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Casa amara casa

Stefano Galieni - 17 Marzo 2014

casetta«Ma vi pare giusto? Sono dovuta andare via di casa per… 2 metri quadrati!». La storia di Amina, cittadina di origine marocchine, che vive fra i palazzoni della periferia Sud di Roma, fra vie che portano i nomi di nobili cittadini dell’epoca imperiale, è grottesca. «Quando siamo arrivati in Italia, eravamo io, mio padre, mia madre e mio fratello. I primi tempi ci siamo arrangiati da amici che ci ospitavano, poi i miei hanno trovato lavoro regolare e siamo andati in affitto. Dividevo la camera col mio fratellino. Poi è nata mia sorella e sono cominciati i guai. Per carità, io le voglio tanto bene. Ma un giorno sono arrivati  dei signori a controllare la nostra casa. Hanno misurato, ci hanno guardato con un certo sospetto e, poco tempo dopo, è arrivata la decisione. Lo spazio era troppo esiguo per 5 persone. Dovevamo trovare velocemente un’altra casa. Ma non è una cosa facile. Per fortuna i miei zii avevano una stanza vuota e non vivono distanti dalla mia famiglia. Così di punto in bianco, avevo compiuto da poco i 18 anni, ho fatto i bagagli. Alla nostra abitazione mancavano due metri per avere l’idoneità abitativa. Ci è stato detto, suggerito, di fare ricorso: nessuno sarebbe venuto poi a controllare e in tanti vivono in condizioni molto peggiori delle nostre, anche italiani. Ma non ce la siamo sentiti di rischiare, né per me né soprattutto per i miei che non hanno ancora la Carta di Soggiorno. Io ho chiesto a 18 anni la cittadinanza e non dovrei avere problemi ad ottenerla».
Amina la cittadinanza l’ha avuta. Ha raccontato la sua storia anche a una radio locale gestita dai salesiani. Gli stessi sacerdoti si erano dichiarati disponibili ad intercedere, ma lei è stata irremovibile: «La legge vuole questo e allora adeguiamoci».

Discrezionalità e confusione Il certificato di idoneità alloggiativa è necessario per portare a compimento la procedura del “ricongiungimento familiare” (cioè per chiamare il coniuge o un parente stretto che si trova ancora all’estero); serve per ottenere la cosiddetta “carta di soggiorno”, cioè il permesso a tempo indeterminato; e serve per stipulare un contratto di lavoro. Chiedere l’«idoneità alloggiativa» significa però entrare in un tortuoso vortice in cui le risposte non sono mai certe e univoche.
Negli anni passati era sufficiente che l’abitazione avesse i parametri di ampiezza previsti dalle leggi regionali: la casa, cioè, doveva essere “sufficientemente grande”, con un numero di metri quadri commisurato alle persone che vi risiedevano. Per accertare questo requisito, venivano prese a prestito le tabelle utilizzate dai Comuni per assegnare le case popolari: a ciascun assegnatario, come noto, viene fornito un alloggio commisurato alla consistenza numerica del suo nucleo familiare (è ovvio che una famiglia di dieci persone avrà una casa più grande rispetto a una di tre). Il testo del vecchio articolo 29 comma 3 della legge Turco-Napolitano stabiliva che «lo straniero che richiede il ricongiungimento deve dimostrare la disponibilità di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneità igienico-sanitaria accertati dall’Azienda unità sanitaria locale competente per territorio».
Il testo è stato modificato, solo apparentemente in maniera parziale, con il Pacchetto Sicurezza, 94/2009. Il nuovo comma stabilisce che «lo straniero deve dimostrare la disponibilità di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa, accertati dai competenti uffici comunali». Dunque, non viene più richiesto solo un parametro di ampiezza – tot metri quadri, tot persone – ma anche un non meglio definito “requisito igienico-sanitario”.
Ma cosa significa “requisito igienico-sanitario”? E perché l’idoneità, che prima si chiamava “alloggiativa”, adesso viene definita “abitativa”? Perché è scomparso il riferimento alle tabelle valide per le case popolari? Nel diritto anche le parole sono importanti, e un cambiamento di terminologia richiede un lavoro di interpretazione. Ma con l’entrata in vigore della nuova normativa non erano e non sono ancora chiari e omogenei i requisiti richiesti.
Sin dai primi mesi di applicazione della legge, alcuni Sportelli Unici per L’Immigrazione avevano dato indicazioni provvisorie, chiedendo da una parte l’accertamento dei requisiti igienico-sanitari, (in precedenza non obbligatori) e contemporaneamente di mantenere la verifica dei parametri stabiliti dalla legge sull’edilizia residenziale pubblica (elemento invece cancellato nel nuovo testo). Il ginepraio è reso, anche con questa modifica legislativa e con le sue applicazioni, ancora più ingarbugliato.
Da una parte – lo abbiamo visto – ci sono termini tecnici (idoneità alloggiativa vs idoneità abitativa) che in base alle diverse interpretazioni sono stati applicati come sinonimi o con diversi significati. Dall’altra, quelli che erano parametri di comfort nell’assegnazione delle case popolari sono divenuti (già con la vecchia normativa) criteri ostativi per la possibilità di poter effettuare i ricongiungimenti familiari. Infine, c’è il nuovo – e tutt’altro che univoco – criterio “igienico-sanitario”.
Quello che è certo è che, all’atto pratico, l’applicazione dei nuovi parametri ha determinato un paradosso: buona parte del patrimonio immobiliare italiano, soprattutto nei centri storici di piccole e grandi città, sarebbe sprovvista dei requisiti necessari. Molte case sono state infatti costruite quando i vincoli igienico-sanitari non esistevano. In pratica, se si applicassero le disposizioni del Pacchetto Sicurezza ai cittadini italiani, una parte consistente di famiglie, anche di fasce sociali agiate, dovrebbe ristrutturare le proprie abitazioni, pena l’obbligo di doverle lasciare.

