La salute degli immigrati

Numeri e dati

- 15 Aprile 2014

Rispetto ad altri temi quello fra migranti e salute non è uno dei più investigati. Una delle ricerche quantitative più approfondite e citate è l’indagine ricognitiva dell’Istat del 2005 Salute e ricorso ai servizi sanitari della popolazione straniera residente in Italia e pubblicata nel 2008. Recentemente è stato pubblicata una ulteriore ricerca, uscita il 30 gennaio 2014 ma che fa riferimento agli anni 2011-2012 che aggiorna in parte alcuni dati. Un po’ migliore è la situazione se si vanno a ricercare studi qualitativi soprattutto in ambiti territoriali. Rimane il fatto però che su base nazionale i dati, o per meglio dire i numeri, che ci raccontano del rapporto tra migranti e accesso ai servizi sono riconducibili al 2005 e parzialmente al 2011-12.

Per quanto i migranti abbiano la sensazione di essere in buone condizioni di salute, maggiormente tra i cinesi (90,2%), i filippini (90,2%) e gli indiani (88,8%) rispetto agli italiani (83,5%) si ha comunque un accesso maggiore alle cure registrato con il passare degli anni. In parte è dovuto al fatto che il così detto effetto migrante sano, per cui chi migra tendenzialmente è più giovane e forte, si scontra durante il percorso migratorio con difficili condizioni di sopravvivenza sul territorio ospitante. Infatti, da come si può leggere dalla ricerca Vivere Insieme: quarto Rapporto sull’immigrazione e i processi di inclusione in provincia di Arezzo a cura di L. Luatti, G. Tizzi, e M. La Mastra del 2012, all’allontanamento progressivo del quadro di riferimento d’origine che rendono l’individuo più fragile, si associano condizioni sfavorevoli nel paese d’arrivo.

Attualmente tra i migranti, i dati aggiornati del 2014 ci dicono che le patologie maggiormente diffuse sono: quelle dell’apparato respiratorio (65,4 stranieri ogni mille), quelle dell’apparato digerente e dei denti (20,2 per mille), quelle relative al sistema nervoso (19,8), infine quelle del sistema osteomuscolare (15,5).

Come nel 2005, i migranti accedono alle cure mediche spesso tramite il pronto soccorso. Vi è, rispetto agli autoctoni, un uso maggiore anche dei consultori e dei reparti legati alla maternità o alle interruzioni volontarie di gravidanza. Ma complessivamente il ricorso dei migranti ai servizi sanitari è minore rispetto agli italiani. Minori sono le visite mediche e gli accertamenti diagnostici. Dai dati del 2005 si può vedere che il 18,4% contro il 24,6% per gli italiani ha effettuato una visita medica nelle quattro settimane precedenti l’intervista, e il 6,8% contro il 9,6% accertamenti diagnostici. Anche se i dati numerici ormai paiono vecchi non ci sono stati cambiamenti in questi dieci anni. Attualmente i migranti che ricorrono maggiormente alle cure urgenti sono 70 su mille degli stranieri non comunitari, rispetto ai 57 su mille dei comunitari. Tra questi sono i tunisini e i marocchini ad accedere maggiormente a tali cure. Per contro, coloro che ne fanno meno uso sono alcune comunità asiatiche, tra cui i cinesi.

Per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri, dall’ultima ricerca sul biennio 2011-2012 vi hanno fatto ricorso circa 29 cittadini stranieri su mille nei tre mesi precedenti l’intervista. Nel 95,3% il ricovero si ha in strutture pubbliche. Le cause dei ricoveri sono da ricondurre al parto e la nascita (30% del totale e 44% dei ricoveri effettuati dalle donne). Seguiti dai ricoveri per cure mediche (20,8%), per accertamenti e controlli dello stato di salute (15,6%) e quelli per interventi chirurgici (19,1%). Nella ricerca si legge che «È interessante notare che una quota pari al 954 su mille ha dichiarato di non averne avuto bisogno, mentre 5 su mille non si sono ricoverati perché impossibilitati a farlo, malgrado ne avessero avuto bisogno, con una incidenza doppia nel Mezzogiorno (10 su mille)». Ma lo studio non fa luce sulle ragioni di tali impossibilità.

