Paure e dintorni

Noi, il diavolo e i barbari

- 15 Aprile 2014

diavoloDonne, stranieri e diversi: quando l’altro è demonizzato: un missionario riflette sulla lunga storia, che si prolunga oggi, in tempi di globalizzazione, nel creare rigide frontiere ai popoli ma anche al bene e al male.

È opportuno chiarire subito che quello di Luigi Schiavo, L’invenzione del diavolo (Emi, 256 pp., 15 euro), pur uscendo nella collana Antropolis (diretta da Marco Aime), è un libro che ha il suo centro nella tradizione biblica e cristiana. Eppure il sottotitolo Donne, stranieri e diversi: quando l’altro è demonizzato non è ingannevole perché, come dice l’autore: «principale chiave di lettura è il concetto di rappresentazione sociale, strumento di codificazione simbolica dell’esperienza del male e del negativo, essenziale per la definizione dell’immaginario collettivo delle società e del loro linguaggio comune». Lettura comparata delle religioni dunque, incrociata con le scienze antropologiche e sociologiche.
Ovviamente per Corriere delle migrazioni è soprattutto interessante l’analisi di come e perché scatti la logica (“l’invenzione” come suggerisce il bel titolo) della demonizzazione. Così questa recensione sceglie di partire dal quinto capitolo, “Patriarcalismo e iniquità di genere: la demonizzazione della donna”.
Una donna “ovviamente” demoniaca dunque, perché “uno degli elementi costanti è la presenza della donna al fianco del diavolo”. Malvagie o deboli, comunque “troppo belle” (tanto da riuscire a tentare anche gli angeli), impure a causa delle mestruazioni, le donne devono essere escluse dal sacro. Anche per favorire il passaggio da una società matriarcale a una patriarcale (tema su cui forse l’autore avrebbe dovuto dirci qualcosa in più). Ne consegue un’assurda misoginia con conseguenze terribili per tutte le donne, fino ad oggi. Ovviamente in gioco è il totale controllo della sessualità.
Non solo la Bibbia: il Nuovo testamento segue la stessa linea, descrivendo la pericolosità della donna. A conclusione del capitolo, Luigi Schiavo spiega che demonizzare la donna non è solo pregiudizio sessuale e culturale, come molti ingenuamente o pretenziosamente affermano. È vera e reale imposizione di un progetto sociopolitico, un’autentica colonizzazione culturale, sociale e politica, incapace di costruire relazioni basate su equità, giustizia, reciprocità.
Su questa base si può passare a cercare (anzi trovare) il diavolo in ogni diversità e alterità: vedremo che il fatto di attribuire a qualcuno di esterno l’origine dei mali individuali e collettivi è in relazione con la difficile integrazione e assimilazione della diversità nella società. Ed è anche estremamente comodo per evitare di porsi interrogativi inquietanti, come ben mostra il meccanismo del “noi e gli altri” che domina l’informazione italiana (e non solo) rispetto alle persone migranti. In questo capitolo Schiavo è bravo ad affrontare i temi difficili dell’oggi, a partire dall’identità e dall’omogeneità. Sul passaggio successivo – il multiculturalismo – è utile una lunga citazione. «Un altro problema connesso con la diversità – scrive l’autore – è il multiculturalismo come ideologia propria della globalizzazione. Se da un lato questo concetto esprime l’idea di pluralismo culturale, dall’altra rivela la sua profonda ambiguità, essendo a servizio del mercato. Il capitale globalizzato esalta la diversità, come necessità di produzione e di espansione. Attaccando le basi comunitarie delle identità tradizionali, promuove ogni tipo di identificazione individualizzata per soddisfare le necessità prodotte. Il risultato di questo processo sostitutivo è la resistenza delle identità tradizionali al processo globalizzante e l’emergere di un conflitto fra identità. La globalizzazione dissolve le differenze fra le culture distruggendo le culture subalterne».
