Permessi

Cari troppo cari

- 30 Maggio 2014

Da due anni essere un immigrato regolare in Italia è decisamente più costoso a causa di un regalino dell’ultimo governo Berlusconi, il “contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno”.

I cittadini stranieri che vivono e lavorano in Italia, per prendere o rinnovare un documento indispensabile, sono costretti a pagare tra 80 e 200 euro, a seconda della durata e del tipo di permesso. Un balzello che si somma al versamento obbligatorio da 27,50 euro per il rilascio in formato elettronico, ai 30 euro incassati da Poste Italiane, che raccoglie le domande, e a una marca da bollo da 16 euro.

Il contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno potrebbe però essere presto ridimensionato dai giudici. Al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, infatti, appare spropositato e poco in linea con la normativa europea, tanto da rendere necessario l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

A portare in tribunale la tassa sui permessi, introdotta per decreto dagli allora ministri dell’Interno e dell’Economia Roberto Maroni e Giulio Tremonti, sono stati la Cgil e l’Inca. Nel loro ricorso al Tar, il sindacato e il patronato hanno chiesto l’annullamento del decreto, che ritengono illegittimo per una lunga serie di motivi: violerebbe infatti i princìpi di eguaglianza e di ragionevolezza, di capacità contributiva, di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa.

Sotto accusa c’è anche la destinazione dei soldi incassati dallo Stato grazie al contributo. Un 50% va al Viminale per spese di ordine pubblico e sicurezza, per finanziare gli sportelli unici e attuare l’accordo di integrazione, l’altro 50% finanzia il “Fondo Rimpatri”, quindi, di fatto, gli immigrati regolari pagano le espulsioni degli irregolari. Una distribuzione che Inca e Cgil ritengono irragionevole.

Il Tar, nell’esaminare il caso, ha fatto riferimento alla normativa europea.

«Ciascuno Stato membro – si legge nell’ordinanza depositata ieri – è legittimato a subordinare il rilascio dei permessi di soggiorno alla riscossione di contributi il cui importo non deve creare un ostacolo al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo. Il potere discrezionale di cui dispone lo Stato membro per determinare l’importo non è illimitato e non consente quindi di stabilire il pagamento di contributi eccessivi, in considerazione della loro considerevole incidenza finanziaria su detti cittadini».

I giudici ricordano quindi “che il costo per il rilascio della carta d’identità ammonta attualmente, nel nostro Paese, a circa 10 euro”, mentre “l’importo più basso fissato dal decreto è di 80 euro”, quindi la tassa sui permessi di soggiorno risulta “pari nel minimo a circa 8 volte il costo del rilascio della carta d’identità”. Un rapporto che al Tar “appare confliggente con i princìpi di livello comunitario e soprattutto non sembra coerente con il principio di proporzionalità”.

Di qui la decisione di chiedere lumi alla Corte di Giustizia Europea, che tra le sue competenze ha anche quella di sciogliere dubbi sull’interpretazione e sull’applicazione del diritto comunitario. In attesa di questo parere, il giudizio del Tar rimane sospeso.

«È un risultato importante – ha commentato Morena Piccinini, presidente Inca – che si aggiunge alle altre sentenze favorevoli in materia di immigrazione, promosse da noi. Questo non fa che confermare la fondatezza delle contestazioni, sulla base delle quali abbiamo chiesto l’intervento della giustizia per ristabilire un principio di uguaglianza e di dignità nelle politiche rivolte ai tanti stranieri che, nonostante la crisi, intendono stabilirsi nel nostro Paese».

Maurizio Buzzani – Coordinatore Direttivo Forum Cittadini Mondo