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6 maggio 1687

Daniele Barbieri - 6 Maggio 2014

code noir«LUIGI» (anzi LOUIS) tutto maiuscolo è la prima parola del «Codice nero», 60 articoli presentati a Versailles nel marzo 1685 da Luigi XIV di Francia. Sotto la firma del re c’è il nome del ministro Colbert e ancora «visto: Le Tellieer. E sigillato con il grande sigillo di cera verde con lacci di seta verde e rosso». Due anni dopo, il 6 maggio 1687, sarà «pubblicato e registrato», al fine di «renderlo esecutivo secondo forma e tenore», e consegnato «al Consiglio Sovrano della Costa di Santo Domingo».
Sotto il titolo «Codice nero» si legge dunque una «Raccolta di editti, dichiarazioni e decreti riguardanti la disciplina e il commercio degli schiavi negri delle isole francesi dell’America».
Un documento sconvolgente fin dal primo articolo che ingiunge «di cacciare fuori dalle nostre isole tutti gli ebrei che vi hanno stabilito la loro residenza […] ai quali, come nemici dichiarati del nome cristiano, noi ordiniamo di andarsene entro 3 mesi […] sotto pena di confisca del corpo e dei beni».
Il secondo articolo spiega: «Tutti gli schiavi che saranno nelle nostre isole saranno battezzati e istruiti nella religione cattolica, apostolica e romana». E siccome gli schiavi sono cristiani, con splendida falsa coerenza, li si esenta dal lavorare «i giorni di domenica e di feste che sono osservati dai nostri sudditi di religione cattolica, apostolica e romana».
Il pedantissimo «Codice nero» va avanti fino all’articolo XIV a parlare di matrimoni, battesimi e funerali. Poi una serie di proibizioni per gli schiavi (riunirsi, vendere canna da zucchero, ecc). Dall’articolo XXIII qualche divieto e obbligo – poca roba – anche per i padroni. Dettagliato il punto XXXVIII: «Lo schiavo fuggitivo […] avrà le orecchie tagliate e sarà marchiato con un fiore di giglio sulla spalla; se recidivo […] gli si taglierà un garretto […] la terza volta sarà punito con la morte». Essendo gli schiavi «beni mobili» – articolo XLIV (cioè 44, per chi non ha consuetudine con i numeri romani) – ci sono molti articoli che regolamentano eredità, sequestri, nascite, processi… Un capolavoro di ipocrisia (anche gli schiavi hanno un’anima, come si è visto) nell’articolo LIV che inizia così: «Ingiungiamo ai guardiani nobili e borghesi, usufruttuari, mediatori e altri […] di governare i suddetti schiavi come buoni padri di famiglia». Se poi qualche padrone decide, in vita o in morte, di «affrancare» gli schiavi può farlo.
L’edizione italiana del «Codice Nero» dalla quale ho ripreso le citazioni è quella, datata 1993, di Nova Cultura Editrice, temo ormai introvabile; in appendice il «primo racconto di un viaggio di tratta francese; il Saint-Francois (1671-1672)» e in apertura una interessantissima premessa – che trovate qui sotto – di Gianni Tognoni, segretario del Tribunale permanente dei popoli. La copertina di questo libretto mostra due belle seggiole di epoca Luigi XV che vanno messe in relazione con il disegno di una maschera di ferro messa «attorno alla testa degli schiavi per evitare loro di evadere»: ieri molti preferivano dimenticare che quel lusso era strettamente legato agli schiavi, oggi è vietato dire – persino pensare – che non c’era (e non c’è) grande ricchezza senza sangue e sfruttamento. Tanti ma invisibili gli esseri umani schiavizzati: e se guardate bene la prima e la quarta di copertina del libro noterete che sono “incorniciate” da decine di schiavi, incatenati e accatastati l’uno sull’altro, come in effetti erano sulle navi. Non è un passato remoto e qui  Gianni Tognoni ci invita a trovare il legame strettissimo fra i «Codici neri» e le politiche del neoliberismo.