Paradossi

Xenofobia, se le vittime sono italiane

stefano galieni - 23 Marzo 2014

unarNon è una boutade leghista ma un dato – molto interessante – emerso in occasione della presentazione torinese dell’ultimo rapporto Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali).

Nel 2013 l’Unar  ha raccolto 959 segnalazioni per discriminazione etnica (l’80% sono state ritenute effettivamente atti discriminatori, in molti casi reati ai sensi della Legge Mancino, il 4% è ancora in fase di discussione, mentre le altre sono state archiviate). Nel 26,5 per cento dei casi – ed è questo il dato interessante – a denunciare sono stati… cittadini italiani. In particolare: giovani figli di stranieri ma nati o cresciuti in Italia, “dotati” di cittadinanza italiana, che si sono trovati a subire la stupidità di comportamenti spesso aggressivi tanto da sfociare nella violenza aggravata.

Questa percentuale rivela come una parte consistente della società fatichi ad accettare il fatto che l’Italia sia ormai già un Paese multiculturale e che la cittadinanza non corrisponda in automatico a tradizionali tratti somatici o alla pelle bianca. E attesta anche la consapevolezza e la determinazione delle cosidette seconde generazioni, pronte a fare valere i propri diritti nelle sedi opportune. Si tratta quindi di una componente più preparata ad affrontare il razzismo latente e meno disposta a subire. Persone che hanno gli strumenti non solo linguistici ma anche l’accesso ai supporti informatici per inoltrare le segnalazioni, che si rivolgono al numero verde messo a disposizione dall’Unar e che non temono forme di ricatto connesse ad una presenza precaria legata al permesso di soggiorno.
Non a caso il 34,2% delle segnalazioni giunge via web, il 33,6% grazie ai media e il 19,9 mediante chiamata telefonica. A denunciare è, in genere, chi subisce la discriminazione (84,7% di cui il 24,7 attuati con l’aggravante delle molestie) ma, a volte, anche chi le vede e non ci sta. Ecco infatti che ben il 9% delle segnalazioni dell’anno passato ha riguardato una sola persona: il ministro (ora ex) più insultato al mondo, Cécile Kashetu Kyenge. Ma il rapporto non spiega – ed è comprensibile – se la disponibilità ad esporsi provenga soprattutto da persone che possono essere scambiate per stranieri o se sta aumentando una coscienza civica diffusa. Altro dato utile: dopo gli italiani, a denunciare sono soprattutto cittadini marocchini e rumeni. Si tratta delle comunità più numerose.

Le discriminazioni in Italia

Utilizzando sempre come parametro i dati Unar, emerge un’altra curiosa informazione. Nella casistica delle segnalazioni per comportamenti discriminatori ai primi posti compaiono, ovviamente, Roma con 156 casi denunciati e Milano con 65. Era scontato, si tratta delle grandi metropoli in cui la presenza di cittadini di origine straniera è quantitativamente rilevante e con elementi di tensione sociale spesso forti. Ma al terzo posto, con 54 segnalazioni, compare una città piccola come Rovigo. Secondo Marco De Giorgi, direttore dell’agenzia (che in altro articolo ci parla del costo delle discriminazioni) questo accade per due ragioni: «Da una parte il Nord-Est integra molto con il lavoro e questo fa sì che la presenza di cittadini di origine straniera abbia una percentuale molto alta. Il risultato, che vale anche per il resto del Nord-Est (4 capoluoghi fra i primi 10 segnalati) è che a fronte di episodi di discriminazione a sfondo etnico o religioso c’è anche lì una reazione più pronta e consapevole. Quindi nelle piccole città si creano più facilmente tanto le condizioni per essere esposti a certi comportamenti quanto quelli per reagire». C’è da aggiungere che le prime 3 città segnalate costituiscano oltre il 43% delle aree da cui sono giunte segnalazioni che invece sono molto meno frequenti nel Sud. Il Nord raccoglie, infatti, complessivamente oltre il 55% delle segnalazioni giunte, il Centro, oltre il 34%, il restante 11% è da ascrivere a Sud e isole. Anche questo dato ha due volti. Da una parte nel Meridione non hanno ancora mai attecchito forme di organizzazione anche politica che avessero come predominante la matrice del rifiuto dei migranti. Contemporaneamente, una parte consistente della presenza di persone di origine straniera è impiegata nell’economia sommersa, spesso in condizioni di precarietà tali da non potersi permettere il lusso di denunciare comportamenti razzisti. Fatti di cronaca recenti, contro rom e lavoratori in agricoltura, sono emersi solo in quanto hanno raggiunto livelli di gravità da richiedere immediatamente l’intervento delle forze dell’ordine. Va considerato poi il fatto che la presenza stabile di cittadini provenienti da paesi terzi è molto più stabile e concentrata nel centro-nord. La regione italiana da cui parte la maggior parte delle segnalazioni è il Lazio, ma oltre il 95% giungono dalla capitale. Al secondo posto il Veneto e al terzo la Lombardia, ma in entrambi i casi le denunce sono molto più diffuse nel territorio e attengono alle diverse province. Significativo come poi la percentuale più consistente delle segnalazioni rivelatesi fondate, riguarda forme di discriminazione enunciate nei media, il 34,2% e negli spazi di vita pubblica, il 20,4%. In contesti come quello lavorativo, dove alcuni comportamenti potrebbero essere ascritti a ragioni di competizione, le denunce giunte e confermatesi veritiere sono circa il 7,5 del totale, nella scuola si scende al 4,1%. Un dato che può essere interpretato, facendo alcune ipotesi. Da una in parte spazi definiti come quello scolastico e quello lavorativo, taluni comportamenti trovano modo spesso di essere affrontati direttamente prima ancora di trasformarsi in denuncia e a volte producendo risultati positivi. Media e spazi pubblici invece denotano come la persistenza di pregiudizi e di azioni discriminatorie, dovute non solo ad ignoranza ma a specifici intenti politicamente orientati, abbiano ancora un forte peso.

Stefano Galieni