I parametri ci sono Esiste un parametro di idoneità abitativa che vige ancora su tutto il territorio nazionale e che non distingue fra italiani e stranieri. Si tratta di un Decreto ministeriale del 5 luglio 1975 del Ministero della Sanità. Si riferisce alla semplice metratura: altezza minima 2 metri e 70 (2 e 55 nei comuni montani), superficie abitabile per ogni abitante 14 metri quadrati (per i primi 4) e 10 per i successivi, stanze da letto di misura non inferiore ai 9 metri quadrati per una persona e ai 14 metri quadrati per due persone.
Con questi parametri, chi scrive non potrebbe vivere nel proprio alloggio. Stanze da letto, soggiorno e cucina debbono avere finestra apribile. Se nel bagno non c’è finestra, occorre un impianto di aspirazione meccanica. Tali misure sono inferiori generalmente a quelle previste dalle leggi regionali. Una richiesta di ricongiungimento dovrebbe partire almeno dai requisiti meno restrittivi disposti dalla vecchia, ma mai abrogata, disposizione e la direttiva europea approvata in materia dallo Stato italiano (2003/86/CE del 22/9/2003) va in favore di tale interpretazione. Ci si può anche appellare direttamente all’art 10 della Costituzione (comma 2) per quanto riguarda il trattamento dei cittadini stranieri. È la legge statale e sono i trattati internazionali, non le leggi regionali a determinare le modalità di vita e di accoglienza dei migranti. In pratica, chi volesse approcciarsi ad una richiesta di ricongiungimento dovrebbe limitarsi a rivolgersi agli uffici comunali che dovrebbero limitarsi a rilasciare un certificato conforme al Testo Unico Leggi Sanitarie (n.1265 del 1934), così come integrato dal Decreto Ministeriale del 1975.
Come abbiamo visto, per i cittadini stranieri l’idoneità alloggiativa è obbligatoria, e serve per avviare diverse procedure. È richiesta per il contratto di soggiorno con il datore di lavoro; per il ricongiungimento familiare o la coesione familiare con persone maggiori di 14 anni, per il permesso CE (lungo soggiornanti) per la moglie/il marito o per i figli di età compresa tra i 14 e 18 anni; per il nulla-osta all’arrivo di un lavoratore straniero dall’estero quando esce il decreto flussi. In ognuno di questi casi la certificazione è rilasciata secondo criteri differenti: per l’ingresso di un lavoratore si dovrà dimostrare esclusivamente la conformità ai requisiti previsti dalla normativa regionale in materia di edilizia residenziale pubblica; per l’estensione del Permesso CE si dovrà dimostrare la corrispondenza ai requisiti stabiliti dalle norme regionali in materia di edilizia residenziale pubblica o, in alternativa, una certificazione rilasciata dall’ASL che attesti il possesso dei requisiti igienico-sanitari; per il ricongiungimento si dovrà richiedere il rilascio di una certificazione che attesti la corrispondenza ai requisiti-igienico sanitari, da parte dei competenti uffici comunali e obbligatoriamente, si dovrà essere in possesso di un certificato di idoneità abitativa. Criteri diversi per considerare idonea una abitazione complicano non solo la vita ai migranti che vogliono vivere regolarmente ma rendono anche assurda la mole di lavoro per gli stessi uffici comunali addetti alle verifiche. I tempi di consegna di tale certificato di idoneità variano da Comune a Comune, i costi si aggirano normalmente intorno ai 32 euro, salvo eccezioni. Il 13 gennaio scorso, per tentare di fare chiarezza, dal Ministero dell’Interno partiva finalmente una comunicazione esplicativa che ha fatto seguito ad una circolare (la 4820) dello scorso 28 agosto. Veniva finalmente chiarito che i parametri delle leggi regionali non sono più utilizzabili ai fini della richiesta di idoneità. Ci si è accorti che in questi 5 anni ogni Comune ha interpretato le normative a propria totale discrezionalità, addirittura a Roma i criteri variavano e ancora variano da Municipio a Municipio. Il testo pubblicato segnala che: «Atteso che gli Sportelli Unici per l’Immigrazione hanno segnalato interpretazioni differenti da parte dei Comuni riguardo alla citata disposizione, sentito il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e allo scopo di individuare parametri di idoneità abitativa uniformi su tutto il territorio nazionale, si fa presente che i Comuni, nel rispetto della propria autonomia, nel rilasciare la certificazione relativa all’idoneità abitativa, possono fare riferimento alla normativa contenuta nel Decreto 5 luglio del 1975 del Ministero della sanità che stabilisce i requisiti igienico-sanitari principali dei locali di di abitazione e che precisa anche i requisiti minimi di superficie degli alloggi, in relazione al numero previsto degli occupanti. Tale riferimento risulterebbe anche coerente con la direttiva dell’UE, recepita con legge dello Stato, in materia di ricongiungimento familiare, la quale dispone che, per l’autorizzazione al ricongiungimento familiare, la legge nazionale debba o possa imporre la verifica della disponibilità di un alloggio considerato normale che corrisponda alle norme generali di sicurezza e di salute pubblica in vigore; pertanto si potrà considerare idoneo un alloggio che corrisponda ai parametri generalmente stabiliti per tutta la cittadinanza, su tutto il territorio nazionale».

