Nuove tendenze

Espulsioni cinesi

Francesca Materozzi - 30 Maggio 2014

Goosy_Goosy_Gander_gioco-dellocaNel gioco dell’oca che porta al rimpatrio, quando si tratta di loro, la casella Cie ricorre ormai con una straordinaria frequenza. Prima non era così. Cosa è cambiato?

15 aprile. Una signora cammina tranquillamente per una strada di città, quando un uomo e una donna l’avvicinano e le puntano il coltello alla gola, le strappano il marsupio e si mettono a correre. Lei urla, prova a fermarli, chiede aiuto. La gente accorre e interviene anche una volante dei carabinieri che blocca la ladra, che risulta essere italiana come l’uomo, che invece riesce a fuggire. La signora scippata viene poi portata in questura a fare denuncia. Gli agenti raccolgono i suoi dati e la sua deposizione. La invitano a tornare il giorno. Lei obbedisce e si ritrova al Cie di Ponte Galeria.

La signora è cinese, abita a Prato da dieci anni ma è irregolare. Lo scippo, per metà sventato, segna l’epilogo di una storia migratoria che già dal suo inizio non era stata delle più felici. La signora, che chiameremo Silvia, non era emigrata per seguire chi sa quale sogno di riscatto e ricchezza, ma per pagare un debito contratto dal padre. Per riuscirci ha lavorato in fabbrica per dieci anni. Ma è rimasta sempre esclusa dalle sanatorie. Forse nessuno voleva regolarizzarla o forse non sapeva neanche che esistesse questa eventualità, visto che lei lavorava e dormiva all’interno della ditta. Una volta arrivarono però a controllare il capannone e lei ricevette un foglio di via. Ma non se n’è andata. Non poteva tornare a casa, c’era il debito d’onore del padre da pagare.

Poi le cose sono cambiate. La ditta passa a una nuova gestione che non vuole lavoratori a dormire nella fabbrica: è pericoloso e illegale. A onor del vero, anche lo sfruttamento della manodopera irregolare è illegale, ma questo non sembra disturbare il nuovo datore di lavoro. E allora bisogna uscire, mettere il naso fuori dalla ditta e affrontare il mondo esterno. Non è facile. Da anni a Prato i cinesi sono derubati con frequenza. Si dice che non denuncino e che portino con sé molto contante. Per contrastare il fenomeno si sono mobilitate associazioni e istituzioni, che oltre a raccomandarsi di uscire senza soldi, insistono sulla necessità di denunciare i ladri. E Silvia ascolta quello che viene detto. E si è presentata in questura per sporgere denuncia. Anche se è stata vittima di un crimine sarà difficile che le venga concesso un permesso per giustizia. Non è in una situazione facile.

Al centro di detenzione viene seguita dall’avvocato Alessandro Crasta, collaboratore del Centro Astalli e che dal 2007 difende i “trattenuti” nel centro d’espulsione. Crasta ha seguito diversi cinesi. «In questi mesi qualcosa sembra essere cambiato», ci racconta. Come dimostra la vicenda di Amalia (altro nome di fantasia). Viene fermata a Prato e portata al Cie di Ponte Galeria. È senza documenti, anche se vista la sua situazione non si capisce perché lo sia. Infatti Amalia ha una figlia di 5 anni e il suo compagno, padre della bimba, ha un regolare permesso di soggiorno. Allora come è possibile che si sia verificata questa situazione? L’avvocato non se lo sa spiegare, di fatto però, non è stata fatta neanche opposizione all’espulsione dal suo precedente legale. Stava intervenendo l’avvocato Crasta, con la documentazione necessaria per dimostrare che la donna in realtà poteva avere un regolare permesso soggiorno per motivi di famiglia. Questo si sono detti l’ultima volta che si sono visti, un pomeriggio di poche settimane fa. Alle ore 18 si sono lasciati, e alle 18.30 lei è stata rimpatriata. Senza preavviso, né all’avvocato né alla diretta interessata.

«Da un po’ di tempo», dice  l’avvocato «siamo passati da una mancanza di collaborazione da parte dell’ambasciata a una cooperazione effettiva. E tutto questo senza che ci sia stato, o almeno non ci sia noto, nessun tipo di nuovo accordo bilaterale». Amalia è stata rimpatriata in circa due mesi e lascia in Italia la figlia e il compagno. Ora l’unica cosa che si potrebbe ipotizzare è un possibile ricorso alla Corte Europea per i diritti dell’uomo in via diretta. «Stiamo valutando questa ipotesi».

A dire il vero, c’erano stati dei segnali che qualcosa stesse cambiando. Il Primo aprile c’è stata l’indagine conoscitiva sull’impiego di lavoratori immigrati nelle attività lavorative, effettuata dal Comitato Parlamentare di Controllo sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione. A quest’iniziativa erano stati invitati i rappresentanti dei sindacati e di altre associazioni di categoria di Prato, oltre che l’assessore all’immigrazione Giorgio Silli, il quale aveva richiesto di: «creare un documento che possa servire come grimaldello per spingere i due Governi (quello italiano e quello cinese) a trovare un momento di incontro, che permetta quanto meno il rimpatrio pacifico dei clandestini». La presidente del Comitato, Laura Ravetto, aveva rassicurato l’assessore dichiarando che, avendo la settimana successiva ospite il Ministro degli Esteri, avrebbero fatto presente la richiesta. Non solo, aggiungeva che per il 17 aprile era prevista un’altra indagine conoscitiva con la partecipazione dell’ispettorato del lavoro di Prato.

