Festival

Kunstendorf, di padre in figlio

Romina De Simone - 23 Marzo 2014

kustendorfDall’idea di un regista che evoca il mondo balcanico e che ne è divenuto simbolo, il sogno realizzato di un villaggio in cui si sperimentano, tanto nella vita quotidiana che nella espressione artistica e culturale, negli incontri, la possibilità di rompere le barriere che separano mondi e persone.

La parola chiave è Kustendorf (letteralmente “Città delle arti”). Il nome è stato suggerito dallo scrittore e drammaturgo Peter Handke (sceneggiatore di film come Il cielo sopra Berlino) al regista Emir Kusturica, che oltre 10 anni fa l’ha trasformata in un sogno realizzato. In origine era una collina Mec’avnik, sovrastante la cittadina rurale di Mokra Gora. Su questa collina, in territorio serbo ma poco distante dal confine bosniaco, è stata costruita Kustendorf, un piccolo borgo di casette in legno dall’aspetto quasi fatato. Il villaggio costituì nel 2004 il set di uno dei film meno noti del regista, La vita è un miracolo il cui tema portante è quello della sfida alle barriere nazionalistiche, religiose, etniche che quella terra ha tanto pagato. Oggi è un mondo diverso che ogni anno, poco dopo il Natale Ortodosso, è la sede del Kustendorf Film and Music Festival, (www.kustendorf-filmandmusicfestival.org), luogo di confronto internazionale dove le nuove generazioni di cineasti possono incontrare liberamente i grandi maestri del cinema europeo ed internazionale.

Con il sorgere della “Città delle Arti” Kusturica ha implementato un corrispettivo progetto di inclusione socioeconomica, il villaggio ha creato immediatamente posti di lavoro in un’area molto rurale, popolata da gente semplice ma sicuramente non ricca.

A Kustendorf ci sono diversi locali/bar tipici, in ciascuno dei quali si trovano esclusivamente cibo e bevande provenienti dall’agricoltura biologica dei terreni circostanti, tanto è che il progetto ha prodotto un favorevole effetto economico a catena. L’attenzione all’ambiente è forte, in nessun locale viene mai servita l’acqua o lo squisitissimo succo di ciliegia, tipico di queste zone, in una bottiglietta di plastica. Tutto è rigorosamente in vetro.

Ad oggi il villaggio include circa 100 lavoratori Dipendenti, un presidio medico, l’asilo ed il punto di primo soccorso dei pompieri. Questa utopia è un omaggio al padre del regista, Murat, un tempo sottosegretario dell’Informazione della Repubblica Socialista della Bosnia ed Erzegovina. Un uomo che ha fatto della propria vita un’assoluta oblazione al Partito, ma che non ha condiviso mai le spedizioni punitive dei dissidenti da parte di Tito a Goli Otok. Kusturica non ha mai rinnegato le proprie posizioni, spesso scomode; continua a donare tutto se stesso per la diffusione della cultura e l’inclusione lavorativa in Serbia, la parte della ex Jugoslavia dove ha scelto di vivere, senza negare mai la sua origine in un quartiere popolare di Sarajevo. Il festival è ormai considerato un centro di incontro di cultura alternativa. Girando per le casine ci si imbatte, durante il festival, in una sorta di totem in legno su cui sono raffigurati gli ex presidenti Bush padre e figlio, dietro le sbarre. Qui il ricordo delle guerre subite e combattute non può sparire, e la voglia di veder puniti i responsabili resta profonda.

Il Festival, che quest’anno si è tenuto a fine gennaio, è rivolto soprattutto agli studenti di regia provenienti da tutto il mondo, che qui presentano i propri Short Movie/Mediometraggi precedentemente selezionati da Dunja Kusturica, la giovane figlia di Emir, che vengono successivamente premiati rispettivamente con l’Uovo D’Oro, D’Argento e Di Bronzo.

Gli Studenti autori dei corti selezionati sono direttamente alloggiati presso le “dimore in legno” di Kustendorf. Ogni giorno c’è la proiezione di un Film e, subito dopo, un dibattito della durata di un’ora e mezza con il regista del film. La lingua universalmente scelta è l’Inglese, ma non sono respinte domande in altre lingue. Quest’anno il Festival ha visto ospite l’attrice argentina, naturalizzata francese, Berenice Bejo come Presidente di giuria per il Competition Programme, la Competizione rivolta agli studenti.

Tra gli altri, il grande regista iraniano Ashgar Faradi (The Past / 2013), il promettente greco Alexandros Avranas (Miss Violence / 2013), il ribelle attore e regista russo Yuri Bykov (The Major / 2013) e tanti altri. Presente anche l’italiano Sorrentino, che prima ancora dell’Oscar ha ricevuto una standing ovation per La grande bellezza. Ogni sera, al termine delle proiezioni il villaggio si riempie di musica. Concerti di ogni tipo, dall’esibizione del rocker serbo Rjbla Corba, che tanto ricorda Vasco Rossi, allo stesso Kusturica, chitarrista della band che mescola stile tecno e rock tzigano, No Smoking Orchestra, la francese Zaz e la bosniaca Mostar Sevdah Reunion. Ma i veri protagonisti delle serate sono i musicisti rom, spesso scansati con fastidio quando suonano nelle città italiane, aggrediti con i soliti epiteti razzisti, cacciati anche da sindaci che si dichiarano progressisti. Sindaci a cui forse farebbe bene un soggiorno a Kustendorf per superare pregiudizi e logiche discriminatorie. L’impressione provata vedendo suonare alcuni gruppi è stata quella di trovarsi di fronte al volto dimenticato di un dio. Si viene travolti dalle sonorità di gruppi come i Mahala Rai Banda, provenienti dalla periferia estrema di Bucarest, che hanno cantato e suonato con pathos in una delle serate più importanti, accompagnati dal ballo di Dunja Kusturica. Il regista creatore di questo assurdo e splendido villaggio è cresciuto a Gorica, il quartiere di Sarajevo con maggior presenza rom, il suo stesso primogenito, Stribor, suona con i Poisoners, una band da soul kitsch, con una forte radice tzigana che spesso narra la crudezza del vivere.

Nella serata di chiusura sono stati premiati i mediometraggi ed era presente il ministro della Cultura della Serbia, Ivan Tasovac, che è anche un famoso pianista e Direttore della Filarmonica di Belgrado. E dopo la premiazione, attorno alla tavola imbandita di un locale chiamato “Visconti”, è iniziata la Festa Underground, dove il termine vuole proprio riferirsi ad un modo di concepire l’arte, la cultura, la politica e la vita. Balli gitani e la voce struggente di una cantante del luogo come marchio indelebile con cui accomiatarsi. E fa una strana impressione allontanarsi da questo cerchio danzante per dirigersi a notte fonda verso un autobus diretto a Belgrado, proveniente da Mostar. Le valige erano in mezzo a scintillanti sacchi di patate.

Romina De Simone