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6 aprile 1931

Daniele Barbieri - 31 Marzo 2014

Scottboro_ImageInizia il processo-linciaggio per i nove di Scottsboro. Una vergogna lunga 80 anni. Erano afroamericani e vennero ingiustamente condannati per due stupri mai avvenuti. Fino a che punto sono cambiati gli Usa?

Il nome di Rosa Parks è noto a molte persone perché dal suo arresto il 1 dicembre 1955 – si rifiutò di cedere il posto a un bianco – prese il via la lotta (lunga 381 giorni) vincente contro la segregazione sugli autobus a Montgomery, in Alabama, una tappa importantissima per sgretolare l’apartheid negli Stati Uniti.
Era una militante Rosa Parks e aveva iniziato le sue battaglie contro il razzismo giovanissima, oltre 20 anni prima, impegnandosi per «i 9 di Scottboro». Ma quella vicenda si concluse – con una “grazia” postuma – non dopo 381 ma dopo oltre 29 mila giorni, cioè 80 anni dopo.
Così la vicenda viene ricostruita da un articolo dell’avvocato Tommaso Rossi sulla rivista on line Fatto & diritto del 7 aprile 2013, sotto il titolo «Alabama 80 anni dopo: la grazia per riscattare le ingiustizie subite dai 9 innocenti noti come “Scottsboro Boys”».
«USA, 07. 04. 2013 – Anni e anni di processi, rinvii e riaperture dovuti al razzismo degli anni ‘30 che non ammetteva, per gli afro-americani, presunzione di innocenza fino a prova contraria. La legge votata all’unanimità giovedì dal Parlamento dell’Alabama sulla grazia postuma riporta alla luce le storie di 9 ragazzi neri, le cui vite furono distrutte da un’accusa di stupro nei confronti di due ragazze bianche, e la volontà dello Stato dell’Alabama di correggere i propri errori giudiziari a 80 anni di distanza. Correva l’anno 1931, l’America era ancora in piena depressione. Il 25 marzo di quell’anno nove ragazzi di età compresa tra i 12 e i 19 anni, afroamericani in un Alabama cuore del razzismo, viaggiavano su un treno merci diretto da Chattanooga a Memphis, in cerca di fortuna. Lo scontro, verbale e fisico, con un gruppo di giovani bianchi che si trovavano sullo stesso treno: tra i bianchi due donne, Ruby Bates e Victoria Price, originarie di Huntsville, che una volta giunte alla stazione di Scottsboro accusarono i ragazzi di colore di averle violentate. Un’accusa simile, e ancor più il colore della loro pelle, esposero i ragazzi dapprima al rischio di linciaggio, poi ad un ingiusto processo.
Olen Montgomery, Clarence Norris, Haywood Patterson, Ozie Powell, Willie Roberson, Charles Weems, Eugene Williams, Roy Wright, Andy Wright: una giuria composta da soli bianchi li dichiarò tutti colpevoli, senza tentare veramente di scoprire l’andamento dei fatti. Un processo durato 3 giorni (6-9 aprile 1931) alla fine del quale per tutti, eccetto che per il ragazzino di 12 anni, Roy Wright, condannato all’ergastolo, fu espressa sentenza di morte, anche se la condanna non fu mai eseguita. L’anno seguente la Corte Suprema dell’Alabama riconfermò la sentenza per tutti eccetto il tredicenne Eugene Williams. Il 7 novembre del ‘32 la Corte Suprema Americana sentenziò l’avvio di un secondo processo in quanto nel primo era stato negato agli imputati il diritto alla difesa, in violazione del quattordicesimo emendamento. Nel gennaio del ‘33 l’avvocato Samuel Leibowitz assunse la difesa degli imputati. Nonostante la Bates avesse ritrattato la sua accusa di stupro, si giunse allo stesso verdetto di colpevolezza per gli imputati. Dopo un nuovo ricorso, la Corte Suprema Americana si pronunciò a favore degli imputati (1935) e ordinò un nuovo processo in quanto la legge dell’Alabama escludeva le persone di colore dal far parte della giuria. Nel 1937 vennero assolti, dopo 6 anni già scontati, Willie Roberson, Olen Montgomery, Eugene Williams e Roy Wright. Tra il ‘43 e il ‘50 anche gli altri vennero rilasciati in libertà condizionale, eccetto Haywood Patterson che evase nel 1948 e trovò rifugio in Michigan. Nel ‘76 Clarence Norris, l’ultimo sopravvissuto degli Scottsboro boys, ottenne la grazia dal governatore George Wallace. Gli altri, già morti, dovranno attendere il 04. 04. 2013, il 45° anniversario dell’uccisione di Martin Luther King. Giovedì il Parlamento dell’Alabama ha infatti votato all’unanimità una legge per concedere la grazia postuma, che potrà così finalmente essere concessa agli Scottsboro Boys e rendere giustizia quantomeno alla loro memoria.