Lieto fine? Nei giorni scorsi è stato presentato a Roma il protocollo di intesa fra la Prefettura, Roma Capitale e i Municipi per informatizzare, omogeneizzare e semplificare le procedure di primo ingresso e di ricongiungimento familiare. La situazione capitolina è articolata, da una parte bisogna far fronte, come affermato dai funzionari della prefettura ai tanti falsi certificati di idoneità abitativa e alle tante situazioni in cui il numero di persone che vive in una abitazione è incompatibile con le dimensioni della stessa. Dall’altra, come hanno fatto notare i rappresentanti di alcune associazioni di migranti, gli stessi affittuari non hanno modo di poter avere copia del contratto di proprietà dello stabile, i contratti di affitto vengono registrati in maniera poco realistica e questo crea disagio diffuso. Esiste un progetto, presentato da Geeklogica e dall’Istituto Psicanalitico per le ricerche Sociali, che dovrebbe servire a rendere il percorso per l’ottenimento dell’idoneità più diretto. Chi ne farà richiesta potrà a breve autoconvocarsi prendendo appuntamento con gli uffici competenti del Municipio preliminarmente via web, portare la documentazione richiesta (che finalmente sarà uniformata) e avere un rapporto trasparente con la Pubblica Amministrazione.
È praticamente pronta una piattaforma informatica che sarà tradotta in almeno 12 lingue, si realizzeranno a breve percorsi di formazione per gli operatori nei Municipi, ci sarà una prima fase di sperimentazione che vedrà anche il coinvolgimento delle associazioni di immigrati per azioni di sensibilizzazione. Le procedure di avvicinamento alla pubblica amministrazione potranno anche essere effettuate mediante cellulare, si prenderà appuntamento ad orari precisi e le pratiche verranno informaticamente risolte o messe in stand by in caso di documentazione incompleta o erronea. Il tutto senza costi aggiuntivi per i richiedenti ma… Ma i criteri con cui si continuerà per ora ad operare sono quelli più restrittivi imposti dalla Legge Regionale. La confusione fra idoneità alloggiativa e abitativa non è affatto risolta, nessuno potrà obbligare i proprietari degli immobili posti in affitto a fornire copia dei contratti di proprietà e questo in una città in cui circa metà degli appartamenti non possiedono alcun certificato di idoneità. Ma per intervenire su questo tema servono interventi più forti. Il differente trattamento riservato fra cittadini italiani e stranieri in materia è già stato oggetto di ricorsi ai tribunali amministrativi e prima o poi dovrà essere sciolto. Ma intanto anche voler essere in regola resta un problema.

Stefano Galieni