppresso (numero 53 di Baldwin’s Gardens) – 21 marzo 1788».

L’«etiope» oppresso è Olaudah Equiano, autore nel 1789 della prima autobiografia di uno schiavo liberato. Un testo famosissimo (almeno fra chi studia la storia) in mezzo mondo ma che in Italia rimase inedito fino al 2008 quando la casa editrice Epochè lo pubblicò – all’interno di un «progetto schiavitù» che fu premiato dall’Unesco – nella traduzione e cura di Giuliana Schiavi con il titolo «L’incredibile storia di Olaudah Equiano, o Gustavus Vassa, detto l’africano. Etiope era allora sinonimo di africano; in realtà Equiano era nato, nel 1745, nel villaggio di Essaka (un tempo Guinea, attualmete Nigeria). Rapito a 11 anni, fatto schiavo, riuscì a 21anni a riscattare la sua libertà. Divenne un abile navigatore. Poi si stabilì a Londra e si impegnò con il movimento abolizionista.

Il testo di Equiano è straordinario per mille ragioni. È un testo “datato” ma anche attualissimo. Datato nello stile (anche se Giuliana Schiavi ha modernizzato il suo linguaggio) come nella cieca fiducia verso il Creatore e la Corona; ma estremamente attuale sia per la grande capacità di raccontare che per le riflessioni sulla condizione umana. Dalla «museruola di ferro» imposta agli schiavi, alle battaglie in mare, dagli studi di Equiano alla sua ricerca religiosa, questa autobiografia è appassionante e va assolutamente letta: ormai in biblioteca perché purtroppo Epochè è fallita.

«Chi opprime il povero offende il suo creatore» scrive più volte Equiano ed è con questa profonda convinzione religiosa che si rivolge a una regina cristiana, convinto che questa fede comune basti a risolvere il lungo dramma della schiavitù inflitta a milioni di persone. Ovviamente (ma è un avverbio che possiamo usare oggi, oltre 200 anni fa la percezione del mondo era diversa) gli interessi economici valevano ben di più dei valori cristiani. Ci vorrà dunque molto tempo perché la schiavitù venga sconfitta.

Daniele Barbieri