Palermo

Favour, Loveth e le altre

Luca Insalaco - 21 Maggio 2014

La targa in memoria di Loveth(3)Sono sempre davanti a noi, con i loro corpi mercificati, offerti al migliore offerente. Le donne invisibili hanno nomi, affetti e storie, dimenticate o da dimenticare, e sogni di libertà. Quasi sempre inascoltati.
Favour e Loveth erano due di loro. Entrambe uccise tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012. La prima era prossima alle nozze. Il suo corpo è stato trovato carbonizzato nelle campagne di Misilmeri. Il corpo di Loveth, invece, è stato abbandonato in Via Juvara, a due passi dal Palazzo di Giustizia, accanto ai cassonetti della spazzatura, come fosse un rifiuto ingombrante, uno dei tanti, di cui disfarsi in tutta fretta. Nessuno ha visto o sentito niente. Favour e Loveth, come Bose e Jennifer, fantasmi dalla pelle troppo scura per essere visti e ricordati.

Il mercato del sesso rappresenta un’attività lucrosa, movimenta un business che non conosce crisi (a livello europeo si stima che il fatturato dello “human trafficking” sia di 19 miliardi di euro annui). La domanda è in costante aumento. Ecco perché le mafie internazionali vi hanno messo le mani sopra, gestendo la tratta delle schiave. Le comprano e le costringono ad una gabbia la cui chiave per la libertà vale dai 50 ai 70 mila euro, il prezzo da pagare per riscattarsi.
Nigeriane, etiopi, slave: le organizzazioni criminali estere si sono spartite le città italiane con precisione scientifica. Difficile credere che per farlo non abbiano ricevuto il placet dalla mafia locale. Ogni centro ha le proprie zone dedicate, divise per nazionalità e tipologia dei servizi offerti, secondo una logica da ipermercato. A Palermo, ad esempio, le aree storiche sono quelle della Favorita e della Stazione, occupate dalla mafia nigeriana, del Foro Italico e del Porto, presidio dell’Europa dell’Est, oltre ai vicoli del centro storico. Si stima in 500 il numero di ragazze di strada presenti nel capoluogo, alle quali vanno aggiunte quelle che tradizionalmente esercitano in casa. L’età media è sempre più bassa.

Nel capoluogo dell’Isola, ormai da un paio di anni, è attivo il Coordinamento anti-tratta Favour e Loveth, una rete composta da una trentina di associazioni, laiche e cattoliche.
«Le associazioni – spiegano i promotori – portano ognuna i propri differenti linguaggi. L’obiettivo è il contrasto del fenomeno della tratta attraverso varie tipologie di interventi, dall’analisi e lo studio alla sensibilizzazione della cittadinanza, passando per la lotta alle organizzazioni mafiose».
Un ruolo fondamentale lo svolge il Centro Santa Chiara, guidato da Don Enzo Volpe: «Chiariamo subito che non si tratta di prostitute, ma di donne che sono prostituite. Le condizioni di queste ragazze, spesso minorenni, sono di schiavitù, costrette a lavorare anche 14 ore al giorno. Davanti al profitto, che prevale su tutto, anche le comunità straniere presenti sul territorio fanno spesso finta di niente».
Una sera la settimana i volontari del coordinamento raggiungono le ragazze nei luoghi in cui esercitano. Portano loro un pasto caldo, un mazzo di fiori, una parola di consolazione. Molte chiedono preghiere per la loro vita e protezione per i familiari rimasti in patria.

Tante ragazze vorrebbero cambiare vita, riuscire a riscattarsi, ma non sanno come fare. In questi tempi bui, in cui trovare un lavoro è difficile per tutti, per una prostituta lo è più degli altri. Ci sarebbe la possibilità offerta dall’art. 18 del Testo Unico sull’immigrazione, strumento che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per “protezione sociale”. Una via, questa, non sempre percorribile. Ecco perché il coordinamento sta bussando alla porta degli imprenditori del posto. «Abbiamo avviato un percorso di collaborazione con altre realtà associative e in questo modo una ragazza è riuscita a trovare lavoro presso un un esercizio commerciale che aderisce ad Addiopizzo» spiega Pasqua De Candia, del Ciss.
Il rischio pressante è che, in assenza di un contratto di lavoro, le ragazze possano essere espulse e, una volta in patria, reimmesse nel circuito della prostituzione, se non condannate alla reiezione sociale. Occorrerebbe il sostegno delle istituzioni, un supporto che, in clima di austerity, è tavolta puramente simbolico. «Il Comune di Palermo – ricorda De Candia – ha promosso alcuni momenti di sensibilizzazione e di informazione ed abbiamo organizzato diversi incontri di formazione nelle scuole, in collaborazione conl’Ufficio scolastico regionale. Il problema – aggiunge l’operatrice del Ciss – oltre che di risorse, è culturale. Si parla del fenomeno solo dal punto di vista del decoro urbano, senza intervenire sulle sue cause. Per questo abbiamo chiesto una maggiore attenzione sul traffico degli esseri umani e sul tema delle ragazze costrette a prostituirsi». «Quando si parla di persone e di diritti violati non si può parlare di “decoro” – puntualizza l’assessore comunale alla Partecipazione, Giusto Catania, a voler marcare la distanza dalla precedente giunta di centrodestra – Come amministrazione ci stiamo impegnando sia per la presa in carico delle vittime di tratta, sia dal punto di vista pedagogico-culturale».
Resta lo smacco per la memoria offesa di due ragazze che sognavano soltanto una vita normale. Il corpo di Favour Nike Adekunle, dopo il suo rinvenimento, è stato portato all’obitorio dell’Istituto di Medicina Legale di Palermo e lì “dimenticato” in una cella frigorifera per due anni. A Loveth Edward è toccata una sorte diversa. Nel settembre dello scorso anno, nel luogo in cui il suo cadavere era stato abbandonato, l’amministrazione comunale le ha dedicato una targa, legata ad un alberello. Il ricordo della giovane ragazza è durato il tempo di un lamento. Già dopo qualche giorno la sua foto era stata spazzata via. La targa in sua memoria è stata, poi, vandalizzata e divelta, fino alla nuova affissione da parte del Comune, avvenuta qualche settimana fa. Resisterà fino alla prossima pallonata di ragazzini già troppo esperti di vita per interrogarsi sul perché delle foglie.

Luca Insalaco