Sappiamo però che ancora oggi ci sono delle fasce di popolazione migranti che hanno problemi ad interagire con la sanità pubblica. Oltre il 13,8% dichiara di non riuscire a spiegare in italiano i propri problemi e si arriva al 14,9% di coloro che non capiscono quello che il medico gli dice. Fra coloro che soffrano maggiormente questa situazione ci sono chi è arrivato da minor tempo. Sono infatti circa 28,8 color che arrivati dopo il 2008 hanno questo problema, ma la percentuale cresce al 34,7% per le donne. Sono infatti le donne, insieme agli over 55 anni, ad avere quindi difficoltà ad interagire con il personale medico.

Indicativo che tra le nazionalità che maggiormente registrano queste difficoltà di relazione ci siano proprio i cinesi (43%), gli indiani (34,8%) e i filippini (28,7%) che sono contemporaneamente coloro che dichiarano di sentirsi in migliori condizioni di salute. Lo svantaggio linguistico è di un terzo degli intervistati tra coloro che hanno un titolo di studio elementare. Rimane evidente quindi che il diritto all’accesso alle cure mediche trova a tutt’oggi degli ostacoli qualora il migrante non parli correttamente la lingua italiana. Anche se l’analisi Istat non mette in rilievo l’aspetto dei servizi offerti dalle Usl. È nel rapporto già citato su Arezzo che si parla apertamente di come, data la crisi economica, il servizio sanitario non sia andato verso un miglioramento delle offerte ma, data la diminuzione dei fondi a disposizione, si siano a malapena conservati quelli preesistenti.

Sempre l’Istat mette in rilievo invece le difficoltà che i migranti hanno nel confrontarsi con l’aspetto burocratico e organizzativo della sanità pubblica. Il 12,9% degli stranieri dichiara di avere difficoltà a espletare le pratiche burocratiche necessarie all’accesso ai servizi. Le comunità che si trovano maggiormente a disagio risultano ancora quella cinese (20,1%), quella indiana (19,3), quella marocchina (17,8%) e quella filippina (15,1%). Mentre le difficoltà linguistiche diminuiscono percentualmente con il permanere sul territorio, i problemi legati alle pratiche burocratiche amministrative rimangono costanti nel tempo. Altra situazione critica riguarda gli orari di accesso alle prestazioni. Risulta che siano incompatibili con gli orari di lavoro per ben il 16% degli stranieri. Questo potrebbe in parte spiegare perché tra i migranti ci siano poche richieste di visite diagnostiche, preferendo rivolgersi in situazioni acute direttamente ai servizi d’emergenza (pronto soccorso e guardia medica).

Infine, per quanto riguarda gli atteggiamenti discriminatori, che possono condizionare l’accesso alle cure, il 2,7% dei cittadini stranieri con più di 15 anni di età ha dichiarato di aver subito discriminazioni, solo perché straniero o di origini straniere. A questo dato va inoltre aggiunto come la talvolta ci sia un ampio margine di discrezionalità rispetto alle informazioni date. Come si sottolinea nel sopracitato rapporto, infatti, si è creata in Italia una situazione per cui in taluni casi si verifica che «Nonostante un quadro normativo sostanzialmente adeguato, le aziende erogatrici di servizi sanitari, e più specificatamente il personale addetto all’assistenza, alla redazione e alla distribuzione, non ha ancora distribuito in modo capillare le informazioni. Da ciò deriva una notevole disparità di trattamento fra italiani e persone di origine straniera, e fra le diverse località e servizi italiani: ogni ospedale, e a volte ogni singolo operatore, si comporta in modo differente, creando una variegata tipologia assistenziale, dalla piena assistenza, al totale rifiuto all’assistenza».

A ben vedere però, quello che maggiormente emerge è che negli ultimi 10 anni presi in considerazione, mettendo a confronto le due indagini Istat, è quanto la situazione sia poco cambiata. I tagli alle spese sanitarie, inoltre, fanno presagire che si corre il rischio serio di un peggioramento causato anche dal prevedibile aggravamento delle condizioni di vita di chi è già in una situazione di fragilità economica e sociale.

Francesca Materozzi