Però, in realtà non sembrano esserci stati accordi con il Governo Cinese, almeno non ufficiali. Quindi non possiamo sapere con certezza cosa stia avvenendo con le Autorità cinesi, sappiamo però che invece l’espulsioni adesso si fanno. Si sta passando quindi da una non collaborazione degli anni passati, a una situazione dove non solo l’espulsioni vengono fatte ma anche con celerità. Sembra che i tempi d’attesa adesso siano di appena di uno, due mesi.

Il rischio è che adesso si passi a un sistema diametralmente opposto dove pur di collaborare non si badi alla situazione reale del trattenuto e vengano quindi meno le garanzie che sono in realtà previste. Altra storia esemplare è quella di  un uomo cinese di 60 anni. Il signore viene dalla casa circondariale di Livorno dove ha passato lunghi anni per un reato. Carcerato modello, ha partecipato costantemente e correttamente a tutto il percorso rieducativo, tanto che gli è stata riconosciuta l’insussistenza della pericolosità sociale. Quest’uomo ha tutta la famiglia regolarmente soggiornante nel nostro Paese. Non solo, durante la detenzione è stato sottoposto a una operazione. Soffre di una neuropatia degenerativa che potrebbe portare alla atrofizzazione dell’arto sinistro. Una volta uscito dal carcere però, invece di concedergli i termini della partenza volontaria, il signore è stato accompagnato al Cie di Ponte Galeria.

In tutto questo periodo, non avendo con sé il suo diario clinico e non potendo usufruire di un interprete, ha chiesto continuativamente degli analgesici ma senza che il dottore del Cie ne capisse il reale motivo. Era convinto che il signore soffrisse di mal di denti. Solo davanti al giudice di pace il dottore ha scoperto la reale ragione di quelle richieste. Il signore avrebbe bisogno di cure e dell’assistenza della sua famiglia, visto che in Cina non ha più nessuno. Ma di fronte a tale richieste è stato risposto che in Cina fanno dell’ottima agopuntura.

Di parere diverso si è dimostrato invece il giudice di pace di Livorno quando pochi giorni fa, il 15 maggio, ha dichiarato la sospensione del decreto di espulsione in via cautelare, che nel frattempo era stato impugnato dall’avvocato Crasta. Sul momento però nulla è cambiato: l’ufficio immigrazione del centro, che fa capo alla Questura di Roma, ritiene che la sospensione preveda solo il rinvio del rimpatrio ma non la fine del trattenimento. La liberazione potrebbe avvenire, sempre secondo l’ufficio suddetto, solo se il 6 giugno il giudice di pace non prorogasse il trattenimento. “Quanto sostenuto dalla Questura,” dichiara l’avvocato “contrasta quanto stabilito dalla Cassazione nell’Ordinanza 20869/2011, laddove afferma il principio che: una espulsione la cui efficacia sia stata, se pur indebitamente, sospesa non può quindi sorreggere alcun provvedimento restrittivo della libertà personale dello straniero…”. Però l’avvocato non ha lasciato perdere e nell’udienza del 23 maggio ha presentato un’istanza contro la proroga del trattenimento basandosi sull’articolo 15 della direttiva rimpatri. E il giudice di pace l’ha accolta. Per cui il signore doveva essere liberato immediatamente. Doveva, perché in realtà l’ufficio immigrazione, di fronte a questa novità, ha preferito prendersi il tempo di porre un quesito al coordinatore dei Giudici di Pace di Roma per sapere come applicare questo tipo d’istanza. L’avvocato non si è dato per vinto e ha presentato un esposto al Viminale. Alla fine di tutto questo calvario il signore cinese è stato liberato, ma solo verso le ore 22 di mercoledì 25 maggio.

Altri due uomini cinesi hanno presentato richiesta di protezione internazionale per motivi diversi, ma per il momento non risulta che siano stati rimessi in libertà, quando solitamente i richiedenti asilo non vengono trattenuti nei Cie. Anche se in Italia sembra una anomalia che dei cinesi possono chiedere asilo, recentemente l’Unhcr ha reso noto, tramite il secondo rapporto Asylum Trend, che in Nord America risultano essere la comunità che effettua più richieste. Non è quindi così strano che ciò avvenga. È strano invece che continuino a rimanere rinchiusi nel Cie

Silvia nel frattempo piange ed è disperata. Sembra che la sua storia sia anche più articolata di quello che è apparsa a prima vista. Ma è difficile comunicare con lei per la mancanza di un mediatore. Se poi non ci dovesse neanche essere il tempo per permettere all’avvocato di vagliare accuratamente il suo caso, per lei sarebbe veramente la fine. E pensare che voleva comportarsi da cittadina modello.

Francesca Materozzi