Scritture meticce

Raccontare l’Africa. All’italiana

Gabriella Grasso - 21 Maggio 2014

hic-sunt-leones-L-11Gianni Biondillo è uno scrittore milanese, architetto di formazione, molto apprezzato soprattutto per i suoi libri gialli. Tra il 2008 e il 2012 è stato in Africa diverse volte a seguito di alcune organizzazioni umanitarie e, in un caso, inviato da un giornale. I resoconti di quei viaggi sono ora raccolti in un volume dal titolo: L’Africa non esiste (Guanda, euro 15).

Devo ammettere che la prima domanda che mi sono posta, davanti a questo libro, è stata: che senso ha, in un mondo dove Internet dà accesso alla cultura di qualunque Paese ed è possibile ordinare online libri in ogni lingua, in un’Italia sempre più mista che ospita tra gli altri anche intellettuali e scrittori che provengono da Paesi africani, affidare a un autore italiano, senza particolari competenze sull’Africa, il compito di parlarci di un Continente che ha visitato solo per brevi periodi? Non sarebbe più credibile, efficace e, diciamolo, meno provinciale tradurre un numero maggiore di scrittori africani, o dare più spazio alla letteratura transculturale, per far conoscere ai lettori italiani realtà diverse dalla nostra? Queste domande restano valide, però il pregiudizio nei confronti del libro si è dissolto quando ho iniziato a leggere. A crearlo, mi sono resa conto, era stato soprattutto il titolo, troppo perentorio per non farmi subito domandare: chi siamo noi europei, noi italiani, per dire cos’è e cosa non è l’Africa, per dichiarare o negare la sua “esistenza”?

Il testo, invece, rivela l’onestà intellettuale dell’autore. Che lo dichiara subito, nell’introduzione: questi sono solo “appunti di viaggio”. E infatti Biondillo non pretende di spiegare nulla ma, semplicemente, racconta. Lo spaesamento di passeggiare per Asmara, in Eritrea, immerso in un paesaggio urbano familiare: «Sono sulla Harnet Avenue (già viale Mussolini), a migliaia di chilometri da casa, e mi pare d’essere a un passo da piazzale Loreto, di fronte alla chiesa del Redentore, la parrocchia dove va a catechismo mia figlia. Questo viaggio appare sempre di più come uno scherzo architettonico fatto alle mie spalle». Oppure la sorpresa di ritrovarsi, in Ciad, seduto sulla sedia di un improbabile parrucchiere circondato da «ferri arrugginiti, specchi rotti e mozziconi di lamette», per farsi tagliare i capelli: «Ha finito. Rimetto gli occhiali e mi guardo allo specchio. Quest’uomo è scappato dalla guerra, ha visto morire suo figlio nella boscaglia, ha perso buona parte della famiglia, e molta speranza. Ma è un parrucchiere. Un professionista. Questa la sua lezione di dignità. Chiedo il conto e non mi permetto affatto di trattare sul prezzo. Lo lascio con una stretta di mano, amichevole e colma di rispetto. Fraterna».

In Uganda lo scrittore incontra un ex bambino soldato, con sua moglie e i loro quattro figli: una famiglia portatrice di un’eredità terribile, fatta di disumanità, stupri e odio, ma che ha comunque la forza di sognare una cosa semplice come «un pezzo di terra da coltivare». E in Etiopia, ad Addis Abeba, si ritrova allo Juventus Club con gli italiani d’Etiopia, prigionieri di un sogno passato di moda da quasi un secolo: «Italiani, di terza generazione, nati e vissuti in Etiopia, che hanno conosciuto la “madre patria” magari da adulti, quando vi sono andati alla ricerca di radici che spesso non hanno trovato. Mi raccontano dei loro nonni, venuti a costruire l’Impero, o addirittura dei loro trisavoli, abitanti dell’Asmara, “che era una città italiana” insistono a dirmi, quasi non volessi crederci».

Insomma, quello che Biondillo offre è il suo personalissimo sguardo: «La letteratura è un modo, ed è certamente il mio, di dare testimonianza», afferma. «Ma chi vuole capire davvero l’Africa dovrebbe ovviamente leggere gli scrittori africani. Tenendo però a mente che l’Africa, per l’appunto, non esiste: perché è un Continente enorme, costituito da realtà molto diverse tra loro».

Forse un autore noto e amato come Gianni Biondillo riuscirà a incuriosire quei lettori italiani che poco sanno della realtà letteraria e culturale dei Paesi africani. Forse, dopo aver letto Biondillo, qualcuno di loro si avvicinerà alla letteratura transculturale, scoprendo autori che vivono in Italia e scrivono nella nostra lingua pur provenendo da Mogadiscio o Dakar. Forse, alla fine, a qualcuno di loro verrà voglia di saperne di più e prenderà in mano il libro di un autore senegalese o sudafricano o somalo o egiziano o nigeriano.
Forse.

Gabriella Grasso