Nulla cancellerà l’ingiusto dolore provocato a quei ragazzi, le cui storie di vita furono brutalmente distrutte da ingiuste accuse e reiterate condanne emesse da tribunali razzisti. L’Alabama, 80 anni dopo, cerca di fare ammenda concedendo la grazia postuma: un tentativo di correggere errori del passato che rovinarono la vita dei giovani innocenti afroamericani.
Il caso degli Scottsboro boys, che divenne emblema di ingiustizia razziale, fu raccontato in numerosi libri (1950, Pattenson, Scottsboro Boy; 1979, Norris, The Last of the Scottsboro Boys; 1969, Dan T. Carter, Scottsboro: A Tragedy of the American South; 1994, James Goodman, Stories of Scottsboro) film (Judge Horton and the Scottsboro Boys, 1976) e canzoni (Leadbelly, Scottsboro Boys).
Dal 2010 è inoltre operativo lo Scootsboro Boys Museum & Cultural Center, situato appunto nella città di Scottsboro a pochi metri di distanza dal tribunale in cui i ragazzi subirono il primo ingiusto processo per stupro. Fortemente voluto dalla signora Sheila Washington, il museo mira a far conoscere la vera storia degli Scottsboro Boys e conserva, tra gli altri, articoli di giornale degli anni ‘30 relativi al caso, foto dei processi e francobolli venduti negli anni ‘30 per raccogliere soldi per la difesa dei ragazzi».
Sul sito «Canzoni contro la guerra» (http://www.antiwarsongs.org) trovate il testo di Lonesome Jailhouse Blues di Barbara Dane. Per chi conosce l’inglese, eccolo.
All night long I sat in my cell and cried
All night long I sat in my cell and cried
Cause this old jail got lonesome,
And I can’t be satisfied.
I tried to eat my breakfast, but I couldn’t for shedding tears
I tried to eat my breakfast, but I couldn’t for shedding tears.
It almost breaks my heart
Just to think of these five long years.
Oh lordy, lord, what am I gonna do?
Oh lordy, lord, what am I gonna do?
I have walked this old jail cell
Til I have worn out all my shoes.
I wouldn’t treat a dog like some people are treating me.
I wouldn’t treat a dog like some people are treating me.
They treat me like some anima
That they can’t even see.
Well I don ’t know Alabama, ‘cause Alabama’s not my home,
Well I don ’t know Alabama, ‘cause Alabama’s not my home,
But ever since I been here,
I’m sorry for the day I was born.
Well I’m singing this song ‘cause I want everyone to know
How one poor boy feels
Who has been held down so low.
Il breve testo che – sul sito «Canzoni contro la guerra» – accompagna questo blues spiega che fu scritto da Olen Montgomery, uno degli “Scottsboro Boys”, il quale all’epoca dei fatti aveva 17 anni e trascorse in carcere ben 5 anni prima di essere prosciolto da ogni accusa. L’album, inciso nel 1973, si intitola I Hate the Capitalist System e nell’introdurre la canzone, Barbara Dane ricorda che la eseguì il 17 maggio 1970 durante un meeting del GIs Movement, il movimento dei soldati statunitensi contro la guerra in Vietnam, cioè «in un momento in cui molti di loro, bianchi e neri, stavano in galera per essersi ribellati e essersi rifiutati di andare a combattere una guerra ingiusta… In galera, come gli innocenti di Scottsboro».
Ma oggi quanti sono gli afroamericani (o i nativi americani) in galera per processi farsa come Scottsboro? Leggete cosa, nel gennaio 2014, scrive Johanna Fernandez che è nella squadra legale di Mumia Abu Jamal – il testo completo è qui: Quello che Fox News mi ha impedito di dire – protestando contro la disonestà dell’informazione negli Usa: «Mumia è uno Scottsboro Boy dei nostri giorni e dobbiamo esigere che la Pennsylvania riveli la sua innocenza oggi, non 80 anni dopo al modo in cui l’Alabama ha fatto con i ragazzi di Scottsboro.

Daniele Barbieri