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Buon 25 aprile!

- 24 Aprile 2014

111925808-9d0aa1d3-0fc5-42b9-b342-46ea727c0d6bE un giorno succede una magia. Inattesa, come un profumo lieve, di fioritura, in una nebbiosa stagione d’autunno. Lo sapevo, ma lo avevo dimenticato, o meglio, pensavo lei se ne fosse scordata. E invece, sepolta sotto la prima coltre leggera del magazzino della memoria essa era ancora intatta.
C’era il sole a Piadena quel 30 marzo. La gente arrivava come un fiume che si infila nel mare. Si allargava a macchia prendendo spazio nel tendone, nel boschetto, vicino al recinto delle capre e delle galline.
Era il giorno di festa della Lega di culture di Piadena. Già dall’inizio della mattina “Il Micio” girava indaffarato con indosso la maglietta “Padrone di niente, servo di nessuno”. E assieme a lui i tanti che hanno accolto l’eredità della “Genia”, la madre del Micio, che tanto ha fatto per portare avanti La lega di Cultura di Piadena.

L’emozione è stata tanto grande al punto da avermi fatto scordare se sia avvenuto prima o dopo il pranzo. Arriva la banda, una banda strana. Tutti con la giacca e i pantaloni blu. Tutti con la divisa.
Come tutte le bande, ma è formata da un gruppo molto eterogeneo. Nel mezzo, fianco a fianco, spiccano un ragazzo con i dread rasta lunghi fino al sedere e un anziano con i capelli candidi e gli occhiali scuri, che suonano, vicini vicini, braccio contro braccio. Mia figlia, di quattro anni, a cavallo sulle spalle di mio marito, guarda tutta incuriosita. La banda si mette a suonare e l’aria si riempie di euforia. Segue un canto, poi un altro e infine l’attacco di quel canto, la banda suona Bella Ciao. Sollevo lo sguardo per posarlo su mia figlia. Canta anche lei. Lei, la mia bambina, mia e della mia terra, l’Etiopia, canta Bella Ciao. Mi giro, a fianco a me Giuseppe Morandi, assieme al grande “Il Micio”, anima della Lega di cultura di Piadena. Mi metto a piangere e lui pure. Ci abbracciamo.
Solo più tardi, nella giornata ho potuto ripercorrere la memoria. Bella Ciao gliel’aveva insegnata la sua maestra del nido, che suonava la fisarmonica. Così, una volta arrivata a Bologna, le ho telefonato per raccontarglielo. Si è messa a ridere. «Sai è l’unica che so fare con la fisarmonica. Non so suonare altro. Pensa che un anno abbiamo avuto a scuola un bambino pakistano che parlava poco l’italiano. Amava la fisarmonica e io per fargli piacere la portavo a scuola e un giorno che l’ho scordata a casa lui mi è corso incontro, sulla porta della scuola, e tutto allarmato mi ha chiesto “Perché oggi non hai portato ‘La bella ciao’?».

Gabriella Ghermandi