Inesistenti invasioni

Falso allarme e ragioni vere

Fulvio Vassallo Paleologo - 8 Aprile 2014

frontexL’ennesima “sparata” del ministro dell’interno Alfano, che ha paventato il rischio che 600.000 migranti, attualmente in Libia, possano “invadere” l’Italia, ribadendo ancora una volta la necessità di “difendere le frontiere europee”, è stata rapidamente etichettata come una mossa elettorale. Un tentativo di sottrarre consensi su questo terreno alla Lega, che ancora rivendica i respingimenti verso la Libia ordinati da Maroni nel 2009 e poi condannati dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel 2012. Dietro le dichiarazioni di Alfano si celano però le contraddizioni di fondo che caratterizzano non solo la posizione del ministro, ma la politica estera ed interna del governo Renzi e del partito democratico in materia di asilo ed immigrazione.
A livello europeo Alfano e, in altre occasioni, Renzi, invocano il sostegno dell’Europa, e dunque le missioni dell’agenzia Frontex, anche perché il costo dell’operazione Mare Nostrum nelle acque del Canale di Sicilia, (oltre dieci milioni di euro al mese) appare ormai insostenibile, e soprattutto perché il meccanismo di preidentificazione di polizia a bordo delle navi e la funzione “dissuasiva” che si voleva attribuire alla missione sono evidentemente falliti, di fronte alla nuova dimensione delle partenze dalla Libia. Queste partenze si concentrano su poche giornate ma con un numero elevatissimo di migranti, in modo da costringere le navi militari a sbarcare a terra, prima possibile i naufraghi raccolti in mare, nel porto di Augusta (Siracusa), e adesso anche nei porti di Pozzallo (Ragusa) e Porto Empedocle (Agrigento).
Quando però l’Europa tenta di proporre operazioni Frontex su larga scala, insistendo sulla necessità di un comando unificato e di regole condivise sulle modalità d’ingaggio e sui luoghi di sbarco, i paesi della sponda nord del Mediterraneo (Spagna, Italia, Malta, Grecia, Cipro) si “sfilano” per il timore di perdere la propria “sovranità” su rapporti con i paesi di transito che sono già regolati con accordi bilaterali, che oltre all’immigrazione toccano temi cruciali come il fabbisogno energetico e le forniture militari. La stessa Unione Europea, al suo interno, sconta altre contraddizioni, derivanti sia da questa spaccatura, che dalla difficoltà, per non parlare di impossibilità, di adottare linee guida generalmente condivise per lo svolgimento delle operazioni Frontex. La Task Force nominata dalla Commissione Europea, dopo le stragi di ottobre dello scorso anno, non è riuscita a concludere i suoi lavori con una proposta operativa che fosse in grado di essere condivisa dal Parlamento e dal Consiglio, ed il lavoro degli “esperti” di Bruxelles sembra destinato a rimanere l’ennesima esercitazione di scuola sul difficile rapporto tra il diritto internazionale del mare (che impone di trasferire in un luogo sicuro, anche dal punto di vista “normativo”, le persone salvate in mare) e le politiche dei paesi più forti dell’Unione Europea, che puntano sugli Accordi di partenariato con i paesi di transito per trasferire su questi, in cambio di qualche facilitazione sui visti per i propri cittadini, oltre che di agevolazioni negli scambi commerciali, l’onere di bloccare i migranti in transito, ormai per la quasi totalità potenziali richiedenti asilo, prima che possano partire verso l’Europa.
La politica di controllo delle frontiere, che si vorrebbe continuare a gestire a livello nazionale, ma con un contributo economico più consistente da parte dell’Unione Europea, impatta così con il bisogno di passaggio, con la necessità vitale dei migranti, intrappolati ed abusati nei paesi di transito, di raggiungere l’Europa. Una contraddizione che non è solo di Alfano ma che ha caratterizzato la politica estera dell’intero centro-sinistra in questi ultimi anni, se si pensa che gli accordi con la Libia sottoscritti da Berlusconi nel 2008 erano stati preceduti dalla rimozione dell’embargo contro quel paese, fortemente voluta da Prodi quando era alla Commissione Europea, e dai Protocolli operativi sottoscritti nel dicembre del 2007 da Amato con il ministero