La denuncia di Msf

Una firma contro la TBC

Ilaria Sesana - 31 Marzo 2014

vaccino È una malattia antichissima (nota già agli antichi egizi) e che ha ucciso, tra gli altri, George Orwell, Franz Kafka, Simon Bolivar e Frédéric Chopin. Se ne parla poco perché si pensa (a torto) che ormai sia stata debellata. E invece la tubercolosi (Tbc) colpisce ancora oggi otto milioni di persone all’anno, provocando un milione e trecentomila decessi. A rendere ancora più allarmante la situazione, la diffusione di una forma ancora più letale, la tubercolosi multi-resistente (MDR-TB) resistente ai farmaci, che si sta diffondendo praticamente in tutti i Paesi del mondo, con 500 mila nuovi casi ogni anno. «Le cure per questa forma di Tbc sono durissime – spiega Stella Egidi, responsabile medico Medici senza frontiere –. Chi si ammala deve assumere circa 10 mila pillole in due anni e sottoporsi a otto mesi di iniezioni quotidiane. C’è poi il rischio di devastanti effetti collaterali, tra cui sordità permanente e insufficienza renale». Inoltre, solo una persona su cinque riceve cure adeguate e solo il 50% di queste guarisce.

La tubercolosi è una malattia curabile, ma una risposta globale inadeguata ha consentito l’affermazione di nuove forme della malattia contro le quali i farmaci disponibili sono del tutto inefficaci. Per questo motivo Medici senza frontiere ha lanciato a livello globale il manifesto “Curami, salvami” per chiedere a governi, case farmaceutiche e ricercatori di mobilitarsi urgentemente per cercare nuovi trattamenti, salvare più vite e arginare questa malattia letale. Le firme raccolte verranno consegnate e fine maggio all’Assemblea generale dell’Organizzazione mondiale per la Sanità.

La cura della tubercolosi necessita di un regime terapeutico estremamente rigoroso: per il trattamento della cosiddetta TBC sensibile il paziente deve assumere regolarmente quattro farmaci al giorno per sei mesi, con un dosaggio preciso. «Se la terapia viene interrotta o assunta in maniera scorretta, il paziente rischia una ricaduta e il batterio si ripresenta – spiega Stella Egidi –. Se per esempio un paziente assume due farmaci anziché i quattro previsti, si sviluppa un batterio più resistente. Un processo che ha portato alla selezione di ceppi resistenti a determinati farmaci su cui è particolarmente difficile intervenire».
Il caso più emblematico è forse quello che ha riguardato l’ex Unione Sovietica dove, a partire dagli anni Novanta, con il disfacimento del sistema sanitario sono venuti meno i fondi per una cura adeguata della Tbc. «Le terapie sono state condotte spesso in modo scorretto, affidate a medici privati e con farmaci di scarsa qualità. Questo ha favorito lo sviluppo di ceppi di Tbc multiresistente», conclude Stella Egidi. Lo stesso problema è successivamente emerso in vari Paesi africani e asiatici come l’Uzbekistan, dove oggi il 40% delle nuove infezioni sono per ceppi di Tbc multiresistente.

«Si parla di multiresistenza quando sono coinvolti i due farmaci più importanti per il protocollo di trattamento: l’isoniazide e la rifampicina – spiega Stella Egidi –. Quando sono coinvolti anche alcuni farmaci della seconda linea, che si usano in alternativa ai primi due, si parla di Tbc estremamente resistente che è veramente difficile da trattare, perché servono cocktail di farmaci ad hoc». Ogni anno sono circa 500 mila le persone che si ammalano di Tbc multiresistente.
Ma come spesso accade, l’accesso ai farmaci è limitato, anche a causa dei costi elevati. Per la cura di un caso di Tbc sensibile bastano 20 dollari per tutto il ciclo di trattamento. Me per le forme multiresistenti il costo oscilla fra i 3 e i 5 mila dollari: solo una persona su cinque riceve il trattamento adeguato per la TB multi-resistente. Laddove i costi della terapia restano (in toto o in parte) a carico del paziente è più facile che la povertà spinga le persone a non curarsi o a interrompere la terapia dopo i primi mesi e i primi segni di miglioramento. Ma questo non fa altro che favorire la diffusione della malattia.
«La diffusione della tubercolosi multi-resistente è un problema di tutti e richiede un’immediata risposta internazionale – conclude Stella Egidi – Oggi abbiamo un’opportunità storica: per la prima volta dopo 50 anni, abbiamo nuovi farmaci che si affacciano sul mercato mondiale, ma dobbiamo agire in fretta se vogliamo rovesciare le sorti dell’epidemia».

Ilaria Sesana