Si può essere d’accordo del tutto o solo in parte ma è innegabile che il ragionamento di Schiavo, articolato nelle pagine successive, sul multiculturalismo “come ideologia del capitalismo” va a toccare uno dei punti più delicati dello scontro politico, culturale e religioso dell’oggi.
Da qui il libro si avventura rapidamente – forse troppo – ad affrontare anche le questioni legate al “sessualmente diverso”, ovvero a tutto ciò che non si riconosce nel modello dominante “eterosessuale” (maschio e femmina). Non esita a schierarsi Schiavo, e conclude: «la diversità sessuale, oltre a proporre alla riflessione il tema dell’altro e dell’alterità, è una questione di democrazia e di difesa della pluralità».
Le pagine seguenti tornano sulla definizione dell’altro («qualcosa che è al di là») e sulle diverse opzioni per negarlo o costruire una relazione. Un ragionamento che si amplia nel capitolo successivo sulle “conseguenze sociali del mito del diavolo”. Ed ecco “l’altro” che può semplicemente stare di fronte oppure essere diverso, sconosciuto, nemico, costituire la sfida. Di nuovo Luigi Schiavo evita di fingere una neutralità e parla di «una terribile malattia che, soprattutto in passato, acceca molte persone: l’identità ovvero il rifiuto dell’altro. Saltando avanti e indietro nel tempo – le guerre sante proclamate da Bush e da Saddam, ma anche la secolare caccia alle streghe – questo capitolo affronta il delicatissimo tema della «rappresentazione di una unica divinità come uomo, maschio, bianco, anziano». Se esiste un popolo eletto allora i popoli non sono eguali davanti a Dio, non hanno gli stessi diritti: «Non si può dimenticare che la teologia dell’elezione è all’origine dell’imperialismo, del colonialismo, delle conquiste, del proselitismo missionario e del patriarcato».
Le radici del razzismo non si trovano però solamente nella religione e Luigi Schiavo cita a esempio l’agghiacciante voce “negro” della Encyclopaedia Britannica (del 1798) dove fra l’altro si legge: «i vizi più noti di questa razza infelice […] ozio, tradimento, vendetta, crudeltà, impudenza, furto, falsità, linguaggio volgare, dissolutezza, meschinità e intemperanza. Con ogni evidenza «la diversità è sinonimo di perversità». Poco dopo Schiavo spiega che «il risultato» di tutto questo fu la riduzione in schiavitù degli africani: come razza inferiore potevano essere schiavizzati». Si potrebbe anche sostenere il processo logico contrario: avendo bisogno di schiavi quella società ha deciso che altri esseri umani erano bestie in modo da usarli senza dubbi o rimorsi. La conseguenza? «Mai nella storia umana un continente ha approfittato in una maniera così sistematica della vita umana esistente in un altro continente. Con la distruzione dei popoli originari latinoamericani, quello dei neri è stato certamente uno dei più grandi genocidi della storia dell’umanità».
Molto è cambiato oggi, eppure «la demonizzazione è più presente che mai», in forma di «mixofobia» (paura della mescolanza) o della barbarie che preme alle porte. Non a caso, nelle conclusioni, Luigi Schiavo ricorda che se i barbari (come i demoni) non sono all’orizzonte, il potere ha bisogno di costruirli. Così scriveva, nel 1904, il poeta Konstantinos Cavafis: «è scesa la notte e i Barbari non arrivano. / E della gente è venuta dalle frontiere dicendo / che non ci sono affatto Barbari… / E ora, che sarà di noi senza Barbari? / Loro erano comunque una soluzione».
Ma un’altra soluzione Schiavo sa indicarla e il libro si conclude così: «Dalla piccola comunità di persone che si conoscono, rispettano e amano, fino alla comunità pluralistica, ecumenica ed ecologica: è questo il sogno di un mondo senza diavolo e senza barbari».

Daniele Barbieri