dell’Interno libico, protocolli operativi che furono recepiti integralmente nel successivo Trattato di amicizia Italia- Libia del 2008. E sono ben documentate le iniziative di uomini come Massimo D’Alema e Gianni De Gennaro che, negli anni del governo Prodi, lavorarono assiduamente per intensificare la collaborazione tra la polizia libica e quella italiana allo scopo di contrastare quella che definivano come immigrazione illegale, anche quando era evidentemente composta da richiedenti asilo e soggetti vulnerabili come donne e minori non accompagnati. All’art. 5 del protocollo Amato si prevedeva espressamente che «qualora si raggiungessero accordi con Frontex per considerare l’impegno bilaterale italo-libico nell’ambito dell’azione di contrasto dell’immigrazione clandestina di interesse di tutta l’Unione Europea, saranno in quella sede definiti i necessari accordi per il successivo finanziamento delle operazioni di pattugliamento marittimo condotte congiuntamente dall’Italia e dalla Gran Giamahiria (lo stato libico)».
E sulla stessa linea si continuava a collocare con il governo Monti il ministro Cancellieri, che il 3 aprile del 2012, a Tripoli sottoscriveva un verbale d’intesa con il suo omologo libico, senza neppure un cenno alla presenza di potenziali richiedenti asilo. Mentre la Libia continuava a non aderire alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati e replicava con fastidio che si trattava di questioni interne non appena qualche politico europeo in visita in quel paese accennava alla presenza dei migranti che vi transitavano in fuga da guerre civili e regimi dittatoriali. Ma con quegli stessi regimi la Libia di Gheddafi e le tante Libia di oggi continuano ad avere ottimi rapporti. Con buona pace dell’Europa e del governo italiano.
Le dichiarazioni di Alfano hanno poi evidenziato una contraddizione stridente sul piano interno, ed anche in questo caso è una contraddizione che caratterizza l’intero governo Renzi. Mentre si paventa l’arrivo di centinaia di migliaia di migranti dalla Libia, in realtà ne stanno arrivando soltanto alcune migliaia, come negli anni precedenti, si pensi al 2009 ed al 2011 senza fare statistiche di comodo solo sugli ultimi due anni, non si struttura un sistema stabile di prima accoglienza e non si forniscono le coperture finanziarie per i progetti dei centri Sprar già approvati che avrebbero dovuto partire il primo aprile 2014. Nella circolare del ministero dell’Interno n. 2204 del 19 marzo 2014 si invitano addirittura i Prefetti a non programmare impegni di spesa per i centri di accoglienza straordinaria (Cas), i vecchi Cpa della Legge Puglia del 1995, oltre il 30 giugno 2014. Cosa si attende che succederà dopo? Che questa estate improvvisamente i migranti vengano tutti arrestati dalle guardie libiche prima di potersi imbarcare per l’Italia? Che le condizioni di violenza che subiscono in Libia li convincano a ritornare indietro, magari ricorrendo al cd. reimpatrio assistito gestito dall’Oim? Appare davvero improbabile che le missioni Eubam per l’addestramento dei poliziotti libici, anche in Italia, e la cessione di tecnologie e mezzi militari possa sortire questo risultato, che condannerebbe migliaia di persone ad altre violenze e ad altri abusi. Tra qualche mese, ma saranno passate le elezioni, i migranti continueranno a fuggire dalla Libia e saremo di nuovo al collasso dell’intero sistema di accoglienza italiano, e sapremo anche chi ne sarà responsabile. Ma sarà ormai troppo tardi per evitare che i “trattamenti inumani o degradanti” vietati dall’art. 3 della Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, siano inflitti ai migranti, oltre che in Libia anche nel nostro “civilissimo” paese. Che sta estendendo la pratica del trattenimento amministrativo anche nei confronti dei richiedenti asilo, imbarca agenti libici a bordo delle navi di Mare Nostrum, forse in vista di futuri respingimenti, e cerca sempre nuovi partner tra i regimi dittatoriali, per stipulare accordi di riammissione, come nel caso del Gambia, per tentare di rimpatriare alcune centinaia di richiedenti asilo denegati.

Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo