Fenomeni

Piccoli Chen crescono

Francesca Materozzi - 6 Maggio 2014

bambinicinesi1Gli scontri generazionali tra padri e figli sono una costante di ogni luogo ed epoca ma quello che sta avvenendo a Prato, tra i giovani cinesi e i loro genitori, potrà determinare il futuro stesso della città. Così sostiene Giorgio Bernardini nel suo primo libro Chen contro Chen ed. Round Robin, 2014giornalista marchigiano che da qualche anno vive e lavora a Prato. L’autore con sapiente abilità narrativa e rara sensibilità, ha saputo leggere una realtà che fino ad ora era sfuggita ai più: quella della “guerra” in atto tra le nuove generazioni (i nuovi Chen) e i genitori (i vecchi Chen) che appena un paio di decenni fa si stabilirono a Prato. Per poterlo raccontare, Bernardini, lo inserisce all’interno del contesto in cui questo conflitto si è sviluppato. Partendo dal suo lavoro di cronista, muovendosi nelle pieghe della quotidianità, andando a ritroso nel tempo e sfruttando le ricerche sociologiche che negli anni sono state redatte, riesce a farci partecipi di una realtà poliedrica e sfaccettata. Il risultato è l’affresco di una città, delle persone che l’hanno abitata, delle politiche attuate che va ben oltre l’argomento stesso del libro, offrendoci interessanti chiavi di lettura. Lo abbiamo incontrato in un caffè in una via periferica della città toscana, tranquillo, affabile, molto sicuro di sé e del proprio lavoro. Ci ha raccontato perché tale guerra è tanto importante proprio per gli autoctoni. A seconda di chi la vincerà si deciderà del tipo di convivenza e forse della permanenza stessa della comunità cinese in città.

Come è nato il tuo libro?

«Tempo fa mi chiesero di scrivere un libro che parlasse del rapporto tra pratesi e i cinesi, e io non accettai. Non mi interessava affrontare il discorso sulla pratesità e sui conflitti tra comunità autoctona e quella asiatica. Invece, lavorando nella vita reale, nel mio ruolo da cronista, mi sono reso conto che c’era un altro conflitto, interno alla comunità cinese, che non era mai stato raccontato: era quello tra padri e figli».

Cosa rende questo scontro diverso e più interessante rispetto agli altri?

«A Prato c’è la particolarità che il conflitto che va in scena tra le due generazioni, se pur di migranti, determinerà, per numeri e per fenomenologia, il futuro di questa città. Se l’uno o l’altra parte vince culturalmente, cioè se vincono i piccoli Chen che vogliono restare in Italia o i grandi Chen che se ne vogliono andare, il risultato di questo conflitto determinerà il futuro di tutti coloro che ci vivono».

In che maniera lo determinerà? Ad oggi si è spesso parlato di un distretto parallelo, posto in essere dalla comunità cinese, che influiva sull’economia locale. Quali sono i cambiamenti che stanno avvenendo?

«Il distretto parallelo esiste ma non esiste. Nel senso che esiste un distretto illegale, ma poteva esistere anche anni fa, quando gli italiani stessi facevano il loro “nero”. Per me questo sistema di illegalità potrà essere abbattuto se vincerà l’esercito dei “piccoli Chen”. La maniera più semplice di stare alle regole è tenere al territorio in cui si vive. E questo molti “grandi Chen” non ce l’hanno perché il loro progetto di vita prevede di tornare in Cina. Mentre la nuova generazione, quella che è nata o cresciuta qui, è formata da persone che pensano al loro futuro a partire da qui. Loro possono avere un interesse al territorio e alla legalità, perché è qui che vogliono vivere».

Oltre alla voglia di vivere la propria vita in Italia o in Europa, sembra che i piccoli Chen mal tollerino anche l’eccessivo attaccamento al lavoro dei genitori. È così?

«Sì, molti giovani rimproverano ai genitori di essere lontani da casa e di dedicare tutto il loro tempo al lavoro. Addirittura gli rimproverano di essere venuti in Italia, dove loro vogliono restare. Si domandano perché sono dovuti venire in Italia a fare una vita tanto sacrificata. Questo rimprovero viene espresso in maniera silente, perché hanno questo concetto di pietà filiare, non religioso ma culturale, che è molto forte. Sono conflitti espressi in maniera sempre molto rispettosa nei confronti dei genitori. Il loro è un risentimento muto che spesso viene sfogato a scuola, nei temi, in cui si raccontano».

Nel tuo libro si parla di alcune falsità raccontate sui cinesi. Affermi che è sbagliato parlare di schiavitù. Nell’incendio del primo dicembre persero la vita sia i laoban (i padroni) che i dipendenti. Di fatto sembrerebbe che non c’è una differente condizione di lavoro tra imprenditori e operai?

«Erano i padroni di fatto e non formali della ditta, però è vero: non c’è una grande differenza tra i laoban e gli operai. Non c’è una schiavitù. Ma c’è una volontà, che è poi quello che rimproverano i piccoli Chen ai grandi Chen, che è quella di volere una arrampicata sociale, di fare molti soldi. Hanno una grande fame con la quale sia i laoban che gli operai si motivano per lavorare così tante ore. L’operaio non si percepisce come tale ma come imprenditore in divenire. Magari non solo in Italia ma anche in Cina, dove sperano di tornare con i soldi che riescono a fare qui».

Questo il vecchio Chen, e il nuovo Chen?

«Il nuovo Chen è totalmente diverso dal padre. Fa altro: studia, sogna di viaggiare e di andare in Europa. Vuole vivere a Prato e cerca di convincere il padre a comprare casa qui. Biasima il padre perché lavora troppo. Il nuovo Chen ha una prospettiva completamente diversa e non vuole passare la vita a lavorare».

Quando i genitori hanno deciso di andarsene dal loro paese di origine, comunque hanno creato uno strappo con la loro cultura di origine, se pur involontario. Cosa rimproverano oggi ai figli?

«Per i genitori l’indipendenza economica è legata anche all’indipendenza culturale, che era necessaria per raggiungere un ascesa sociale che altrimenti non sarebbe stata possibile in patria. Se pure la Cina ha una crescita economica impressionante, senza un capitale iniziale è difficile avviare la propria impresa. Per i figli il distacco culturale è stato ancora più forte. Malgrado i genitori si impegnino affinché la cultura della propria terra permanga, nei figli, di fatto, si ha un affrancamento quasi totalmente rispetto alla cultura di partenza. Sono diversi nei loro sogni nel loro modo di essere ma anche di amare. E i genitori la vivono come una difficoltà. Non capiscono».

La Cina è diventa una potenza mondiale. Economicamente tra l’Italia e la Cina, la nazione che in prospettiva ha più opportunità è la Cina. Solitamente si emigra nel paese ricco e non in quello povero. Allora perchè i nuovi Chen non sognano di ritornare in Cina dove le prospettive economiche sono migliori?

«C’è un American dream cinese che i vecchi Chen evidentemente vogliono vivere in Italia. In un paese che cresce meno velocemente ma che in realtà offre maggiore possibilità di elevarsi economicamente. Per i figli, invece, il punto è elevarsi socialmente. Di questo parla il mio libro: di un modello economico vincente, ma di un modello sociale perdente. Perché i vecchi Chen non riescono a trarre i benefici di questo modello economico. Né in patria né qui. Io sostengo che i figli hanno capito questa differenza e preferiscono un modello sociologicamente vincente, culturalmente appagante, piuttosto che una ricchezza raggiunta velocemente».

Francesca Materozzi